È impossibile programmare la propria vita senza lasciare spazio all’imprevisto, all’impensato. L’arte della vita assomiglia moltissimo alla meteorologia: possiamo fare progetti, impegnarci, prefissare delle mete e poi accade quel che accade e da una primavera precoce e già fiorita, ripiombiamo in una giornata di pieno inverno, con un gelido vento siberiano che ha fatto strage dei germogli, proprio come accade oggi nella città disorientata.
Forse l’unica cosa che avremo davvero appreso da questa
pandemia è l’imprevedibilità della vita, ma ancor più la sua fragilità. Forse
avremo imparato che siamo preziosi, che ogni vita lo è, che ogni nostro gesto
ha conseguenze e che il passato non tornerà, che potremo cercare di tornare a
una vita simile a quella novecentesca che il virus ha spazzato via. Certo che
niente sarà più come prima, non perché alla fine saremo migliori, l’unica
certezza è che saremo diversi, la nostra psiche uscirà segnata da ciò che
ancora sta accadendo. Ma ricominceremo a vivere, come dopo ogni guerra,
carestia, pestilenza e lutto. Siamo creature adattabili e forti, anche se
fragili e delicate. Per questo continuo ad avere fiducia nell’imperscrutabile
futuro che ci attende.
Un
movimento tra la memoria e l’oblio
Osservo le nuvole, cerco
di decifrare i movimenti
per rilevare le regole del
moto, come se le nuvole
fossero mosse da una spinta
dell’immaginazione. Ma so
già che è al vento che devo
chiedere spiegazioni e farmi
rivelare qual è il segreto
del suo cavalcare il cielo,
della sua abilità nel trasformare
l’aria in movimento. Ma non
risponde il vento, mi sbeffeggia
e soffia. Non è mai solo una
la legge della nuvola, intorno
all’altare del tempo si accavallano
i canti e le orazioni. Andiamo e
veniamo, stiamo ritorniamo, noi
nuvole di pioggia e di tempesta,
noi nuvole dell’impermanenza,
noi che abbiamo molti nomi,
vi dimostriamo che prevedere
non significa sapere e che lo
sguardo, alla fine, non crea ma
si avventura nella fitta rete di
coincidenze che chiamiamo
vita. Tutto tace ora in quest’aria
di vento e stelle che le nuvole
strappano nell’alto dei cieli.
E quaggiù noi continuiamo
a scrutare ciò che dal cielo
non cade e a salutare questa
stanca stagione fredda che
adorna le strade con la speranza
di ciò che saremo, di ciò che
sarà su questo foglio e sulle
vostre labbra dischiuse.
Tornano come spirali i racconti, torna come un lampo la
poesia. Se qualcosa ho imparato in questi mesi è che ogni racconto, ogni
poesia, hanno bisogno di nascere in quella terra senza nome che sta tra memoria
e oblio. Solo così le parole nuove, le giovani parole, troveranno quella forza
necessaria e passeranno da quel luogo misterioso vasto come l’eternità, alle
menti e alle mani di chi continua a scrivere e nello scrivere trova un senso a
ciò che è stato, a ciò che sarà.
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