Una mappa sentimentale della mia città, ogni tanto mi
viene questo desiderio di scrivere una mappa sentimentale dei luoghi che amo di
questa città. Non disegnarla, ma scriverla. In qualche modo lo sto facendo in
queste Cronache, ma senza una vera intenzione e senza un progetto. È una mappa
senza mappa, basata solo sulla memoria. Ogni volta che ci penso, l’inizio è
sempre è sui Navigli e da lì si muove a raggera e poi a zig-zag.
Vorrei scrivere anche una mappa sentimentale del mondo,
basata su memoria e nostalgia. Non ho visto la maggior parte del mondo, mi
mancano interi continenti, ma mi piace pensare che avrò modo di ricominciare a
viaggiare, a vivere, a respirare. Ma come tutti, in questo momento non lo so.
Così comincio a girovagare per l’Europa, Italia, Francia e Scandinavia in
particolare, per la Spagna, il Portogallo, l’Austria, la Svizzera, la Germania…
e così continuando a cercare le tracce della giovane viaggiatrice che sono
stata e cercare le tracce dei luoghi in me stessa.
Per questo sarebbe importante poterle scrivere queste mie
mappe e poi ritornare dove sono stata e andare dove non sono stata mai.
Potrei poi confrontare queste mie mappe con i luoghi
reali, con vere cartine geografiche per scoprire dove la mia memoria si è
ingannata.
Affidarsi a una mappa significa affidarsi a qualcun
altro, a molti altri che prima di noi hanno sentito il bisogno di muoversi e di
tracciare, disegnare, scrivere indicazioni per poter ritornare. Gli aborigeni
australiani le loro mappe le cantano da sempre, come racconta Bruce Chatwin nel
suo libro Le vie dei canti e grazie
ai canti sono sempre stati in grado di andare e ritornare senza smarrirsi mai.
Ma forse non servirà consultare mappe ufficiali terrestri
e celesti. Bisognerà solo fidarsi della scritta hic sunt leones che ci dice dove è pericoloso andare, viaggiare
dove la memoria non arriva, dove l’ignoranza regna, dove il tempo non ci spinge
a esplorare.
In questo primo anno di pandemia il primo hic sunt leones non è un luogo, o una
serie di luoghi, ma è l’insieme delle relazioni e dei movimenti che davamo per
scontati.
Non
nel passo e nemmeno nel vento
Cesello la mia pazienza, la olio,
la nutro di immagini, la sfamo
dandole in pasto quel che vorrebbero
divorare i leoni. Sono paziente come
una pietra, e sono paziente come
l’albero che guarda la mia finestra e
aspetta una carezza a palmo aperto
sulla corteccia, dove non nascono
i rami e dove le foglie sono desideri.
Siamo pazienti io e l’acero rosso, ogni
anno contiamo le settimane che ci
mancano per vedere la nuova fioritura
dei gelsomini. Sono paziente
come un ragno nella sua ragnatela,
come Penelope che tesse di giorno i
desideri e disfa la notte ogni sogno.
Tutto il movimento sta negli occhi
e nelle mani, non altrove, non nel
passo e nemmeno nel vento.
Questa è la Cronaca 372 con poesia inedita di lunedì 15
marzo del secondo anno senza Carnevale, il primo giorno del nuovo confinamento,
dove la città non è mai stata silenziosa.
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