mercoledì 24 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/381. L’intenzione, l’opera, un’immagine e quello che ne rimane



Voglio scegliere una scultura come simbolo di questa pandemia, ci penso, sfoglio vecchi cataloghi e immagini su Internet e poi è la Pietà Rondanini di Michelangelo, conservata a Milano nel Museo del Castello Sforzesco, che mi strappa una volta di più gli occhi e il cuore.

Le figure sono appena accennate, ancora imprigionate nel marmo opaco e niente hanno della magnifica opulenza della ben più nota Pietà conservata in Vaticano, scolpita da Michelangelo tra i ventidue e i ventiquattro anni, l’opera di un genio senza dubbio.

Ma la Pietà Rondanini, frutto dell’opera di un vecchio che ci lavora e lavora sino alla morte, è straziante proprio perché incompiuta, perché il corpo della madre e il corpo del figlio sono ancora un tutt’uno nella stessa materia, come prima della nascita del Cristo.

A partire da quest’opera mi sono chiesta se amo di più l’incompiuto, il mai finito, il frammento incompleto o se mi attraggano di più le rovine, le statue senza braccia, i busti senza testa. Nel primo caso possiamo contemplare soprattutto le intenzioni dell’artista, nel secondo quello che il tempo non ha sbriciolato dell’opera e delle intenzioni. In entrambi i casi possiamo fantasticare intorno alla figura intera che non conosceremo mai.

Il morire, la morte, un verbo e un sostantivo che avevamo espunto dalla nostra lingua quotidiana per relegarli nei film e nei videogiochi, si sono riappropriati della nostra narrazione e ci costringono a fare i conti con la pandemia e con quanto stiamo facendo, o non facendo, delle nostre vite.

A causa del virus si sono ammalate e sono morte moltissime persone che ho conosciuto: ex-colleghi, genitori di amici e conoscenti, amici d’infanzia. Tra loro l’ultimo è stato Don Antonio Attanasio, mio coetaneo; frequentavamo la stessa parrocchia e lo stesso oratorio, le stesse scuole da bambini. Lui aveva cercato di insegnarmi a suonare la chitarra, con scarsi risultati visto il mio orecchio latitante. Me lo ricordo molto bene quando suonava e quando cantava, mi ricordo le conversazioni, la sua profonda spiritualità e la vocazione precoce. Nel tempo ci eravamo persi di vista, come spesso accade, ma il sapere della sua morte mi ha addolorato. Non so se sua madre sia ancora viva, ma posso immaginarla aggrappata a quel figlio non più carne viva, ma simbolo del sacrificio.

In questo momento siamo tutti opere incompiute, opere senza intenzione e senza autore. Alcuni tra noi, quelli che sono già mancati in questi quattordici mesi, quelli che cadranno sotto gli attacchi del virus prima che la campagna vaccinale sia efficace, resteranno tali per sempre. Certo anche prima morivano centinaia di persone al giorno per le più svariate cause, anche oggi non ci sono solo i morti a causa del virus, ma oggi stiamo affrontando un evento collettivo ed epocale, un trauma le cui conseguenze a livello psicologico, emergeranno con il tempo. La maggior parte tra noi ricomincerà a breve a progettare, a costruire la propria vita, a pianificare il futuro, perché questa è la nostra natura, uno slancio continuo verso il futuro.

 

Per noi che siamo forma e spazio

 

Non scegliamo il marmo, non

scegliamo né il basamento, né

lo scalpello, solo la forma e

l’intenzione sono frutto della

nostra volontà e del nostro

ingegno. Per questo vale sempre

la pena di iniziare l’opera, anche

se del marmo fatichiamo a intuire

le venature profonde e una rottura

improvvisa potrebbe impedirci di

terminare e di girare intorno per

guardare e sentire che siamo forma

e spazio, non solo tempo che ci

attraversa e frantuma.

 

Questa poesia inedita e scritta oggi pomeriggio, la dedico al mio amico poeta Danilo Bramati: la preferenza della scultura alla pittura “perché possiamo girarci intorno” è sua. Il suo sguardo mi ha fatto scoprire proprio la consistenza della materia e la consistenza della poesia: un’opera cui possiamo lavorare intorno e sopra e sotto sino a quando non ne potremo più. Come Michelangelo immaginava nel blocco di marmo la statua e poteva affermare che la sua opera avveniva “per forza di levare”, così il poeta immagina nell’invisibile i versi e li trascina in questa realtà per farli risuonare. Ma sempre mi chiedo: viene prima l’immagine o prima il suono? E il ritmo è solo suono o anche perfetta forma geometrica? Penso, ci penserò ancora, e con questi pensieri torno a sedermi davanti al mio camino nella Casa delle Parole, la mia casa.

Questa è la Cronaca 381 di martedì 24 marzo 2021, secondo anno senza Carnevale.


 

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