venerdì 30 settembre 2016

io sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananza

5 Dicembre 1933
Dearest Irma,
le tue lettere sono un tesoro che non riesco neppure a rileggere tanto sono preziose.
Le tengo chiuse in un cassetto…
La mia filosofia?
Non ne ho.
Ne hanno estratto più di una dai miei versi, ma a torto.
Per me la poesia è questione di memoria e dolore.
Mettere insieme il maggior numero possibile di ricordi e di spasimi, e usare la forma più interiore e più diretta.
Non ho fantasia; mi occorrono anni per accumulare poche poesie.
L’esecuzione materiale, poi, è rapida ; spesso è questione di minuti.

Mia cara Irma, io sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananza, ma tu meritavi qualcosa di meglio!

Io sarò sempre tuo, a tua disposizione, pronto a fare quello che vorrai, e persino a pensare quello che vorrai farmi pensare…
Non desidero di meglio che pensare con la tua testa e vedere coi tuoi occhi.
Eugenio Montale a Irma Brandeis

giovedì 29 settembre 2016

le tue labbra, ospiti tardivi

Ritratto di un’ombra
I tuoi occhi, orma di luce dei miei passi;
la tua fronte, solcata dal lampo delle spade;
i tuoi sopraccigli, orlo della rovina;
le tue ciglia, messi di lunghe lettere;
i tuoi riccioli, corvi, corvi, corvi;
le tue guance, stemma del mattino;
le tue labbra, ospiti tardivi;
le tue spalle, statua dell’oblio;
i tuoi seni, amici delle mie serpi;
le tue braccia, ontani alla porta del castello;
le tue mani, tavole di morti giuramenti;
i tuoi fianchi, pane e speranza;
il tuo sesso, legge dell’incendio boschivo;
le tue cosce, ali nell’abisso;
i tuoi ginocchi, maschere della tua boria;
i tuoi piedi, teatro d’armi dei pensieri;
le tue piante, cripte di fiamme;
la tua orma, occhio del nostro addio.
Paul Celan
grazie al blog Berlino Cacio e Pepe per averla condivisa

Bildnis eines Schatten
Deine Augen, Lichtspur meiner Schritte;
deine Stirn, gefurcht vom Glanz der Degen;
deine Brauen, Wegrand des Verderbens;
deine Wimpern, Boten langer Briefe;
deine Locken, Raben, Raben, Raben;
deine Wangen, Wappenfeld der Frühe;
deine Lippen, späte Gäste;
deine Schultern, Standbild des Vergessens;
deine Brüste, Freunde meiner Schlangen;
deine Arme, Erlen vor dem Schloßtor;
deine Hände, Tafeln toter Schwüre;
deine Lenden, Brot und Hoffnung;
dein Geschlecht, Gesetz des Waldbrands;
deine Schenkel, Fittiche im Abgrund;
deine Kniee, Masken deiner Hoffart;
deine Füße, Walstatt der Gedanken;
deine Sohlen, Flammengrüfte;
deine Fußspur, Auge unsres Abschieds

mercoledì 28 settembre 2016

La parola vento

In fondo, cerco anche di costruire le frasi più semplici con le parole più semplici, cioè le più pure. La parola vento, la parola caldo, la parola freddo. Non con parole astratte, ma con parole concrete. Scrivo usando parole-materia. La parola-materia è l'equivalente del colore puro. Sono parole che hanno per tutto il mondo lo stesso significato. Se prendo una parola astratta, non ci sono tre persone che danno ad essa lo stesso valore.

Le parole-materia di Gerorges Simenon
grazie a Luisa Carrada per la segnalazione

martedì 27 settembre 2016

volevo la tempesta

«Sentirai il tuono
e mi ricorderai,
pensando: lei voleva la tempesta».

Anna Achmatova

lunedì 26 settembre 2016

Un albero è alleanza tra il vicino e il perfetto lontano

Un albero ha bisogno di due cose: sostanza sotto terra e bellezza fuori. Sono creature concrete ma spinte da una forza di eleganza. Bellezza necessaria a loro è vento, luce, uccelli, grilli, formiche e un traguardo di stelle verso cui puntare la formula dei rami. La macchina che negli alberi spinge linfa in alto è bellezza, perché solo la bellezza in natura contraddice la gravità. Senza bellezza l’albero non vuole. Perciò mi fermo in un punto del campo e chiedo: “Qui vuoi?”. 
Non mi aspetto una risposta, un segno nel pugno in cui tengo il suo tronco, però mi piace dire una parola all’albero. Lui sente i bordi, gli orizzonti e cerca un punto esatto per sorgere. 
Un albero ascolta comete, pianeti, ammassi e sciami. Sente le tempeste sul sole e le cicale addosso con la stessa premura di vegliare. Un albero è alleanza tra il vicino e il perfetto lontano. 

