venerdì 31 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/663. Il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito

 

Così finisce anche questo 2021, non l’anno della rivoluzione, ma l’anno della prosecuzione, in continuità con il 2020, ingessato dalla pandemia, addolorato per i morti, deluso dai vaccini che non hanno contribuito a costituire la tanto agognata immunità di gregge, ma a rendere meno letali le conseguenze del virus, che non è poco, ma non è abbastanza rispetto al nostro desiderio di tornare a una vita “normale”. Così questo dannato virus ha finito col somigliare al virus del raffreddore, pervasivo, contagioso e inevitabile. Per questo vaghiamo per la città molto silenziosa stanchi, forse un po’ sfiduciati, ma sempre pieni di speranza. Almeno, io lo sono piena di speranza, piena di gioia, nonostante tutto. Perché anche questo 2021 è stato un anno di ricchezza interiore, di progetti, di scrittura, di amicizia. Soprattutto di grandi amicizie, nuove e antiche, imprescindibili. Oggi sono uscita con la mia amica poetessa Annalisa Manstretta, una delle più valenti della nostra generazione. Al contrario di quanto facciamo di solito abbiamo parlato pochissimo di poesia e molto di cosmetici, profumi, vestiti, viaggi e desiderio di una vita più ricca di movimento e di novità. Un desiderio di leggerezza, di cose belle, di calore umano. Così questa Cronaca 663 di venerdì 31 dicembre, l’ultima del secondo anno senza Carnevale, la dedico a lei, all’amicizia e alle scoperte letterarie. Parte di questo brano lo ha scritto Moreno Montanari, nuovo amico, sulla sua pagina FB. Così mi sono procurata il libro Un po’ di compassione di Rosa Luxemburg, un volumetto che contiene una lettera alla sua amica  Sonja Liebknecht:

 

“È il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fatene una tragedia. Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia–adesso non riesco ad addormentarmi prima dell’una, però devo essere a letto già alle dieci–, così, al buio, i miei pensieri vagano come in sogno. Ieri dunque pensavo: quanto è strano che, senza alcun motivo particolare, io viva sempre in un’ebbrezza gioiosa. Me ne sto qui, ad esempio, in questa cella oscura, sopra un materasso duro come la pietra, intorno a me nell’edificio regna come di regola un silenzio di tomba, sembra di essere rinchiusi in un sepolcro: attraverso la finestra si disegna sul soffitto il riflesso della lanterna accesa l’intera notte davanti al carcere. Di tanto in tanto si sente, cupo, lo sferragliare di un treno che passa in lontananza; oppure, più vicina, proprio sotto la finestra, la guardia che si schiarisce la voce e per sgranchirsi le gambe fa lentamente qualche passo con i suoi stivaloni. La sabbia stride in modo così disperato, sotto quei passi, che nella notte scura e umida si sente risuonare tutta la desolazione e lo sconforto dell’esistenza. Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigionia invernale–e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità. E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non ne trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare. E anche nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello, se solo ci si presta orecchio. In quei momenti penso a voi, a quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso, perché anche voi possiate sentire questa ebbrezza e camminare su un prato dai mille colori. Non intendo in alcun modo saziarvi d’ascetismo, di gioie immaginarie. Vi concedo, anzi, ogni reale piacere dei sensi. Vorrei soltanto donarvi, in aggiunta, la mia inesauribile letizia interiore, così da poter essere serena riguardo a voi, pensando che attraversate l’esistenza avvolta in un mantello trapunto di stelle, in grado di proteggervi da quanto è meschino, dozzinale e angosciante.”

 

Buon Anno Nuovo, Buon 2022. Vi auguro ogni bene, soprattutto di provare questa gioia che viene dalla vita stessa.

giovedì 30 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/662. Quando le città si parlano tramite noi viaggiatori impollinatori

 


Così sono tornata nella città mai più silenziosa e una volta ancora scopro che le strade di Pescara e Bologna mi sono rimaste nei passi. Le strade di ogni città sono come il sistema circolatorio del corpo umano e quando le percorri, soprattutto per la prima volta, ti restano appiccicate alle suole. È questo uno dei molti modi in cui le città conversano, affidano ai nostri passi i loro messaggi e noi, inconsapevoli come gli insetti impollinatori, li trasportiamo. Cosa mai si saranno dette stamane Milano e Bologna e Pescara? Quest’ultima città sono certa che avrà mandato aria marina e vento, Bologna le sue lamentazioni per i canali scomparsi, perché sa che Milano può capirla e avrà invidiato un po’ tutti quei bei palazzi rossi. Con tutte queste immagini nel cuore e negli occhi ho ingrandito la mia città interiore, con tutte le conversazioni ho arricchito la mia conoscenza della letteratura, con l’amicizia di Elisabetta, Giorgia e Francesca, Simone e Enrico nuovi libri e nuove parole hanno fatto il nido nelle mie librerie, quella reale e quella immaginaria, due succursali dell’immensa Biblioteca di Babele ipotizzata da Borges. Com’è strano ritornare nella mia città, anche se sono stata via solo due giorni mi vengono sempre in mente i grandi ritorni dalle vacanze estive in Calabria, quando viaggiavamo tutta la notte e all’uscita di Melegnano ci si fermava all’Autogrill a fare colazione con cappuccino e brioche e a respirare quell’aroma inconfondibile cose deliziose con quello di smog, benzina, corpi stanchi, nebbia e nuvole basse. Era quello l’odore di Milano, che gioia ritornare! E sentire l’autunno nelle vene, l’inizio della scuola che si avvicinava, e un nuovo anno che iniziava a dispetto del calendario solare. Ogni istante che viviamo è sempre un miscuglio di nostalgia, desiderio di cose nuove e attenzione al tempo presente. Ogni istante è un dono e una condanna, lo so molto bene. Soprattutto oggi che continuo a pensare a un’amica scomparsa ieri, per me all’improvviso, perché non sapevo che fosse ammalata. Conoscevo Bianca Garavelli da una ventina d’anni, in passato abbiamo condiviso molte cene e pranzi, gite in campagna, presentazioni di libri, premi letterari, lunghe discussioni e serate di San Silvestro con Grazia e Danilo, Annalisa e Edoardo e nel tempo anche Dario. Era una donna coltissima Bianca, una fine e riconosciuta dantista, appassionata studiosa e brava scrittrice. Era ancora giovane e avrebbe avuto tanti anni ancora davanti a sé, se il tempo non l’avesse strappata da noi così presto. Negli ultimi anni ci eravamo incontrate poche volte, ma non potrò mai dimenticare la sua eleganza, l’amore per i colori, un vestito estivo di lino color malva con il cappello a larghe falde coordinato, una camicia da notte con vestaglia coordinata di seta verde smeraldo e pizzo nero che aveva indossato dopo il veglione almeno quindici anni fa. Ovunque tu sia mia perduta amica, spero che avrai già incontrato Dante e che passerai l’eternità a discutere con lui.

