lunedì 22 marzo 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/379. Cantare nell’ombra la vita nuova

 

 


Quando sei una ghianda e rotoli via dalla pianta madre, ancora non sai se diventerai una quercia o mangime per gli animali o farina per gli umani.

Poi dopo un po’ senti le radici che affondano nella terra e i primi minuscoli rami che premono per toccare il cielo. È con le radici che senti, non troppo lontano da te, che un albero gemello sta seguendo il tuo stesso percorso, senti la stessa fretta e la stessa voglia di vivere. Senti gli scoiattoli, il picchio rosso, qualche insetto e i funghi. La quercia tua gemella cresce alla stessa velocità, festina lente, e mentre le stagioni si alternano, il cielo è sempre più vicino e la terra rivela profondità che non immaginavate. Parlate tu e la quercia gemella, parlate nella lingua della linfa e delle foglie, nella lingua del vento e della pioggia. Siete cresciute lontano dalla pianta madre, perché il terreno è scosceso e voi siete arrivate quasi in fondo alla collina.

Intorno a voi sono cresciute altre piante, non solo querce, ma avete permesso a una piccola radura di prosperare alla vostra ombra e con lei tutti gli animali che vivono nel sottobosco. Non sapete quanto tempo è passato da quando avete respirato aria con le prime foglie, non contate il tempo come fanno gli umani, sentite le stagioni, ascoltate le nuvole, giocate con la pioggia che vi solletica e siete felici, come solo le piante sanno esserlo. Poi un giorno, durante un temporale estivo, un fulmine colpisce la tua gemella che si spezza e si schianta al suolo perché era più fragile di te e il tronco era in parte cavo. Quando gli umani passano accanto alla quercia spezzata, portano via un po’ alla volta i rami e buona parte del tronco, ma non quello cavo che resta sul terreno e dà rifugio alla volpe, ai topolini, e anche al serpente.

Hai temuto di essere rimasta sola mia antica quercia che accarezzo anche in sogno. Invece, le radici della tua gemella continuano a parlarti e la solitudine è solo una parola umana, non vegetale. Solo gli umani sanno cosa significhi non avere radici e non avere parole.

 

Sibila il serpente nella mattina chiara

 

Sono seduta sul tronco

spezzato della seconda

quercia che vegliava

il sentiero. Mi fermo a

riposare e chiedo al

vento di portarmi voci

nuove, storie inaudite.

Mi risponde il sussurro dei

rami e sibila il serpente

nella mattina chiara che

mi avvolge i pensieri, chiaro

mantello di giorni in affanno e

desideri non ancora pensati.

Avrei voluto che fossero

ancora due le mie querce,

ma una ha sposato il vento e

freme a ogni sua folata,

mentre l’altra è sposa della

terra umida e nell’ombra canta

e vive la sua vita nuova.

 

Preferisco la terra dell’Altipiano della Luna, i suoi boschi, gli amici che non sono tornati e quelli che non se ne andranno mai, mentre la mia città soffre sotto cieli sempre uguali. Sibila il serpente nella mattina chiara è una poesia che ho scritto oggi pomeriggio per ricordare questa giornata nella Cronaca 379 di lunedì 22 marzo del secondo anno senza Carnevale.

Nessun commento: