giovedì 27 febbraio 2025

Mattina di febbraio


Dinnanzi al foglio bianco, è un po’ che aspetto
le parole. Che però non arrivano.
Non ottengo che, docili, si posino
sul quaderno e che dicano quel che ora
tento di dire: che questa mattina
il sole di febbraio gioca sopra
i tetti del quartiere, che in un cielo
così azzurro ci sono solo due
o tre nuvole bianche,
che suona mezzogiorno all'orologio
della parrocchia e allegro
un passero si posa all'improvviso
sulla ringhiera del balcone:
batte
le ali, saltella, col becco si liscia
le piume, guarda, inquieto,
di qua, di là, e, d’un tratto,
gaio riprende il volo nella luce del giorno.

Eloy Sánchez Rosillo
Las cosas como fueron
Traduzione di Francesco Dalessandro
Tusquets, 2004

martedì 18 febbraio 2025

Mi concedo il tempo di ascoltare i lupi

Ieri abbiamo costeggiato un fiume e, anche se eravamo sempre a nord, c'erano luci che non avevo mai visto. Non che prima non esistessero, ma ero io che non le guardavo. Di solito in questa stagione sono a caccia, seguo piste, ho gli occhi fissi sui sentieri e sulle orme degli animali, è possibile che mi sia imbattuto in spettacoli del genere senza notarli e penso che devo essermi perso un'immensità di cose. Eppure mi concedo il tempo di ascoltare i lupi e contemplare il blu della notte, e quando non sono troppo in alto conto i riflessi incandescenti delle lucciole come fossero altrettanti astri preziosi e ridicoli. È per quei momenti che vivo qui, solo che il mondo è troppo grande perché si possa vedere tutto. È anche la sua bellezza. Se conoscessi tutto non avrei più sorprese, non avrei l'impressione che la luce dia al fiume riflessi arcobaleno, è una luce che sembra un gioco di prestigio. La vedi? Chiedo ad Aru, e lui dice di . 

Sandrine Collette

Eravamo Lupi 

traduzione di Marina Perseli

edizioni e/o 2024



martedì 31 dicembre 2024

forse son queste cose la poesia

 IL SUD

Da un tuo cortile aver guardato
le antiche stelle,
dalla panchina in ombra aver guardato
quelle luci disperse
che non so ancora chiamare per nome
né ordinare in costellazioni,
aver sentito il cerchio d’acqua
nel segreto pozzo,
l’odore del gelsomino e della madreselva,
il silenzioso uccello addormentato,
la volta dell’androne, l’umido
– forse son queste cose la poesia.

Jorge Luis Borges
Fervore di Buenos Aires
Adelphi, 2010
(Traduzione di Tommaso Scarano)

domenica 26 maggio 2024

Lascia passare il vento tra le righe

Il vento cala di intensità, la foresta si quieta. È stata solo una buriana passeggera. Ma è bastata a pulire la mente. 

Comincio a mettere in bella gli appunti di questa storia. Scrivo velocemente. È da qualche anno che sento di dover fare in fretta. La rapidità con cui si stratificano le mie agende annuali mi obbliga a fare i conti col tempo che mi resta e a lavorare più sodo. Scrivere - l'ho imparato - è anche un trucco per vivere più intensamente, vuotare il sacco e abbassare il livello dell'ansia.

"Lascia passare il vento tra le righe" raccomanda la giovane siriana di nome Europa nel mio libro sul mito fondativo del Continente. Stavolta il vento tuona, sconvolge la parola, fa tremare le righe. Mi obbliga ad aggrapparmi a frasi solide e brevi.

Comincio a vedere più chiaro. A trovare appigli fermi nella tempesta degli eventi e a collegare tra loro fatti trascurati dalle cronache.


Paolo Rumiz

Verranno di notte

Lo spettro della barbarie in Europa

Feltrinelli maggio 2024

(pag. 142)



mercoledì 22 maggio 2024

Pioggia di maggio nella Città degli Specchi

Una giornata di maggio piovosa e buia, mentre fuori piove finisco di rileggere l'autobiografia di Janet Frame, ne copio dei passi relativi al periodo in cui andò a vivere in campagna nel Suffolk.