Oggi è giovedì 30 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 662 è dedicata a Bianca, a volte le cose importanti devono restare senza parole.

mercoledì 29 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/661. L’Ussaro sui tetti di Bologna, la Viaggiatrice instancabile e la Principessa in cima alla torre

 

Quando ripartiamo il mare resta per un po’ sulle nostre spalle come un mantello, oltre ai libri dell’andata ce ne sono di nuovi da guardare, sfogliare, leggere. Quasi non facciamo in tempo a partire che siamo arrivate a Bologna. Di buon passo andiamo nel secondo B&B di questo viaggio e la bellezza della città rossa ci lascia senza fiato. Ci siamo state diverse volte sia io che Elisabetta, ma senza fermarci mai a lungo. Io ci sono stata soprattutto per lavoro ma non ci ho mai dormito, sono molto emozionata di essere qui, soprattutto perché, finalmente, conoscerò di persona Simone. Come ogni volta che lo vedo, mi fa subito pensare a un ufficiale ussaro, gli mancano solo la giubba rossa con le ali d’aquila e l’alto colbacco di pelliccia. Cominciamo a camminare nella sua Bologna, la zona universitaria, la casa da studente, le osterie, i ristoranti, le librerie che non ci sono più. Poi Piazza grande, le Due Torri, le fontane, le strade, le case, le strade le case, la bellezza di una città che non ha perso il suo fascino e l’atmosfera che arriva dai secoli passati. Ci fermiamo alla chiesa di Santa Maria della Vita per andare a vedere il gruppo scultore “Compianto sul Cristo morto” di Niccolò dell’Arca. È di una tale potenza quel dolore che scaturisce dalle figure di terracotta che restiamo ammutoliti per un po’, prima di iniziare a scambiare impressioni e commenti. È tutto così bello, antico e gioioso in questa città che nasconde anche il canale di Reno, insospettato ospite tra le case rosse. Anche Bologna ha sotterrato, come purtroppo ha fatto Milano, la maggior parte dei suoi corsi d’acqua e fa male immaginare tutta la bellezza perduta di cui, a noi contemporanei, restano solo pochi scorci. Quando ormai è buio da un po’ ci raggiunge Francesca, anche lei è bellezza finalmente incarnata come ieri Giorgia e oggi pomeriggio Simone. Quel che ci ha fatti incontrare e ci ha uniti nel corso dell’ultimo anno è la passione per la letteratura, per i libri, per la scrittura. E poi i racconti di vita, le confidenze, l’amicizia che si rafforza, la condivisione, l’autenticità di queste relazioni. Pur nel caos della pandemia, nel dolore di alcune vicissitudini personali, noi ci siamo stati l’uno per l’altra e continueremo a esserci. La giornata termina con una tipica e interminabile cena bolognese, con le tagliatelle al ragù come piatto principale, e racconti, di nuovo tante storie che intrecciano le nostre gioventù, con il tempo presente e i progetti per il futuro.

 

Dove nascono i libri

 

Quando i bambini si

nascondono sotto al

tavolo, non cercano

di ritrovare quei luoghi

dove sono già stati, si

nascondono perché

il futuro non resiste ai

misteri e li va a cercare.

A volte con i mostri, a

volte con l’arte, a volte

con i libri. Quei bambini

battono nel petto di

ogni artista, puri e

intatti, non importa

quanti anni abbiamo

oggi. Noi viviamo ancora

in quel mistero, in quell’aria

rarefatta, tra quelle parole

remote che avrebbero

chiamato le nostre parole

sulle carta, una a una, in

fila, sillaba su sillaba, fino

alla fine di ogni libro.

 

 

Questa Cronaca 661 di mercoledì 29 dicembre del secondo Carnevale è dedicata a Simone Salomoni che ci ha offerto la sua città come un dono, Francesca Bersani intensa e delicata amante dell’arte, Elisabetta Giromini instancabile viaggiatrice anche quando è ferma.

martedì 28 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/660. Se Stephen King vive anche in riva all’Adriatico

 

 


 

L’ombra è ancora più vasta della luce alle otto del mattino, il treno parte veloce, il sonno è ancora tutto negli occhi. Eppure vince l’istinto del viaggio, un viaggio veloce, dove la nebbia della pianura viene sostituita dal mare, che appare all’improvviso dalle parti di Pesaro, e dalle dolci colline marchigiane che vengono subito raggiunte dalle dolci colline abruzzesi. In questo viaggio di andata, tra gli accompagnatori, ci sono anche Giorgia Tribuiani e Blu, Emily Bronte con Heathcliff, Bert Hellinger e le sue costellazioni, Fernando Pessoa e i suoi inquieti frammenti. In compagnia di bei libri i viaggi sono veloci, all’arrivo una città nuova per me ed Elisabetta si spalanca con i suoi odori, il suo fiume, il cielo che si apre in un azzurro marino, le case basse, il lungomare infinito, come tutti i lungomare adriatici. Una sosta rapida al B&B a lasciare gli zaini, la nostra amica Giorgia ci raggiunge, che gioia! Le strade ci accolgono con tutta la diffidenza che ogni strada ha nei confronti di piedi forestieri, ma solo per un momento. Le bancarelle natalizie, le luci, il mare, finalmente il mare, una veranda aperta sulla spiaggia, il profumo della salsedine e poi quello del pesce alla griglia. Quante cose si possono dire nel tempo benedetto di un pranzo arricchito dall’amicizia? Poi di nuovo una lunga passeggiata in centro, un caffè sedute all’aperto anche se la temperatura si è abbassata. Un altro passaggio al B&B e poi a cena a casa di Giorgia ed Enrico, una casa piena d’amore e di libri. La fiamma dell’amicizia scalda più di qualsiasi fuoco e abbiamo fatto mezzanotte in un soffio, con i libri di Stephen King che ci osservavano rapiti da svariati scaffali della libreria. E quel piccolo mondo, quella piacevole cittadina in riva al mare, quel cerchio magico formato dalla nostra amicizia, erano attraversati da mondi fantastici millenari e futuristici che abbiamo amato, letto o inventato. Ma era sempre lui, il signore della letteratura fantastica, ad avere vegliato sulle nostre parole.

