Voglio scegliere una scultura come simbolo di
questa pandemia, ci penso, sfoglio vecchi cataloghi e immagini su Internet e
poi è la Pietà Rondanini di Michelangelo, conservata a Milano nel Museo del Castello Sforzesco, che mi strappa una volta di più gli occhi
e il cuore.
Le figure sono appena accennate, ancora
imprigionate nel marmo opaco e niente hanno della magnifica opulenza della ben
più nota Pietà conservata in
Vaticano, scolpita da Michelangelo tra i ventidue e i ventiquattro anni,
l’opera di un genio senza dubbio.
Ma la Pietà
Rondanini, frutto dell’opera di un
vecchio che ci lavora e lavora sino alla morte, è straziante proprio perché
incompiuta, perché il corpo della madre e il corpo del figlio sono ancora un
tutt’uno nella stessa materia, come prima della nascita del Cristo.
A partire da quest’opera mi sono chiesta se
amo di più l’incompiuto, il mai finito, il frammento incompleto o se mi
attraggano di più le rovine, le statue senza braccia, i busti senza testa. Nel primo
caso possiamo contemplare soprattutto le intenzioni dell’artista, nel secondo
quello che il tempo non ha sbriciolato dell’opera e delle intenzioni. In entrambi
i casi possiamo fantasticare intorno alla figura intera che non conosceremo
mai.
Il morire, la morte, un verbo e un sostantivo
che avevamo espunto dalla nostra lingua quotidiana per relegarli nei film e nei
videogiochi, si sono riappropriati della nostra narrazione e ci costringono a
fare i conti con la pandemia e con quanto stiamo facendo, o non facendo, delle
nostre vite.
A causa del virus si sono ammalate e sono
morte moltissime persone che ho conosciuto: ex-colleghi, genitori di amici e
conoscenti, amici d’infanzia. Tra loro l’ultimo è stato Don Antonio Attanasio,
mio coetaneo; frequentavamo la stessa parrocchia e lo stesso oratorio, le
stesse scuole da bambini. Lui aveva cercato di insegnarmi a suonare la
chitarra, con scarsi risultati visto il mio orecchio latitante. Me lo ricordo
molto bene quando suonava e quando cantava, mi ricordo le conversazioni, la sua
profonda spiritualità e la vocazione precoce. Nel tempo ci eravamo persi di
vista, come spesso accade, ma il sapere della sua morte mi ha addolorato. Non so
se sua madre sia ancora viva, ma posso immaginarla aggrappata a quel figlio non
più carne viva, ma simbolo del sacrificio.
In questo momento siamo tutti opere
incompiute, opere senza intenzione e senza autore. Alcuni tra noi, quelli che
sono già mancati in questi quattordici mesi, quelli che cadranno sotto gli
attacchi del virus prima che la campagna vaccinale sia efficace, resteranno
tali per sempre. Certo anche prima morivano centinaia di persone al giorno per
le più svariate cause, anche oggi non ci sono solo i morti a causa del virus,
ma oggi stiamo affrontando un evento collettivo ed epocale, un trauma le cui
conseguenze a livello psicologico, emergeranno con il tempo. La maggior parte
tra noi ricomincerà a breve a progettare, a costruire la propria vita, a
pianificare il futuro, perché questa è la nostra natura, uno slancio continuo
verso il futuro.
Per noi
che siamo forma e spazio
Non scegliamo il marmo, non
scegliamo né il basamento, né
lo scalpello, solo la forma e
l’intenzione sono frutto della
nostra volontà e del nostro
ingegno. Per questo vale sempre
la pena di iniziare l’opera, anche
se del marmo fatichiamo a intuire
le venature profonde e una rottura
improvvisa potrebbe impedirci di
terminare e di girare intorno per
guardare e sentire che siamo forma
e spazio, non solo tempo che ci
attraversa e frantuma.
Questa poesia inedita e scritta oggi
pomeriggio, la dedico al mio amico poeta Danilo Bramati: la preferenza della
scultura alla pittura “perché possiamo girarci intorno” è sua. Il suo sguardo
mi ha fatto scoprire proprio la consistenza della materia e la consistenza
della poesia: un’opera cui possiamo lavorare intorno e sopra e sotto sino a
quando non ne potremo più. Come Michelangelo immaginava nel blocco di marmo la
statua e poteva affermare che la sua opera avveniva “per forza di levare”, così
il poeta immagina nell’invisibile i versi e li trascina in questa realtà per
farli risuonare. Ma sempre mi chiedo: viene prima l’immagine o prima il suono? E
il ritmo è solo suono o anche perfetta forma geometrica? Penso, ci penserò
ancora, e con questi pensieri torno a sedermi davanti al mio camino nella Casa
delle Parole, la mia casa.
Questa è la Cronaca 381 di martedì 24 marzo
2021, secondo anno senza Carnevale.
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