Erri De Luca

Tre cavalli
Feltrinelli 1999 

Una giornata nuova di zecca

Svegliandomi questa mattina, sorrido. Ventiquattro ore nuove di zecca sono davanti a me.

Thích Nhat Hanh

sabato 24 settembre 2016

perché io sono io, e perché non sei tu?

Elogio dell’infanzia

Quando il bambino era bambino,
camminava con le braccia ciondoloni,
voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente
e questa pozzanghera il mare.

Quando il bambino era bambino,
non sapeva di essere un bambino,
per lui tutto aveva un’anima
e tutte le anime erano un tutt’uno.

Quando il bambino era bambino
non aveva opinioni su nulla,
non aveva abitudini,
sedeva spesso con le gambe incrociate,
e di colpo si metteva a correre,
aveva un vortice tra i capelli
e non faceva facce da fotografo.

Quando il bambino era bambino,
era l’epoca di queste domande:
perché io sono io, e perché non sei tu?
perché sono qui, e perché non sono lì?
quando comincia il tempo, e dove finisce lo spazio?
la vita sotto il sole è forse solo un sogno?
non è solo l’apparenza di un mondo davanti al mondo
quello che vedo, sento e odoro?
c’è veramente il male e gente veramente cattiva?
come può essere che io, che sono io,
non c’ero prima di diventare,
e che, una volta, io, che sono io,
non sarò più quello che sono?

Quando il bambino era bambino,
si strozzava con gli spinaci, i piselli, il riso al latte,
e con il cavolfiore bollito,
e adesso mangia tutto questo, e non solo per necessità.

Quando il bambino era bambino,
una volta si svegliò in un letto sconosciuto,
e adesso questo gli succede sempre.
Molte persone gli sembravano belle,
e adesso questo gli succede solo in qualche raro caso di fortuna.

Si immaginava chiaramente il Paradiso,
e adesso riesce appena a sospettarlo,
non riusciva a immaginarsi il nulla,
e oggi trema alla sua idea.

Quando il bambino era bambino,
giocava con entusiasmo,
e, adesso, è tutto immerso nella cosa come allora,
soltanto quando questa cosa è il suo lavoro.

Quando il bambino era bambino,
per nutrirsi gli bastavano pane e mela,
ed è ancora così.

Quando il bambino era bambino,
le bacche gli cadevano in mano come solo le bacche sanno cadere,
ed è ancora così,
le noci fresche gli raspavano la lingua,
ed è ancora così,
a ogni monte,
sentiva nostalgia per una montagna ancora più alta,
e in ogni città,
sentiva nostalgia per una città ancora più grande,
ed è ancora così,
sulla cima di un albero prendeva le ciliegie tutto euforico,
com’è ancora oggi,
aveva timore davanti a ogni estraneo,
e continua ad averlo,
aspettava la prima neve,
e continua ad aspettarla.

Quando il bambino era bambino,
lanciava contro l’albero un bastone come fosse una lancia,
che ancora continua a vibrare.

Peter Handke

poesia scritta per il film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders
grazie al blog Berlino cacio e pepe per averla condivisa

Lied Vom Kindsein

Als das Kind Kind war,
ging es mit hängenden Armen,
wollte der Bach sei ein Fluß,
der Fluß sei ein Strom,
und diese Pfütze das Meer.

Als das Kind Kind war,
wußte es nicht, daß es Kind war,
alles war ihm beseelt,
und alle Seelen waren eins.

Als das Kind Kind war,
hatte es von nichts eine Meinung,
hatte keine Gewohnheit,
saß oft im Schneidersitz,
lief aus dem Stand,
hatte einen Wirbel im Haar
und machte kein Gesicht beim fotografieren.

Als das Kind Kind war,
war es die Zeit der folgenden Fragen:
Warum bin ich ich und warum nicht du?
Warum bin ich hier und warum nicht dort?
Wann begann die Zeit und wo endet der Raum?
Ist das Leben unter der Sonne nicht bloß ein Traum?
Ist was ich sehe und höre und rieche
nicht bloß der Schein einer Welt vor der Welt?
Gibt es tatsächlich das Böse und Leute,
die wirklich die Bösen sind?
Wie kann es sein, daß ich, der ich bin,
bevor ich wurde, nicht war,
und daß einmal ich, der ich bin,
nicht mehr der ich bin, sein werde?