 

 

Dove soffia il vento dell’immaginazione

 

 

Se dico fantastico, chiamo

l’immaginazione alla nostra

porta. Chi busserà per primo?

Quale uomo straordinario?

Quale leggenda? Sono tutti

qui con noi stasera, mostri

fantasmi e vampiri, creature

fantastiche, creature dell’immaginario.

Da una torre nera esce l’ultimo

cavaliere, che sarà il primo

a raggiungere quelle cime

tempestose dove il vento

della creazione soffia per

noi ogni giorno.

 

 

Questa Cronaca fantastica di martedì 28 dicembre del secondo anno senza Carnevale è dedicata a Elisabetta Giromini, compagna di viaggio, e Giorgia Tribuiani ospite impagabile. Sono accadute molte più cose e molti più racconti, di quanto non abbia accennato, sono passati tra noi. Ma è bello tenere nel guscio dell’amicizia quella creatura luminosa e fragile che è la confidenza, quel tempo condiviso che è stato solo nostro.

lunedì 27 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/659. Le cose vanno come vanno e non hanno l’impronta delle vostre mani

 



Tutto per fermare il tempo, facciamo di tutto. Fotografie e post su FB che ogni giorno ci presenta i ricordi degli anni passati. Foto e ancora foto su IG, stories, più immagini che parole.

In altri tempi le immagini stavano nella memoria, nell’immaginazione, nel teatro del sonno, nei sogni, nei dipinti. Ora possiamo replicarle all’infinito grazie alle tecnologie. E le parole? Le parole stavano nell’aria, nella memoria, nei libri, nella punta delle dita, nei quaderni. Ora stanno anche nelle misteriose memorie dei pc e degli smartphone. Da cosa ci viene questa smania di fermare il tempo quando sappiamo che è impossibile? Ora abbiamo anche questi supporti tecnologici, ma ancora oggi ci basta prendere un oggetto che ha una storia e tante immagini si affolleranno nella nostra mente e cercheranno le parole per essere dette.


Filastrocca dei giorni della settimana

 

 

Dove sono nascoste quelle

domeniche d’inverno dove

studiavo al tavolo della cucina

e mio padre mi interrompeva

per preparare la cioccolata?

Dove abbiamo riposto quegli

infiniti lunedì mattina alle sei,

quando con la prima sveglia

accendevamo la stufa elettrica

e il fuoco sotto la caffettiera?

Il martedì portava già il peso

delle cose iniziate, era un giorno

tondo di lavoro e spesa, il latte

era finito e mancava sempre

una cerniera per finire un vestito.

Il mercoledì aveva le guglie come

il Duomo, il giorno in mezzo

alla settimana, preludio dei

futuri piaceri lontani da uffici

e scuole. Se il giovedì era

sempre grasso, lo dobbiamo

alla felicità del fine settimana,

proprio dietro l’angolo del

giorno seguente. Il venerdì era

serio, sussiegoso e chiaro

nelle case e nelle strade. Selvaggio

se stavi su un’isola deserta e

avevi un naufragio nel cuore e

nelle mani. E il sabato, oh il sabato,

quale meraviglia in ogni villaggio!

Il mercato, le spezie, i panni stesi

ai balconi, le grida dei bambini,

il rotolare delle biciclette, i pattini,

le caramelle. Poi il silenzio domenicale,

le campane della chiesa, la tovaglia

ricamata sul tavolo da pranzo. Proprio

quella tovaglia che ora tengo in mano,

e piego per riporla nel mio cassetto,

un luogo nuovo che ha un altro odore,

un’altra storia e non ha l’impronta

delle vostre mani.

 

 

Vanno così le cose, vanno come vanno, più anni siamo stati insieme, più lungo sarà il distacco. Ma forse è impossibile staccarsi da quelle domeniche d’infanzia, dalle voci care dei nostri genitori, dal sorriso del fratellino che ancora non cammina. Per questo ho lasciato che le immagini e i ricordi irrompessero in questo lunedì 27 dicembre del secondo anno senza Carnevale e in questa Cronaca 659, aiutante della memoria e custode di molte infanzie.

domenica 26 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/658. La malinconia dei lampioni non è nostalgia della luce

 


 

Il giorno dopo è l’inizio di una nuova storia, forse di una nuova era. Com’è silenziosa la città mai più silenziosa, quanta malinconia provano i lampioni? Più per la luce o più per il buio? Ci sono poche persone a passeggio, un paio di coppie di anziani, una coppia con un passeggino e un’altra con una bimba che avrà un paio d’anni. All’improvviso la strada curva verso destra e mi ritrovo a camminare ai piedi delle Montagne della Nebbia, il luogo della mia anima che non ho frequentato, tanto quanto avrei voluto in questi ultimi mesi. Seguo il sentiero che porta sino alla spiaggia per respirare l’aria salata e lasciarmi incantare dalle onde quiete che cantano sempre la loro canzone. Se mi giro, vedo le cime delle Montagne, maestose e imbiancate, ma così lontane da sembrare un sogno. Ritorno sui miei passi e i miei amici lupi mi raggiungono correndo e saltando come fanno ogni volta che ci incontriamo. Quando entro nel giardino vedo il fumo che esce dal camino, luci piccole che illuminano i tavoli da lavoro, gli altri abitanti della casa sono tutti intenti a scrivere, immagino e penso che voglio farlo anch’io. Nella grande stanza di soggiorno non c’è nessuno, in cucina trovo Roxanne la badessa che sta preparando una zuppa, ma sul tavolo ci sono carta e penna. Mi fermo con lei, non abbiamo poi tante cose nuove da raccontarci, visto che in qualunque mondo ci parliamo spesso. Sbuccio un mandarino, butto un po’ di legna nella cucina economica e attizzo il fuoco nel camino. Si sta bene in questa stanza e lascio che oggi sia il fuoco a parlare con me.

 

 

Del silenzio e della neve

 

Non è mai la stessa forma,

cambia il fuoco in ogni

lingua, cambia ogni lingua

nella parola che l’ha chiamata.

