giovedì 17 giugno 2010

Bright Star

Tra le cose che più amo leggere ci sono senza dubbio biografie, autobiografie, memoriali, diari ed epistolari di scrittori e scrittrici, poetesse e poeti. Ogni vita lascia una traccia nell’opera, ma la biografia nell’opera si dissolve e credo che per un artista il significato ultimo sia quello: l’opera compiuta e non la vita vissuta. Ciò detto non resisto quando ho la possibilità di andare a caccia della vita dell’autore in un’opera letteraria. Quindi come potevo perdermi il nuovo film di Jane Campion Bright Star? Un angelo alla mia tavola e Lezioni di piano, sono tra i miei film preferiti, come poteva non piacermi un film dedicato alla vita e alla storia d’amore di John Keats e Fanny Brawne? Così piena di aspettative, in un afoso sabato pomeriggio milanese, sono andata al cinema Ducale. L’intelligente computer che gestisce i posti mi ha assegnato come miglior posto disponibile, l’ultimo di una fila lontanissima dallo schermo. Così me ne sono auto-assegnata uno centrale nella fila più comoda e ho subito una musica assordante in attesa che il film iniziasse. Magnifica scena iniziale, stoffa, ago, luce naturale, l’arguzia di una giovane donna che vuole essere diversa, il giovane poeta malaticcio, tormentato dalla sua Musa, l’amico devoto che non lo lascia un istante. Il vento tra gli alberi, le rondini, i fiori meravigliosi, quel campo di fiori blu lavanda dove Fanny si siede e che ricorda una delle scene più suggestive di Lezioni di piano, dove Ada si ripiega sulla sua gonna come un tulipano nero vinto dalla pioggia. Mentre il mio occhio stava appagato e pasciuto e le orecchie pure, perché c’è poca musica, niente e dico niente in me, vibrava davanti alla passione tra i due giovani e nemmeno a sentire i versi immortali. Mi si è essiccato il romanticismo? Sospendo ogni conclusione e tra qualche giorno tornerò a vedere il film.
Voglio capire perché Mariuccia Ciotta e Quentin Tarantino sono caduti in deliquio. Bastano immagini magnifiche a rendere magnifico un film?

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