Als das Kind Kind war,
würgte es am Spinat, an den Erbsen, am Milchreis,
und am gedünsteten Blumenkohl.
und ißt jetzt das alles und nicht nur zur Not.

Als das Kind Kind war,
erwachte es einmal in einem fremden Bett
und jetzt immer wieder,
erschienen ihm viele Menschen schön
und jetzt nur noch im Glücksfall,
stellte es sich klar ein Paradies vor
und kann es jetzt höchstens ahnen,
konnte es sich Nichts nicht denken

und schaudert heute davor.

Als das Kind Kind war,
spielte es mit Begeisterung
und jetzt, so ganz bei der Sache wie damals, nur noch,
wenn diese Sache seine Arbeit ist.

Als das Kind Kind war,
genügten ihm als Nahrung Apfel, Brot,
und so ist es immer noch.

Als das Kind Kind war,
fielen ihm die Beeren wie nur Beeren in die Hand
und jetzt immer noch,
machten ihm die frischen Walnüsse eine rauhe Zunge
und jetzt immer noch,
hatte es auf jedem Berg
die Sehnsucht nach dem immer höheren Berg,
und in jeder Stadt
die Sehnsucht nach der noch größeren Stadt,
und das ist immer noch so,
griff im Wipfel eines Baums nach dem Kirschen in einemHochgefühl
wie auch heute noch,
eine Scheu vor jedem Fremden
und hat sie immer noch,
wartete es auf den ersten Schnee,
und wartet so immer noch.

Als das Kind Kind war,
warf es einen Stock als Lanze gegen den Baum,
und sie zittert da heute noch.

venerdì 23 settembre 2016

la scrittura immersa in una luce solare

A me e a Pavese, Calvino portava da leggere i suoi racconti.
Erano scritti a mano, in una calligrafìa minuta, arrotondata e fitta di cancellature. Ci sembravano molto belli. Vi si scorgevano paesaggi festosi, immersi in una luce solare; a volte le vicende erano vicende di guerra, di morte e di sangue, ma nulla sembrava offuscare l’alta luce del giorno; e non
un’ombra scendeva mai su quei boschi verdi, frondosi, popolati di ragazzi, di animali e di uccelli. Il suo stile era, fin dall'inizio, lineare e limpido; divenne più tardi, nel corso degli anni, un puro cristallo. In quello stile fresco e trasparente, la realtà appariva screziata, variegata, e colorata di mille colori; e sembrava un miracolo quella festosità, quella luce solare, in un’epoca in cui lo scrivere era abitualmente severo, accigliato e parsimonioso e nel mondo che tentavamo di raccontare non regnava che nebbia, pioggia e cenere.

Natalia Ginzburg ricorda Italo Calvino
L'Indice dei Libri del Mese
settembre - ottobre 1985

giovedì 22 settembre 2016

La rosa è fuori città

Autunno

Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più rotondo.
La rosa è fuori città.
L’acero indossa una sciarpa più gaia.
La campagna una gonna scarlatta,
Ed anch'io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello.

Emily Dickinson


XXVIII.
Autumn

The morns are meeker than they were,
The nuts are getting brown;
The berry's cheek is plumper,
The rose is out of town.

The maple wears a gayer scarf,
The field a scarlet gown.
Lest I should be old-fashioned,
I'll put a trinket on.

mercoledì 21 settembre 2016

Le poesie bussano alla porta del poeta

Le sue poesie trasmettono un'infinita libertà. Come nascono?
"Quelle di pochi versi arrivano da sole, bussano alla porta e io apro. Cammino, mi parlo nella mente, scrivo un paio di versi e correggo. Nelle poesie lunghe, come La patria, c'è un intero sistema di pensiero. Nelle brevi la concentrazione è immediata".

Quando una poesia è riuscita?
"Quando si muove. Deve attraversare un territorio. Può anche sembrare bella, ma se resta ferma nel suo tempo e nella sua idea, senza un prima e un dopo, è mezza morta. Che siano tre versi o 300, bisogna che accada qualcosa. Dev'esserci una sorpresa del pensiero. Un eros nella parola".