Tace il fuoco e parla nella

quiete prima che il legno

inizi a crepitare e ci distragga

da questo silenzio rotondo e

perfetto. La fiamma è chiara

al centro, chiara come ogni

ricordo che non abbiamo scelto,

come ogni amore che non è

mai finito. Come, come, come

proseguire questo elenco di

mancanze e ripetizioni?

Guardo il fuoco come se mai

lo avessi visto. Forse è proprio

così, forse è lo sguardo nuovo

che rende nuova ogni cosa e

l’attesa. Del silenzio, della neve,

dei tuoi passi sul sentiero, non

solo nel mio ricordo.

 

 

Quando sono seduta a questa tavola la Musa della poesia trova sempre la strada per raggiungermi. È caldo tutto intorno e dentro, fuori è silenzio e la neve inizia a scendere e noi siamo insieme sempre, ovunque tu sia, qualunque cosa tu stia facendo.

 

Oggi è domenica 26 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 658 pisola già accanto al fuoco mentre io inizio a scrivere una storia nuova.

sabato 25 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/657. Sbucciare i mandarini e schiacciare le noci, anche questo è Natale

 

 

Sssttt, silenzio e ancora silenzio. Il giorno della nascita volge al termine, il bambino è entrato nel mondo e nel tempo. Non sapremo nulla, o quasi, della sua vita per molto, molto ancora. Una vita durata un soffio che ogni anno per noi inizia con l’Annunciazione, l’Avvento, la nascita e si conclude nella Pasqua dell’anno successivo, con la Crocefissione, la morte e la Resurrezione, la seconda nascita. È stata una giornata gioiosa, iniziata con un pranzo barocco, dove non mancava nessun piatto della tradizione e finita con una cena digestiva a base di tortellini in brodo che “sgrassano”, come dice ogni anno mia cognata. Tante chiacchiere, lo scambio dei regali, un pisolino, un film semi-comico. Quando si ritorna a casa non c’è in giro nessuno perché manca poco anche alla fine di questo giorno.


 

Di cosa ci parlano gli oggetti?

 

Quando hanno iniziato

le cose a non trovare

più il loro posto usuale?

Ci sono lenzuola sulla

tavola, i piatti in lavatrice

e i bicchieri in mezzo alle

spezie, la pasta tra le

piante sul davanzale e

così via. Cosa stanno

cercando di dire le cose?

Cosa non abbiamo capito?

Cosa abbiamo dimenticato?

Ogni oggetto fuori posto è

un messaggio che arriva da

qualcuno che amiamo e che

non è più con noi, in questo

tempo e nel suo spazio. Ma

ho imparato a leggere le cose,

la loro tristezza è la mia, mancano

le vostre parole, per questo

piange la teiera e i tovaglioli

sono stropicciati anche se

nessuno ne ha fatto uso.

Faccio i vostri nomi a voce

bassa, perché gli oggetti

vi portino questo mio saluto.

Non ho dimenticato, voi

siete sempre con noi, seduti

alla nostra tavola imbandita.

 

 

A Natale è facile lasciarsi prendere dalla tristezza perché alcune delle persone che amiamo non ci sono più. Ma preferisco scegliere la gioia di ricordarvi seduti con noi a questa tavola, la prova generale per il banchetto che divideremo nell’Eternità.

Questa Cronaca è dedicata al mio amico Maurizio che ha perso il suo papà da pochi giorni, a Francesca che ha perso la sua mamma, anche lei da poco, e a Luca, il fidanzato di Elisabetta che ha perso il suo papà l'anno scorso in questo stesso periodo.

Oggi è sabato 25 dicembre del secondo anno senza Carnevale e con il secondo Natale un po’ in sordina, ma questa Cronaca 657 sta ancora banchettando in onore dei vivi e dei morti, sbuccia mandarini e schiaccia le noci per tutti i commensali.

venerdì 24 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/656. Nel cuore dell’inverno il bambino divino abbandona la sua trascendenza per farsi uomo

 

 

Storie dell’Avvento/17. Ci sono racconti, una tavola imbandita, l’aria profuma di mandarini. Vieni a sederti con noi

 

Tutte le storie hanno un inizio, è il momento in cui scegliamo di tagliare il tempo e di fare di quella scena, di quelle parole le fondamenta di una narrazione. Lo si fa per istinto, lo si fa per vocazione e lo si fa per scelta, per accanimento e testardaggine. Per questo Parker sta nel suo capanno sul lago a chiacchierare con Jack London e in un’altra casa con un giardino ci sono Emma, il Signor Buio, lo gnomo senza nome e le bambine impossibili Lele e Riri. Ma per questa sera della Vigilia, posso fare un’altra cosa ancora e portarli tutti a cena con i personaggi della storia di Natale dell’anno scorso, con Bimba, Chino e Lino, Geppo e Miren. Il Natale è per me, insieme al giorno del compleanno, il giorno in cui un cerchio si chiude e uno si apre. È l’eterno ritorno della luce e della speranza. Gettati nel mondo da non si quali forze, non percepiamo il nostro eterno vagare, il nostro rotolare in questo spazio-tempo dove la nostra realtà è una costruzione quotidiana e dove la nostra immaginazione costruisce quel che in questo mondo non c’è più o non è mai stato. Questo è il nostro secondo anno senza Natale, un Natale in cui la narrazione dell’immunità di gregge si è frantumata contro l’aggressività di una variante, non è la prima, non sarà l’ultima. Possiamo sperare che i vaccini ci proteggano contro le manifestazioni peggiori dell’infezione, che ci evitino ricoveri, terapie intensive e morte. Proprio lei, la nera signora rimossa dalle narrazioni del reale e continuamente vissuta e rivissuta nei videogiochi, nei film horror, nei libri gialli. Il covid ci ha riportato a vivere, almeno in parte, nelle stesse condizioni dei nostri antenati che morivano di peste nera, lebbra e colera e influenza spagnola senza avere nessun vaccino a difenderli. Abbiamo guadagnato anni di vita, di benessere, di gioia quotidiana, abbiamo perduto l’incanto del mondo, la potenza numinosa del trascendente, quella ancor più misteriosa dell’arte. Eppure mi basta entrare in una chiesa qualunque della mia città, negli ultimi giorni ho visitato la Basilica di San Nazario in Brolo, una delle più antiche di Milano che si trova nell’omonima piazza, con la sua cappella di Santa Caterina; e la chiesa di Santa Maria degli Angeli e di San Francesco che è in piazzale Velasquez per sentire di nuovo quell’incanto. In questi due luoghi pressoché deserti ho sentito intatta la potenza della natività, del Dio che si incarna e trascende la sua onnipotenza per farsi bambino, una delle creature più fragili del pianeta. È sempre un lungo viaggio quello del bambino divino, un viaggio che inizia con un annuncio angelico e finisce su una croce. Ma l’Angelo ritornerà, ritorna sempre, e sempre il bambino nascerà nella prima famiglia non tradizionale della storia. Mentre scrivo in questo venerdì 24 dicembre del secondo anno senza Carnevale, la Cronaca 656 sta finendo di addobbarsi per il cenone e la festa che inizierà questa sera e finirà domani. Nella mia famiglia si festeggia sia con il cenone della Vigilia, che con il pranzo di Natale per far contenti tutti. Che è lo scopo dello stare insieme in queste ore. Ben protetti nelle nostre case, con buon cibo sulla tavola e i nostri cari intorno. Auguri a tutti e tutte – questo è il massimo dell’inclusività linguistica che intendo praticare – Buon Natale e che il bambino divino ci sfiori la mente con la sua grazia.

