sabato 8 aprile 2017

Uno scrittore, sua madre, la storia

«Scrivere un romanzo significa formulare una domanda complessa nella forma più complessa possibile.» 
(...)

Lo sfondo del romanzo è la guerra civile, ma il vero protagonista non è lo zio franchista. Il libro può essere letto come un confronto intimo con sua madre, con la casa di Ibahernando, con la sua storia di scrittore

«Sì, vero, è mia madre la protagonista segreta del romanzo. Per la prima volta racconto anche il nostro trasferimento dal piccolo e avvolgente villaggio di Ibahernando a Girona. E lo spaesamento che mi ha accompagnato negli anni di formazione. La scrittura è stata una forma di risarcimento, mi ha restituito quella protezione che era venuta meno». 

Qual è stata la reazione di Blanca nello scoprire che lo zio era in realtà un perdente? 
«Forse lo sapeva già, istintivamente. S’è divorata il libro per tre volte di seguito, scoprendo cose che lei stessa non sapeva». 

E lei Cercas cosa ho scoperto più di se stesso? 
«Per tutta la vita ho creduto che mia madre mi volesse come Manuel Mena, l’Achille dell’Iliade che trova in battaglia la morte eroica. E alla fine ho capito che invece mia madre mi voleva come l’Achille dell’Odissea che pensa sia preferibile conoscere la vecchiaia essendo il servo di un servo piuttosto che non conoscerla essendo il sovrano delle ombre. Questo mio romanzo è bellicosamente antibellicista. Ma mia madre è la più antibellicista di tutti, avendo visto la guerra».

Lei scrive: sono diventato scrittore per non essere scritto da mia madre. Però poi… 
«…scopro che alla fine sono stato scritto da lei. Resta una grande ambiguità, ma senza ambiguità la letteratura non esiste. È stata mia madre a farmi scrivere questo libro? Non lo so. Probabilmente sì. L’unica certezza è che dopo averlo scritto mi sono sentito meglio. Chi sono io, Javier Cercas? Ora lo so un po’ di più».

Javier Cercas
frammenti dell'intervista di Simonetta Fiori su Repubblica di sabato 8 aprile 2017

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