Lei dà sostanza poetica a

parole comuni, quotidiane.
"Non ci sono parole belle o brutte. Tutte sono stupende. Purché siano reali e pertinenti. Spesso le parole sono usate in modo orribile, e alcune vengono logorate dall'uso. Perciò bisogna aspettare che ritrovino un'innocenza".


frammenti dell'intervista di Leonetta Bentivoglio alla poetessa Patrizia Cavalli
Repubblica mercoledì 7 settembre 2016

martedì 20 settembre 2016

Tu non evaderai dalla prigione della mia poesia

Cosa ho detto allo scoiattolo

Ti ho sottratto all'anonimato del fogliame,
al rifugio mediocre della nocciola.
Ti ho scaraventato nella luce
chiamandoti rosso irsuto,
determinando il tuo salto e il tuo scopo.
Tutto quello che fai mi appartiene
anche se tu d’un tratto
ti mettessi a nuotare nella ghiaia
o a rosicchiare grossi tocchi di cartone
o ad aprire e chiudere, ad oltranza,
i tuoi occhi meccanici
non riuscirai a distrarmi.
Tu non evaderai dalla prigione della mia poesia.

Nina Cassian
C'è modo e modo di sparire
Poesie 1945-2007
traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica
Adelphi 2013

lunedì 19 settembre 2016

E adesso quale parola domare?

Vivarium

Nel luogo spoglio ormai,
nel luogo di passate ossessioni
io pianto questo attacco di poesia
estratto dalla manica sontuosa degli abeti,
dedotto dalla stridula disperazione
con la quale gli uccelli annunciano
che l’inverno continua, deviato
dall'eruzione della neve in tormenta.

I dodici animali
che per un mese in me hanno preso stanza
mi hanno abbandonato.
Nessuno più che urli
né guaisca
né sbatta le ali accanto a me.

E adesso
quale parola domare?

Nina Cassian
C'è modo e modo di sparire
Poesie 1945-2007
traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica
Adelphi 2013