giovedì 23 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/655. Imparare a chiamare la solitudine con un altro nome

 


Storie dell’Avvento/16. Il richiamo della foresta

 

Ecco, aveva finito di scrivere la terza storia di Natale e l’aveva mandata alla rivista. Decise di non tornare in città, di non andare a nessuno dei numerosi party natalizi dove l’avevano invitata. Di solito si divertiva, ma quell’anno stava apprezzando più che mai la solitudine. Si chiese se la mancanza di un compagno, di figli e nipoti la facesse soffrire. Sorrise, come se qualcuno potesse vederla. Quella solitudine l’aveva difesa ferocemente, anno dopo anno, era per lei l’unica condizione possibile per una vita creativa. Ogni tanto doveva sparire dal mondo, ritirarsi nelle sue stanze dell’immaginazione e stare a vedere cosa sarebbe accaduto. Era quello che stava facendo e ne era contenta. Si alzò, si stirò la schiena, l’alba stava arrivando con il suo passo di leopardo delle nevi. Sorrise di nuovo e la belva nella sua mente ruggì. Era proprio ora di andare a dormire. Fu un sonno bianco, senza immagini e senza sogni, riposante e breve. Quando si alzò era quasi mezzogiorno, decise di andare giù fino al lago prima di pranzare. Il sole faticava a oltrepassare la coltre di nuvole grigie e compatte che si stendevano a perdita d’occhio. Mentre era quasi arrivata nel suo angolo di osservazione, sentì una specie di ruggito, tre spari in rapida sequenza e poi un silenzio innaturale. Chi era l’idiota che era andato a caccia vicino a casa sua? Quando arrivò nella radura che aveva individuato senza fatica, il grande cervo bianco stava fronteggiando l’enorme orso bruno che, però, non osava attaccarlo. Accasciato sulla neve e ben visibile, perché vestito di pelli come un indiano, stava un uomo dalla corporatura imponente. Sembrava addormentato, ma avvicinandosi vide che una chiazza rossa di sangue si allargava all’altezza della sua testa. Dopo l’ennesimo bramito, il grande cervo si slanciò in una corsa a zig tra gli alberi inseguito dall’orso. Parker poté così avvicinarsi all’uomo, anche se era quasi certa che fosse morto. Il segno degli artigli dell’orso partiva dalla fronte in alto a destra, sopra la tempia, sfiorava il sopracciglio sinistro e arrivava sino all’orecchio. Era un segno superficiale che andava a sovrapporsi ad altre cicatrici anche più estese e profonde che l’uomo aveva sul viso. Era ancora abbastanza giovane, più giovane di quanto non lo fosse lei, forse. Gli strofinò il viso con una manciata di neve e l’uomo emise un lamento. Il sangue copioso era uscito dal cuoio capelluto e non si trovava certo in pericolo di vita. Prima che potessero aprire bocca, il grande cervo bianco era tornato al galoppo e li aveva affiancati. Li seguì sino alla casa, anche se Parker aveva quasi l’impressione che lui li stesse scortando per proteggerli. Dopo che lei ebbe aperto la porta di casa, non fece in tempo a voltarsi che il cervo era sparito, mentre un branco di lupi era appena uscito dalla foresta, ma non con l’intenzione di avvicinarsi a loro. Dovevano avere già mangiato perché i giovani lupi si rotolavano nella neve, si rincorrevano sotto lo sguardo delle due madri e i due maschi non si davano pena di rimetterli in fila. “Grazie per avermi salvato, io sono Jack, e voi siete?”. C’era qualcosa di antico in lui, forse il modo di parlare, le maniere un po’ affettate, chissà. “Io sono Parker, e non c’è di che, ma credo sia stato il cervo bianco a salvare entrambi”. Andò a prendere la cassetta del pronto soccorso, mai usata prima, e gli disinfettò e bendò la ferita. Aveva davvero un che di selvatico quel cacciatore che sembrava uscito da un racconto di Jack London. Anzi, assomigliava a Jack London, almeno così le sembrava, soprattutto per via dei riccioli che gli sfuggivano sulla fronte. “Sai che mi ricordi un altro Jack? Jack London per la precisione”.

Lui spalancò occhi e bocca: “Ma io mi chiamo Jack London. E non credo di avere il piacere di conoscervi Miss”. Ma come dannazione parlava quello zotico?

 

Ecco che è arrivato giovedì 23 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 655 è pronta a tornare nella foresta, dove vivono scrittori e immaginazioni.

mercoledì 22 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/654. Fuggire nella notte che si accorcia, fuggire lontano dai fuochi

 



Storie dell’Avvento/15. Dopo la fanciulla è la sacerdotessa a indicare il cammino

 

Continuava a correre nel bosco senza sapere dove stesse andando, era buio e doveva stare lontana dai fuochi, se no l’avrebbero catturata. Correva come una cerbiatta braccata dai cacciatori, la sua stessa gente, quelli che l’avevano vista crescere e che una manciata di minuti prima erano pronti a sacrificare il suo cuore e la sua giovane vita per dissetare il suolo ricoperto di neve e il sole avvolto nella nebbia. Quando l’avevano scelta, cosa che sapeva sarebbe potuta accadere da anni, non aveva provato paura. Piuttosto un misto di curiosità e rassegnazione. Ma quando le avevano porto la ciotola con la bevanda allucinogena a base di funghi ed erbe che lei stessa sapeva raccogliere e preparare, la scagliò lontano da sé con un colpo di mano e si mise a correre come non aveva mai corso in vita sua. Aveva partecipato molte volte alla caccia, tutte le donne non sposate lo facevano, e sapeva riconoscere il respiro della preda braccata, il suo stesso respiro in quel frangente.

