Il viaggio inizia ogni mattina quando la luce è solo un presentimento. Quando apro gli occhi, si oscura il mondo dei sogni e il corpo ritrova tutto il suo peso, la gravità mi colloca in un sopra e un sotto, l’illuminazione notturna della strada, tinge di colori polverosi tutti gli oggetti intorno.
È un
viaggio che non ha una sola meta, la notte che tornerà, è un viaggio indeciso
tra i rituali quotidiani, una doccia tiepida, un caffè bollente, il lavoro che
è rimasto tutta la notte sulla scrivania e non si è concluso grazie a un
miracolo o all’opera dei folletti.
Dall’arcipelago
notturno, dove ritorno per qualche istante dopo il caffè, mi strappa la luce
che irrompe insieme al canto degli uccellini. Un tempo, nelle vie intorno, era
tutto un cantare dalla notte sino a giorno inoltrato, il bosco spontaneo, nato
sulle rovine della fabbrica De Angeli – Frua, è stato abbattuto proprio
trent’anni fa durante un blitz ferragostano mal riuscito e bloccato grazie a
una contessa la cui dimora si affacciava proprio su quel luogo incantato. Il
quartiere insorse, il progetto del silos per auto con tre piani interrati e
sette piani sopraelevati non andò avanti, ma lo scempio del bosco era compiuto.
Gli uccellini erano poi ritornati, insieme a molti piccioni che amavano
soggiornare sui davanzali delle finestre. Poi ci furono estati feroci e umide,
seguite da inverni spietati e la maggior parte di uccelli sparì dal cielo e
dagli alberi. Arrivarono poi le cornacchie, la cui voce mi mette i brividi, ma
negli ultimi due anni sono sparite pure loro e prima dell’alba ho ricominciato
a sentire canti solitari che mi rallegrano. Un tempo, d’estate, mi sdraiavo sul
divano che è davanti alla finestra e aspettavo il sorgere del sole e il
soggiorno diventava l’arcipelago diurno dove iniziare a tessere le storie. Al posto
del silos, incubo metropolitano, qualche altro costruttore geniale, pensò di
costruire, anche in questo caso in agosto durante il periodo di ferie, un
palazzotto con grandi lucernari per aprirvi un ristorante. La mala abitudine di
iniziare i lavori senza permessi, fece sì che i bei muri di mattoni rossi che
erano l’ultima rovina della maestosa fabbrica di filati e tessuti, vennero
ridotti di oltre la metà e completati con delle inferriate. Solo la cancellata
che segnava l’ingresso degli operai rimase intatta e anche gli alberi
pluridecennali che segnavano il confine non vennero più toccati. Alla fine il
Comune concesse la costruzione di box sotterranei, non di parcheggi, l’allestimento
di un modesto, ma gradevole giardinetto con i giochi per i bambini e, la cosa
migliore realizzata, la cessione del palazzotto per farne la biblioteca di
quartiere, la Biblioteca Sicilia, dal nome della piazza su cui si affaccia il
piccolo giardino. Così non ho più avuto gli alberi e le loro foglie, ma libri e
libri da sfogliare e prendere in prestito. Nella piccola biblioteca c’erano
anche dei comodi tavoli da lavoro dove ho trascorso tante belle ore a studiare
e prendere appunti.
Da quando
è scoppiata la pandemia non ci si può più fermare a leggere, ma il luogo è
comunque un’isola del mio arcipelago quotidiano dove approdo abbastanza spesso.
Il resto
del viaggio, o della navigazione, avviene nelle vie del quartiere, dove i passi
si espandono in cerchi concentrici e i particolari architettonici delle case si
arricchiscono nella memoria. Quando mi stanco di girovagare tra strade e libri,
allora me ne torno nella terra delle Montagne della Nebbia e da lì posso andare
dove mi pare.
Ogni giorno
diventa così un viaggio più o meno incerto e più o meno riuscito. Quel che non
è accaduto oggi, potrà accadere domani o domani l’altro. L’importante è non
smettere di viaggiare mai con l’immaginazione.
Oggi è mercoledì
31 marzo del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 388, narrativa
e non poetica, perché in certi giorni svagati, come oggi, la poesia va covata e
la Musa corteggiata.
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