domenica 18 settembre 2016

Settembre, al Molinetto del Lorenteggio

Il mese delle tane. Nell’aria si sente l’odore dell’inverno che si avvicina. Nelle strade risuonano i passi di chi sta cercando rifugio. Le albe arrivano piano, ammantate dalle prime foschie. Odore di bagnato, è questo che regalo a settembre. Fermarsi nell’autogrill al casello di Melegnano, annusare l’aroma forte della benzina, nei bagni dietro la stazione, quello acre di chi ha trascorso la notte viaggiando. Entrare nel bar e ordinare un caffè e un cappuccino, comprare il giornale, leggere i progetti nei visi stanchi degli altri viaggiatori. Tra poco saranno a Milano, le vacanze sono davvero finite. È questo l’inizio dell’anno nuovo. Rituali di un mondo in estinzione, si compiono di nuovo in questi inizio di mese. Riaprono le grandi fabbriche del nord, benché non si sappia fino a quando. L’aria già pesante si ispessisce ancora di più. Entrano gli operai, ormai
invisibili nelle statistiche e nella nuova sociologia. Finito il lavoro, finita la fabbrica come luogo di creazione di identità. Finito il modello fordista, dicono. Chi lo viveva, quel modello, ne sentirà davvero la mancanza? Non credo, come si può sentire la mancanza di otto ore di schiena spezzata, a mettere insieme pezzi di oggetti destinati all’usura e in quei gesti consumare la propria vita? Ma almeno si poteva dire: sono un operaio dell’Alfa, della Breda, della Marelli, dell’Ansaldo. Ora sono un cassaintegrato, un pensionato, nessuno. Se non produco non sono nessuno, ecco la folla degli invisibili che sale, come un’onda di marea, per le vie deserte della città. Tra poco riapriranno anche le scuole, il traffico lieviterà come un fungo impazzito, madri frettolose e padri distratti porteranno i figli sino al portone delle elementari. I negozi hanno cambiato di nuovo colori. Ora è tutto un apparire di zaini sgargianti quasi sempre più grandi
dei bambini, di diari di eroi dei fumetti, uno in particolare dovrebbe traslocare a Milano, si chiama Dylan e qui in città lo leggono tutti. I suoi fantasmi, i suoi incubi, già ci abitano in questa città. Riappaiono puntuali anche i venditori ambulanti, tanto dopo un po’ non ci si fa più caso. Riappaiono gli strilloni dei giornali di strada, sono tanti, anche se forse il più famoso è Terre di Mezzo. Le terre abitate dagli invisibili, da quelli che noi vorremmo non vedere.
Ma ritornano, indisponenti come coscienze che non si arrendono allo spirito del tempo. Sono terre che i nostri passi rifiutano di calpestare, sono mondi che i nostri cuori rifiutano di conoscere. Ma sono una delle anime di questa città desolata che non spera in nessuna redenzione e cieca annega, nel lavoro e nelle apparenze, la sua umanità dolente. Ma se si ha questo piccolo coraggio, varcare quella soglia, quest’ora che pare avvolta in veli pesanti, può
placare le inutili preoccupazioni delle notizie lette sui giornali, dei pettegolezzi variamente mascherati da attualità e cultura che infestano anche i pochi di buon senso. Ecco che uno squarcio si apre sul mondo degli invisibili, un varco in uno degli universi paralleli che popolano questa città. I più avventurosi, degli abitanti visibili della città, frequentano i ristoranti etnici che aumentano di giorno in giorno: eritrei, senegalesi, indiani. Qualcuno riesce anche a stupirsi della povertà di quelle cucine, meglio non andarci più di un paio di volte all'anno.
Ma queste porte sugli altri universi si chiudono tanto veloci quanto veloci si sono aperte. A nessuno è dato di abitare per più di qualche ora in un mondo che non gli appartiene.
Tutti tornano alla fabbrica, alla banca, all'ufficio, ai panini veloci, mangiati in piedi, tornano ai telefoni che squillano incessanti, tornano alle code serali del supermercato, all'aperitivo rubato prima di tornare a casa, allo sguardo prolungato di un collega nuovo che lavora al secondo piano. Se avessi un respiro sarebbe il respiro di un sofferente.
A settembre non piove quasi mai, a causa dell’ozono si sconsiglia a vecchi e bambini di uscire per strada. Ma uscire di strada per fare cosa? Intrappolarsi in corso Vercelli o in Corso Buenos Aires a guardare i negozi, ecco che appaiono i primi vestiti invernali. Quest’anno ancora le scarpe con le punte quadrate, come quando eri bambina. Vedere tornare di moda capi d’abbigliamento di adolescenze e infanzie lontane, questo è segno dell’essere passati di moda. Grande intuizione e addio moda, tra poco cominciano le sfilate di non si sa mai quale futura stagione. Chissà se faremo vacanze l’anno che verrà. Cos’altro succede di questi tempi?
Escono i nuovi film nelle sale di prima visione, pare che ci sia più gente che in passato al cinema, soprattutto di pomeriggio. Escono mucchi di nuovi libri, è un po’ una rentrée, anche se di consistenza di molto inferiore a quella francese o americana. Questo preteso cosmopolitismo è la mia più evidente malattia che finisce con il far risaltare tutti i tratti da città di provincia che posseggo. Però riprendono anche le attività culturali, fioriscono le associazioni e questo è un tratto che della città piace, e non solo agli intellettuali.
Libreria Utopia, Casa della Cultura, Punto Rosso, Libreria delle Donne, Casa Zoiosa, Libera Università delle Donne. Ce ne sono tanti, ma non abbastanza per sfamare tutti i bisogni inconfessati dei divoratori di libri, degli affamati di idee. Ce ne sono più di quanti non si creda in questa strana città. Consumatori abituali di razioni massicce di parole stampate.
Leggere per essere altro da quel che si è, leggere per scoprire quel che si è, leggere per essere altrove, leggere per alzare gli occhi e non vedere intorno a sé solo palazzi e visi annoiati, ma scorgere la nuvola a forma di drago, i bambini che corrono tra passanti esausti, vecchi
che giocano con i cani. Ma è settembre, settembre, ripeterlo come una cantilena.
È settembre, le giornate si accorciano, gli amori finiscono. Meglio non innamorarsi a settembre, questi amori nascono difettosi, è raro che vadano oltre le lunghe nebbie dell’inverno.
Meglio prepararsi, preparare le tane, foderarle di libri e scorte contro il freddo e contro il buio. Chiudersi nelle proprie piccole malinconie, andare a letto presto la sera. Ma prima uscire a passeggiare poco dopo il tramonto, mentre i lampioni si illuminano e per un momento quasi impercettibile tutto si acquieta e io divento silenziosa. Poi tornare in casa, ascoltare Köln Concert di Jarret e respirare l’aria umida della sera incombente. Indossare abiti neri e prepararsi a una notte di festa, anche senza molta voglia di stare in mezzo alla gente.


Elena Petrassi
Frammenti del tredicesimo mese
Atì editore 2007

sabato 17 settembre 2016

la tua mano, stretta nella mia, è fatta di sogni

La separazione

Quasi con invidia leggo le opere dei miei contemporanei
su divorzi, addii, il dolore delle separazioni;
sofferenza, nuovi inizi, piccole morti;
lettere lette e bruciate, bruciare e leggere, fuoco e cultura,
ira e disperazione – magnifica materia per una poesia riuscita;
un duro giudizio, a volte una risata sarcastica di superiorità morale,
e insieme definitivo trionfo della continuità individuale.