 

-     " Cerva, cerva della mia notte perché vuoi fuggire al tuo destino?

-      Chi mi chiama? Chi mi chiede conto della mia fuga e di questa corsa?

-      Cerva, cerva tu sei e nera, sorella della notte. Nessuna si ribella a questo destino. Nessuna se non una. Lei, quella che andrò a cercare notte dopo notte, prima di acconsentire al mio destino.

-      Non sapevo di avere gambe veloci e leggere, fuggo e penso alla stessa velocità. Ora ti ho riconosciuto mio signore. Tu sei il re cervo prima che il destino si compia. Ma la terra vuole anche il mio sangue prima del tuo, solo così la neve si scioglierà e il sole ritornerà, e il ghiaccio si creperà e scioglierà e noi sentiremo l’acqua cantare il canto misterioso della primavera.

-      Tu sei la prescelta, ma non per dare il sangue. Segui le tue gambe e arriva alla grotta d’oro, dove il sole risplende nel buio più profondo. Quella sarà la tua nuova dimora, i cacciatori non ti seguiranno sino a lì. Cerva, cerva della mia perfezione, tu sei la prescelta e io il tuo sposo divino. Amami prima che i fuochi si spengano e poi lascia che i lupi si possano cibare della mia carne e la terra bere il mio sangue. Io muoio nel dolore per poter risorgere. Non c’è nascita senza morte, il nuovo non può manifestarsi se il vecchio non gli cede il passo. Muore terrorizzato questo vecchio re, ma solo dopo che tu avrai lasciato andare la sua mano.

-      Tu sei il mio re e io la tua regina, il bambino divino, d’oro i riccioli e di cielo gli occhi, lo metteremo insieme nella culla. Ora vieni, mio sposo della notte. Amami sino a quando il lupo non ti chiamerà per nome".

 

Così aveva preso corpo una storia nuova, un miscuglio di leggende conosciute e di storie inventate. Parker decise che questa era una delle storie di Natale. Una delle tante, una delle prime. Ne avrebbe fatto un libro per il Natale dell’anno successivo, ne era certa. Ora doveva solo finire questa leggenda del re cervo e della sacerdotessa che sarebbe nata dalla morte della fanciulla.

 

Oggi è mercoledì 22 dicembre del secondo anno senza Carnevale, Milano è fredda e avvolta in una leggera coltre di nebbia. Le luci di Natale si moltiplicano alle finestre e ai balconi e sembra chiamino tutte queste storie, perché noi possiamo scriverle e leggerle. Questa Cronaca 654 lo sa, per questo gongola e si sente molto, molto importante.

martedì 21 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/653. Nel giorno del solstizio d’inverno tornano a splendere i miti

 


Storie dell’Avvento/14. Il re cervo e i lupi

 

Fuori era ancora buio, la neve scendeva fitta, il silenzio era assoluto. Un sogno l’aveva svegliata, un sogno marino, una spiaggia di sabbia rosa in un piccola isola del Mediterraneo.

La stufa era ancora tiepida, accese le luci basse sulla cucina e alla scrivania, preparò il caffè e poi iniziò a scrivere e il mondo intorno non esisteva più. Di tanto in tanto si fermava, chiudeva gli occhi, faceva qualche esercizio per il collo, allargava le dita e le stirava. Scriveva veloce come una dattilografa e le prime cartelle del racconto di Natale erano pronte. Rimase con gli occhi chiusi ancora per un po’, ma poi li aprì di colpo, c’era qualcuno fuori dalla finestra. Il mattino era entrato nella sua fase finale, l’orso era passato a salutarla senza che lei se ne accorgesse, come sempre, le impronte erano ancora ben visibili sulla neve fresca. Ma non era la presenza dell’orso ad avere fatto scattare il suo sesto senso. Fuori dalla finestra c’era un maestoso cervo bianco che la stava fissando. La pelliccia si confondeva con il manto nevoso alle sue spalle. Aveva occhi colore dell’ambra e il palco delle corna indicava un’età ragguardevole per la sua specie. Guardandola negli occhi il cervo girò la testa verso destra con un piccolo movimento, come se la stesse invitando a uscire. Si allontanò di corsa e poi tornò, fermo nella stessa posizione e di nuovo le fece cenno di uscire. La scrittrice infilò in fretta pantaloni imbottiti, stivali, giacca a vento, cappello e occhiali da sole e si precipitò fuori. Il cervo bianco era alto almeno due metri, le corna svettavano verso il cielo e il loro profilo si confondeva con quello degli alberi spogli nella radura dietro la casa. Com’era la leggenda del re cervo e della cacciatrice vergine? Si mise a ridere e lo seguì senza chiedersi cosa stesse facendo. Non si allontanarono poi molto dalla casa, avevano costeggiato il lago fino al capanno del vecchio Lee che ormai non ci andava più da un sacco di anni. il cervo bramì e strofinò il muso nella neve. Aveva voglia di giocare e lei lo accontentò mettendosi a correre in direzione opposta a quella dove si trovava lui, che la inseguì. Quando lei si fermò di colpo, lui fece altrettanto e scartò per non andarle addosso. Fu allora che, dopo essersi inginocchiato nella neve, il re cervo si sollevò sulle due zampe posteriori e aveva perso le sue sembianze di cervo e solo il re era rimasto. Ricoperto da pelli di orso bianco e volpi artiche, aveva i capelli così biondi da essere quasi bianchi, sovrastati dallo stesso palco di corna del cervo maestoso. La guardò e sorrise, emise un lunghissimo ululato e dalla foresta arrivò correndo un branco di lupi guidato da un maschio alfa nero e bianco e con gli occhi rossi. Cosa diceva la leggenda del re cervo? Oggi era il giorno del solstizio d’inverno, di questo era sicura. Cosa sarebbe accaduto? Quello che accadeva sempre, il re si avventò sui lupi e li allontanò da lei. Il cervo si fece sbranare, la notte era scesa veloce e mille fuochi rischiaravano la neve. Nell’ombra di queste luci remote, il re e il cervo danzavano allo stesso passo, il rito era compiuto, la notte aveva divorato la maggior parte del tempo, la notte più lunga e una delle più sacre, si era stesa su tutto l’emisfero settentrionale. Parker, così amava chiamarsi tra sé e se stessa, tornò nella casa riscaldata e si sedette a scrivere nello stesso posto che aveva lasciato qualche ora prima. Quanto era stato veloce il tempo? Quanto il cervo? Quanto la luce? Quanto la sua creatività mentre scriveva? Il re cervo le aveva indicato che doveva scrivere un’altra storia, non quella che aveva iniziato quel mattino. Prese un foglio nuovo e iniziò a scrivere una diversa storia di Natale.