"Adesso pensavo di vivere la vera vita di una scrittrice, i miei due libri di racconti erano stati pubblicati e Giardini profumati per i ciechi lo sarebbe stato a breve; inoltre nel periodo trascorso a Grove Hill Road avevo avvertito un impercettibile spostamento della mia vita verso un mondo letterario in cui disponevo davanti a me tutto ciò che vedevo e sentivo, la gente che incontravo sull’autobus, per strada, nelle stazioni ferroviarie, e nel posto dove abitavo, mentre io sceglievo, fra i tesori sparsi, frammenti e momenti che si combinassero per formare il disegno di un romanzo, di una poesia o di un racconto. Niente era inutile. Avevo imparato a essere una cittadina della Città degli Specchi. L’unico motivo per continuare questa autobiografia è che, per quanto abbia usato, inventato, mescolato, rimodellato, cambiato, aggiunto, sottratto da tutte le mie esperienze, non ho mai scritto direttamente della mia vita e dei miei sentimenti. Senza dubbio mi sono mescolata ad altri personaggi che sono a loro volta il prodotto del noto e dell’ignoto, del reale e dell’immaginario; ho creato “esseri”, ma non ho mai scritto del mio essere. Perché? Perché se compio il pericoloso viaggio verso la Città degli Specchi dove tutto quello che ho conosciuto, visto o sognato è immerso nella luce di un altro mondo, a che serve tornare solo con uno specchio pieno di me? O, in verità, di altri che esistono benissimo nella comune luce del giorno? Il sé deve essere il contenitore dei tesori della Città degli Specchi, l’Inviato, per così dire, e quando viene il momento di catalogare quei tesori per dare loro una forma di parole, deve essere il sé a lavorare, a portare il peso, a scegliere, a sistemare e lucidare. E quando il lavoro è concluso e ci si deve rassegnare al non essere, il sé può prendersi una vacanza, anche soltanto per reintrecciare il paniere usato, in attesa della prossima visita alla Città degli Specchi. Sono questi i processi della narrativa. “Mettere giù tutto così come accade” non è narrativa: deve esserci il viaggio, fatto da soli, il cambiamento della luce concentrata sul materiale, la disponibilità dello stesso autore a vivere in quella luce, in quella città di riflessi governata da leggi, materiali e moneta diversi. Scrivere un romanzo non è soltanto andare a fare acquisti oltre frontiera in una terra irreale: sono ore e anni passati nelle fabbriche, nelle strade, nelle cattedrali dell’immaginazione per apprendere il funzionamento speciale della Città degli Specchi, i suoi cieli e il suo spazio, il suo sistema planetario, senza fermarsi a pensare che ci si potrebbe ritrovare senza casa al mondo, falliti, abbandonati dall’Inviato".


Janet Frame

Un angelo alla mia tavola

traduzione di Lidia Conetti Zazo

Neri Pozza Editore 2010

martedì 21 maggio 2024

Adesso, guardando più chiaramente attraverso questo e quell’altro mondo e le sue stagioni, vengo anch’io guardata più chiaramente.

 (Quando l’autunno è passato e le foglie sono cadute dagli alberi e solo gli scuri sempreverdi conservano la loro chioma che è al tempo stesso riparo e ostacolo al passaggio della luce, ci accorgiamo di non essere mai stati soli nella foresta. Emergono le forme delle case, la gente che vive la propria vita quotidiana; c’è una nuova prospettiva delle distanze, la scoperta di orizzonti che non si sarebbero mai potuti scorgere in primavera e in estate, ma solo immaginare durante l’autunno. Guarda quegli alti camini che si alzano da fuochi che non sapevamo fossero mai stati accesi, eppure ardono, alimentati in segreto! Guarda i sentieri appena rivelati! Adesso, guardando più chiaramente attraverso questo e quell’altro mondo e le sue stagioni, vengo anch’io guardata più chiaramente. L’ambiente che mi circonda ha perso il suo travestimento; io stessa ho perso il mio. C’è persino la possibilità di nidi, nuovi o abbandonati, sul mio albero!)

Janet Frame

Un angelo alla mia tavola

traduzione di Lidia Conetti Zazo

Neri Pozza Editore 2010

lunedì 20 maggio 2024

Il coro delle nuvole impazzite

Ho appena saputo che è mancato Renzo Favaron, un vecchio amico e poeta straordinario. Ci siamo frequentati parecchio in tempo remoto, ricordo i suoi racconti sulla Croazia, la mostra di Corot che avevamo visitato insieme a Maddalena Cavalleri a Verona nel dicembre 2009, è stato un amico, tanto che gli ho dedicato due poesie che copio qui per ricordarlo, insieme a quei giorni di sabato straordinari di un'estate di tanti anni fa.


Il coro delle nuvole impazzite

a Renzo Favaron

L’ora del tempo e la dolce stagione

non chiediamo altro al coro delle

nuvole impazzite e cortigiane

di questo vento che nega

la primavera ai fiori prima

ancora che a noi smemorati

e pieni di ogni luce negli

occhi caparbi nell’attesa

intenti nell’intagliare a

questo giorno una figura

memorabile nella teoria

degli anni, miserabili

frammenti delle stelle

che mai saremo, ma potremo

ricordare quel grande

albero in Croazia anche

se mai lo avremo veduto

e solo uno tra noi

lo ha cantato.


dalla raccolta Scrivere il vento

Atì editore 2016



Variazioni su nuvole, luce e ombra

a Renzo F.

Un presagio per il giorno che

verrà è un’invenzione di nuvole

in quel cielo che mai vedremo,

in un luogo privo di memoria,

ai nostri sguardi solo quel cielo

è rimasto della città antica,

il cielo che le mani capricciose

del tempo e della ragione

appendono sulla mia giornata.

Guardo ancora e le nuvole

di Corot si dissolvono con

l’eleganza di un segreto custodito

nel cuore della luce che veloce

si alza a oriente. È un mattino

nuovo, memoria della notte, fiato

lungo nei passi, sempre più

piano avvolti nella brina,

inondati di luce sino alla fine

della stessa strada.


dalla raccolta Figure del silenzio. Atì editore 2010