E noi? Non ci saranno elegie, né sonetti sulla separazione,
non ci dividerà lo schermo dei versi,
non si porrà fra noi una metafora riuscita,
l’unica separazione che ora ci minaccia è il sonno,
il profondo antro del sonno la cui soglia varchiamo separati,
- e devo sempre ricordare che la tua mano,
stretta nella mia, è fatta di sogni.

Adam Zagajewski
Dalla vita degli oggetti 
a cura di Krystyna Jaworska
Adelphi 2012

venerdì 16 settembre 2016

si scrive perché non si sa cosa si vuol dire

Quando scrivi - una forma qualsiasi di scrittura - ti accorgi se ti stai avvicinando alla “cosa” oppure no. Avverti una sorta di meccanismo sensorio, una specie di feedback continuo senza il quale non si potrebbe scrivere. È ingenuo pensare che la scrittura sia un semplice processo in due tempi: prima decidi cosa vuoi dire e poi lo dici. Al contrario, come tutti sanno, scrivi perché non sai cosa vuoi dire. È la scrittura a rivelarti quello che volevi dire, anzi a volte è lei che costruisce quello che vuoi o che volevi dire. Quello che rivela (o asserisce) può essere anche diverso da quanto all'inizio credevi (o immaginavi) di voler dire. È questo il senso in cui si può affermare che la scrittura ci scrive. La scrittura mostra o crea (e non sempre siamo in grado di distinguere una cosa dall'altra) quello che era il nostro desiderio un momento prima.

J. M. Coetzee
Doppiare il capo
traduzione di Maria Baiocchi e  Paola Splendore
Einaudi 2011

giovedì 15 settembre 2016

io resto e me ne vado: sono una pausa.

Tra l’andarsene e il restare dubita il giorno,
innamorato della sua trasparenza.
La sera circolare è già baia:
nel suo quieto viavai oscilla il mondo.
Tutto è visibile e tutto è elusivo,
tutto è vicino e tutto è intoccabile.
I fogli, il libro, il bicchiere, la matita
riposano all'ombra dei loro nomi.
Palpitare del tempo che nelle mie tempie ripete
la stessa ostinata sillaba di sangue.
La luce fa del muro indifferente
uno spettrale teatro di riflessi.
Nel centro di un occhio mi scopro;
non mi guarda, mi guardo nel suo sguardo.
Si dissipa l’istante. Senza muovermi,
io resto e me ne vado: sono una pausa.

Octavio Paz
Il fuoco di ogni giorno
Albero interiore (1976-1987)
traduzione di Ernesto Franco
Garzanti 1992

mercoledì 14 settembre 2016

L'acqua che puoi tenere in una mano


L'acqua che puoi tenere in una mano

È vero può sembrare un'unità di misura piuttosto vaga, ma quando stai facendo un castello di sabbia sulla spiaggia e hai deciso di scavare un fossato intorno alle stanze del re, d'un tratto questa parola assume un senso inaspettato.

Ella Frances Sanders
Lost in translation
traduzione di Ilaria Piperno
illustrato dall'autrice
Marcos y Marcos 2015

martedì 13 settembre 2016

I libri sono molto di più

Lettera a Borges

Lei ha detto che dobbiamo alla letteratura tutto ciò che siamo, o siamo stati. Se spariranno i libri, sparirà la storia, e spariranno anche gli essere umani. Sono certa che lei abbia ragione. I libri non sono soltanto la somma arbitraria dei nostri sogni, e la nostra memoria. Ci offrono anche un modello di auto-trascendenza. C'è chi pensa che la lettura sia soltanto una forma di evasione: un'evasione dal mondo «reale» di tutti i giorni, verso un mondo immaginario, il mondo dei libri. I libri sono molto di più. Sono una maniera per essere pienamente umani.

frammento della lettera a Borges che si può leggere per intero sul sito di Indipendent

Susan Sontag
Odio sentirmi una vittima
Intervista su amore, dolore e scrittura con Jonathan Cott
traduzione di Paolo Dilonardo
ilSaggiatore 2016



You said that we owe literature almost everything we are and what we have been. If books disappear, history will disappear, and human beings will also disappear. I am sure you are right. Books are not only the arbitrary sum of our dreams, and our memory. They also give us the model of self-transcendence. Some people think of reading only as a kind of escape: an escape from the "real'' everyday world to an imaginary world, the world of books. Books are much more. They are a way of being fully human.

lunedì 12 settembre 2016

noi vigiliamo la nostra distanza

I leoni sul sagrato

C'è un luogo dove dormi 
e il tuo respiro 
io non lo sento, non lo sento mai. 