 

Oggi è martedì 21 dicembre del secondo anno senza Carnevale, giorno del solstizio d’inverno e dell’apparizione di un animale che appartiene al mito e alle leggende. Cosa trarrà da questa visione Parker, la nostra scrittrice e compagna di queste ore? Se lo chiede anche questa Cronaca 653 che siede impaziente sul bordo della sedia in attesa di ascoltare questa nuova storia.

lunedì 20 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/652. La vita è meravigliosa disse l’angelo, la vita è vita disse la scrittrice

 


Storie dell’Avvento/13. Sprofondare sotto il peso del metallo e dell’inchiostro

 

La grande stufa divorava legna come un drago l’aria intorno. Era bello rientrare nel tepore della casa e provare quella sensazione di essere al sicuro, che niente di male sarebbe potuto accadere. Quella sensazione arrivava dritta dritta dall’infanzia, dai giorni precedenti il Natale, dove si portava in casa un giovane abete con le radici che era stato fatto crescere in un vaso e che con la primavera successiva, avrebbe provato il brivido di radicarsi, di scendere nella terra. C’erano palline di Natale che arrivavano dall’infanzia dei nonni, di vetro trasparente con delicate decorazioni di abeti verdi e fiocchi rossi. C’erano le boule de neige comprate a Parigi, con la torre Eiffel, Notre Dame e le Sacre Coeur, ricordo di un viaggio dei genitori. C’erano tre palline di vetro smaltato rosa, bianco e oro, le superstiti di una scatola da dodici, anche questa proveniente dall’Europa ma comprata da Bergdorf. C’erano le palline di legno intagliate dal nonno e dipinte da lei. C’erano quelle ricoperte di elaborati lavori all’uncinetto, come fossero delle teiere. C’era una mezza pallina rossa, ricordo del gatto Merlino che era riuscito a farla cadere proprio il suo ultimo Natale. Quante storie sono nascoste in questi semplici oggetti che stanno chiusi in una scatola per la maggior parte dell’anno. Mise il puntale a forma di stella cometa, quello era il momento del culmine, quando papà la prendeva in braccio per permetterle di compiere il rito. Ecco, aveva trovato la storia di Natale da scrivere per il New Yorker. Ma non sarebbe stata una storia dolce e rassicurante. Sarebbe stato il racconto di un Natale in cui le palline restano rinchiuse nella scatola e si chiedono come mai, cosa possa essere successo di così grave al punto da non meritare di uscire a festeggiare quel mese scarso privo di luce ma ricco di cibo. Cosa poteva essere successo allora? Certo, la morte di un componente della famiglia, la tremenda morte della madre. No, ancora più crudele, la morte della bambina che metteva la stella cometa in cima all’albero. Ma noi adulti, si chiese la scrittrice, siamo bambini che sono scomparsi o bambini che sono sopravvissuti all’infanzia? Poteva decidere di essere meno crudele, niente morti, bastava un divorzio, i genitori che litigano sempre perché il papà ha una relazione con la segretaria. Oppure la mamma con il dentista. Oppure lui con la cameriera del caffè sotto l’ufficio e lei con l’idraulico. Era terra di divorzi l’America e New York più di qualunque altra città al mondo. Però decise di scrivere anche una seconda storia di Natale, una storia agrodolce come quella di Auggie Wren raccontata da Paul Auster e diventata uno dei suoi film preferiti, Smoke, che guardava ogni anno intorno a Natale. Ecco, avrebbe scritto la storia di una donna che ripercorre la sua vita a partire dai film di Natale che l’hanno segnata. E doveva cominciare con La vita è meravigliosa di Frank Capra. Avrebbe scritto la storia a lieto fine sempre per la stessa rivista, ma avrebbe usato un altro dei suoi pseudonimi. La scrittrice che pensava di essere Fernando Pessoa, c’era da farsi venire le vertigini. L’albero di Natale era pronto, accompagnò se stessa a mettere la stella cometa in punta, era leggera, leggera come la bambina che era stata. Poi si mise al tavolo da lavoro, un tavolo di legno appena sgrezzato che le aveva costruito il nonno quando era ragazzina, non accese il computer, ma infilò un foglio nel rullo della macchina da scrivere Remington portatile su cui aveva imparato a battere a macchina. Era uno di quei giorni in cui le piaceva sentire il ticchettio metallico dei tasti e vedere la carta sprofondare sotto il peso del metallo e dell’inchiostro. Mentre lei si immerge nelle sue storie, noi lettori possiamo svolazzare per la stanza come un angelo di marzapane, atterrare sul davanzale, fare le smorfie all’orso che è passato a salutarla ma che lei non vede mai, ballare con le tazzine e la teiera come in un film Disney, e anche di questo lei non se ne accorge, perché sta vivendo in quell’altro mondo della sua immaginazione.

Bene, adesso prepariamoci a questi due racconti, cosa ci farà leggere per primo? Quello triste triste o quello litigioso? O magari ci sorprenderà con una storia degna dell’angelo Clarence?

Tamburello le dita sul tavolo, in attesa di scoprire io stessa qual è la storia più scalpitante e vera.