Fra i nostri due riposi 
è la città spavalda 
strade, fragori, alterchi, gente e tetti 
e come due leoni sul sagrato 
remoti e fermi, chiusi in una forma, 
noi vigiliamo la nostra distanza. 


Mariagloria Sears
I leoni sul sagrato
Mondadori 1954

domenica 11 settembre 2016

alle soglie dell'autunno scopro l'onda del tempo

La Vita

Alle soglie d'autunno 
in un tramonto 
muto 
scopri l'onda del tempo 
e la tua resa 
segreta 
come di ramo in ramo 
leggero 
un cadere d'uccelli 
cui le ali non reggono più. 


18 agosto 1935 

Antonia Pozzi
Parole
Garzanti 1989

sabato 10 settembre 2016

Il colore del cielo

Il giorno irrompe - 
il colore del cielo 
si cambia d'abito.


Issa Kobayashi

venerdì 9 settembre 2016

qual è il nome del vento


Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.

Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che .

Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri De Luca
Opera sull'acqua e altre poesie

Einaudi 2002

giovedì 8 settembre 2016

La nostra voce si mescola alle stelle

à Henry Purcell
I.

Ascolta: com'è possibile
che la nostra voce torbida si mescoli
in questo modo alle stelle?

L'ha inerpicata al cielo
lungo gradini di vetro
con la grazia giovanile della sua arte.


Philippe Jaccottet
Alla luce d'inverno
Pensieri sotto le nuvole
traduzione di Fabio Pusterla
Marcos y Marcos 1997


Écoute: comment se peut-il
que notre voix troublée se mêle ainsi
aux étoiles?

Il lui a fait gravir le ciel
sur des dégrés de verre
pour la grâce juvénile de son art.


mercoledì 7 settembre 2016

Le stelle scintillano sotto i viaggiatori

à Henry Purcell

VI.

Non c'è dubbio, stavolta i viaggiatori
sono passati oltre l'ultima porta:

vedono il Cigno scintillare
sotto di loro.


Philippe Jaccottet
Alla luce d'inverno
Pensieri sotto le nuvole
traduzione di Fabio Pusterla
Marcos y Marcos 1997


Nul doute, cette fois les voyageurs
ont passé la dernière porte:

ils voient le Cygne scintiller
au-dessous d'eux

martedì 6 settembre 2016

l’autunno che replicava stelle

Settembre, notte

Ora solo il linguaggio può ridire quei gesti 
scriverne piano ripetendo l’ardore con cautela 
fissando perché restino ancora in questa stanza 
le grandi ombre di allora.

Schianta ancora il tuo petto contro il mio 
perché questa è l’unica orma dell’amore 
l’autunno che replicava 
stelle quasi da un mondo uguale
la finestra, la cornice di abete
l’addolorato trattenersi delle schiene.

Antonella Anedda
Notti di pace occidentale
Donzelli 1999

lunedì 5 settembre 2016

quella nuvola fiorì solo un istante, in un giorno di settembre, il mese azzurro

Ricordo di Mary A.

Un giorno di settembre, il mese azzurro,
tranquillo sotto un giovane susino
io tenni l'amor mio pallido e quieto
tra le mie braccia come un dolce sogno.
E su di noi nel bel cielo d'estate
c'era una nube ch'io mirai a lungo:
bianchissima nell'alto si perdeva
e quando riguardai era sparita.

E da quel giorno molte molte lune
trascorsero nuotando per il cielo.
Forse i susini ormai sono abbattuti:
Tu chiedi che ne è di quell'amore?
Questo ti dico: più non lo ricordo.
E pure certo, so cosa intendi.
Pure il suo volto più non lo rammento,
questo rammento: l'ho baciato un giorno.

Ed anche il bacio avrei dimenticato
senza la nube apparsa su nel cielo.
Questa ricordo e non potrò scordare:
era molto bianca e veniva giù dall'alto.
Forse i susini fioriscono ancora
e quella donna ha forse sette figli,
ma quella nuvola fiorì solo un istante
e quando riguardai sparì nel vento.


Bertolt Brecht
Poesie
a cura di Guido Davico Bonino
Einaudi 2014

(questa poesia è diventata famosissima grazie al meraviglioso film 
Le vite degli altri di Florian Henckel von Donnersmarck)

Erinnerung an die Marie A.
1
An jenem Tag im blauen Mond September
Still unter einem jungen Pflaumenbaum
Da hielt ich sie, die stille bleiche Liebe
In meinem Arm wie einen golden Traum.
Und über uns im schönen Sommerhimmel
War eine Wolke, die ich lange sah
Sie war sehr weiß und ungeheuer oben
Und als ich aufsah, war sie nimmer da.

2
Seit jenem Tag sind viele, viele Monde
Geschwommen still hinunter und vorbei.
Die Pflaumenbäume sind wohl abgehauen
Und fragst Du mich, was mit der Liebe sei?
So sag ich dir: Ich kann mich nicht erinnern
Und doch, gewiß, ich weiß schon, was du
meinst.
Doch ihr Gesicht, das weiss ich wirklich
nimmer
Ich weiß nur mehr: ich küßte es dereinst.

3
Und auch der Kuß, ich hätt ihn längst
vergessen
Wenn nicht die Wolke dagewesen wär
Die weiß ich noch und wird ich immer
wissen
Sie war sehr weiß und kam von oben her.
Die Pflaumenbäume blühn vielleicht noch
immer
Und jene Frau hat jetzt vielleicht das siebte
Kind
Doch jene Wolke blühte nur Minuten
Und als ich aufsah, schwand sie schon im
Wind.

domenica 4 settembre 2016

Le parole sono belle e pericolose

Le parole

Le parole non hanno occhi né gambe,
non hanno bocca né braccia, non hanno visceri
e spesso nemmeno cuore o ne hanno assai poco.
Non puoi chiedere alle parole di accenderti una sigaretta
ma possono renderti più piacevole il vino.
E certo non puoi costringere le parole
a fare qualcosa che non vogliono fare.
Non puoi sovraccaricarle
e non puoi svegliarle quando decidono di dormire.
A volte le parole ti tratteranno bene,
a seconda di quel che gli chiedi di fare.
Altre volte, ti tratteranno male,
qualunque cosa tu gli chieda di fare.
Le parole vanno e vengono.
Qualche volta ti tocca di aspettarle a lungo.
Qualche volta non tornano più indietro.
Qualche volta gli scrittori si uccidono
quando le parole li lasciano.
Altri scrittori fingeranno di averle ancora in pugno
anche se le loro parole sono già morte e sepolte.
Fanno così molti scrittori famosi
e molti meno famosi che sono scrittori soltanto di nome.
Le parole non sono per tutti.
E, per la maggioranza, esistono soltanto per poco.
Le parole sono uno dei più grandi miracoli al mondo,
possono illuminare o distruggere menti, nazioni, culture.
Le parole sono belle e pericolose.
Se vengono a trovarti, te ne accorgerai,
ti sentirai il più fortunato della terra.
Nient'altro avrà più importanza e tutto sembrerà importante.
Ti sentirai il dio sole, riderai del tempo che fugge,
ce l'avrai fatta, lo sentirai dalle dita
fino alle budella, e sarai diventato,
finché dura, un fottutissimo scrittore
che rende possibile l'impossibile,
scrivendo parole, scrivendole,
scrivendole.

Charles Bukowski



The words do not have eyes or legs,
Not have mouths or arms ,
they do not have guts
and often not even the heart,
or have very little.

You can not ask for words
to light a cigarette
but they can make you more pleasant
the wine.

And of course you can not force the words
to do something that
They want to do.
You can not overcharge
and you can not wake them
when they decide to sleep.

sometimes
the words will treat you well,
depending of that
you ask him
to do .
At other times ,
will treat you badly,
whatever
you ask him to do.

The words go
and are .
Sometimes touches you
of waiting for them long .
Sometimes it does not add up
further back .

Sometimes writers
kill
when words leave them .
other writers
pretend to have them yet
in hand
even if their words
are already dead and buried .

they do so
many famous writers
and many less famous
that writers are only
named .



Words are not
for all.
And for the majority,
there are
only briefly.

The words are
one of the greatest
miracles
the world,
can illuminate
or destroy
minds ,
nations ,
cultures.
The words are beautiful
and dangerous.

If they come to visit you ,
you’ll see
and you’ll feel
the luckiest
of the earth. Nothing else will have more
importance
and everything seems important.

you will feel
the sun god ,
laugh of fleeting time ,
made you angry ,
I feel
from the fingers
to the gut ,
and you have become ,
until
hard,
a fucking writer
which makes it possible
the impossible,
writing words ,
by writing ,
writing them .