 

Oggi è lunedì 20 dicembre del secondo anno senza Carnevale, l’ultimo giorno d’autunno, mentre nel mondo impazza la variante Omicron e non si sa se i vaccini possano tenerla a bada. Nel dubbio, questa Cronaca 652 esce sempre con una vezzosa mascherina FPP2 di un bel rosso natalizio, con le renne e gli angioletti.

domenica 19 dicembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/651. Un grande talento per la solitudine e il silenzio

 

Storie dell’Avvento/12. Dove una donna pensa e guarda la superficie scintillante del lago ghiacciato

 

Tutto era bianco e scintillante intorno alla casa, così decise di uscire a fare una passeggiata sino al lago. Era coperta come solo in quel luogo era necessario fare, aveva messo anche occhiali da sole e un berretto di lana multistrato e multicolore. L’aria era cristallina e pungente, le piaceva godersi tutto quel nitore, compreso il suono meraviglioso di quella parola e le immagini che subito le evocava. Sentiva la neve scricchiolare sotto i suoi passi e candele di ghiaccio erano appese ai rami verdi dei pini e ai rami spogli delle betulle. Se i pini facevano tanto Monti Adirondacks, le betulle la trasportavano nella steppa siberiana e avrebbe voluto avere una slitta trainata dai cavalli, coperte di pelliccia e una meta difficilissima da raggiungere. Non fu difficile arrivare al lago, la superficie era ghiacciata e scintillante come le rive intorno. Un viaggiatore inesperto avrebbe potuto non accorgersi di essere arrivato a camminare sulla superficie dell’acqua, ma lei conosceva quel luogo dai tempi dell’infanzia, poteva muoversi alla cieca, riconoscere gli alberi dalla corteccia, la stagione dal profumo dell’aria. Non era la prima volta che andava a rifugiarsi da sola nel capanno costruito dai suoi nonni, ereditato da sua madre e poi ceduto a lei, quando la donna si era trasferita a vivere all’estero con il secondo marito, dieci anni dopo essere rimasta vedova. Era davvero il luogo dell’infanzia, dei giochi sfrenati d’estate, del nonno che le insegnava l’arte paziente della pesca, della nonna che le insegnava a intrecciare ceste e a raccogliere bacche e frutti di bosco che diventavano squisite marmellate e crostate indimenticabili. Si fermò a riflettere di quanto le piacesse usare gli aggettivi anche quando pensava. Era qualcosa che faceva d’istinto, sapeva che ogni sostantivo poteva brillare di maggior luce con accanto i giusti aggettivi. Sul lago Moran aveva trascorso i dieci anni felici dell’infanzia, in ogni stagione c’erano cose interessanti da fare, oltre alla pesca, nuotare e andare in canoa d’estate, raccogliere funghi e pigne in autunno, usmare i germogli in primavera, raccogliere i bucaneve, appiccicarsi le dita con le resina delle conifere e con il miele dei favi che erano sfuggiti agli orsi che abitavano nel fitto della foresta, così si diceva, ma che lei non aveva mai visto. L’anno in cui morì suo padre, a causa di un banale incidente d’auto, mamma si rifugiò con lei nel capanno per tutta l’estate, perché non voleva vedere nessuno, perché il dolore rende ancora più fragili e vulnerabili, bisogna proteggersi dal mondo e dai finti amici che del dolore altrui si nutrono. Proprio così le aveva detto mamma, anche se non aveva fatto nomi in merito, e questa affermazione aveva nutrito in lei una naturale diffidenza nei confronti degli altri esseri umani. Nonna le diceva che aveva un carattere da gatto, e di fidarsi del suo istinto. Per questo aveva deciso di non portare mai nessun uomo a trascorrere del tempo con lei nel capanno. Anzi, la maggior parte di quelli con cui ebbe una relazione neanche lo avevano saputo che quando spariva andava a rifugiarsi laggiù, solo pensavano che lei fosse in viaggio per lavoro. L’altra cosa che nessuno di quegli uomini sapeva, e solo poche, fidatissime amiche conoscevano, era che lei fosse una scrittrice tra le più vendute del paese. Aveva scelto un nom de plume all’inizio della carriera, quando ancora non sapeva bene cosa davvero le piacesse fare nella vita. A vent’anni, dieci anni dopo la morte del padre, sola nella grande casa del Village, aveva iniziato a scrivere racconti e a inviarli a tutte le riviste che conosceva, cui era abbonata sua madre, grande lettrice e donna curiosa. Aveva specificato nelle lettere di accompagnamento di voler essere pubblicata con il nome di Sylvia Parker Bishop, il nome e i cognomi di tre delle autrici più amate. Non aveva alcun istinto per il suicidio, né per l’autodistruzione, due tentazioni che sembravano imprescindibili dal talento letterario, ma aveva un grande talento per la solitudine e per il silenzio. Questo faceva per lei la differenza, questa era la cifra della sua scrittura. Ai racconti della ricca e interessante vita della sua città, alternava storie di viaggio, di fughe e di ritorni. La maggior parte della gente voleva scappare dalla propria vita, lo aveva imparato stando seduta per ore nel bistrot vagamente parigino dove passava il tempo ad ascoltare i vicini di tavolo fingendo di stare leggendo, o a scrivere quei racconti scintillanti, sì proprio scintillanti, che rendevano giustizia all’atmosfera dell’ambiente artistico della capitale del mondo e allo spirito del tempo. Erano ancora gli anni Ottanta del Ventesimo secolo, l’adrenalina dei due decenni precedenti ancora scorreva nelle vene delle persone e delle città. Il male sarebbe arrivato nei decenni successivi, l’epidemia di AIDS, le guerre in Iraq e Afghanistan, l’attentato alle torri gemelle, la crisi finanziaria, le ondate migratorie che premevano sui confini, gli uragani fuori stagione, poi la pandemia, arrivata come un assassino invisibile in un romanzo che sembrava di color rosa e non lo era. Anche le sue storie sembravano storie di famiglie e persone felici, ma non lo erano mai davvero, mai tutti, mai insieme. Succedeva sempre quella piccola cosa, Anna Karenina che nota le orecchie del marito o Gabriel che sente la neve cadere alla fine di Gente di Dublino. Con gli anni era diventata un’esperta anche nel fare bilanci sommari e sempre provvisori della sua vita e le riusciva proprio bene. Cominciava ad avere freddo e decise di tornare al capanno.

 

Oggi è domenica 19 dicembre del secondo anno senza Carnevale e questa scrittrice misteriosa è venuta a cercarmi questa mattina, mentre ero ancora intrappolato in un affollato dormiveglia. Così ho deciso di condividere con questa Cronaca 651 le sue riflessioni in riva al lago.