lunedì 31 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/449. Forme del tempo e tassonomia dei giorni

 


Tra le domande oziose e senza risposta intorno alle quali mi perdo a fantasticare, di sicuro una di quelle ricorrenti e preferite, è chiedermi dove vanno a finire le giornate finite, come se ogni giornata fosse un oggetto compiuto e archiviabile.

Ci sono i giorni-libro, ordinati, divisi in capitoli e paragrafi, hanno un indice e una copertina, è facile riporli negli scaffali della memoria e poi ritrovarli, perché sono giorni in cui qualcosa di memorabile è accaduto, qualcosa che ha dato senso al nostro vivere e che continua a darlo quando ce ne ricordiamo.

Ci sono i giorni-fili, sono quelli che il tempo ci lancia ogni mattina perché possiamo inserirli nella nostra tessitura, sono i giorni che non hanno tracce individuali, ma hanno un senso insieme agli altri fili cui sono accostati, non lasciano particolari ricordi, ma entrano a far parte della trama della nostra vita e la colorano.

Ci sono i giorni-onde tranquille, profumano di mirto e sale, i gabbiani gridano nell’aria e loro, i giorni, vanno e vengono, sono i giorni dove facciamo sempre le stesse cose, lavoro-casa-lavoro-famiglia-lavoro-amici-lavoro, sono giorni rassicuranti, senza sorprese e senza particolari fatiche, addirittura, forse con un po’ di noia. Questi giorni semplici entrano nell’ordito della nostra vita, ne sono l’impalcatura, la maggioranza di quelli che avremo vissuto e che solo per noi avranno avuto un senso.

Ci sono giorni-fuoco, non bruciano solo nel camino ma anche nel cielo e nei boschi, sono giorni che consumano tutta l’aria intorno, li viviamo a perdifiato perché siamo immersi in una nostra passione che, tanto ci consuma, tanto ci ravviva. Questo fuoco non si estingue e non troveremo cenere dov’è passato, ma diamanti grezzi da lavorare e argilla forgiata dalle fiamme, che ha preso forme inusuali, ma che a noi, proprio a noi parlano.

Ci sono giorni-seme che racchiudono nel fragile guscio tutta la promessa del futuro. L’importante è non tenerli in mano, ma farli sprofondare nella terra sino a quella che sarà la giusta distanza dal cielo. Lì, nel buio umido e profondo, i semi parleranno con le radici, diranno la loro paura, ma le radici racconteranno che il buio finirà anche per loro, che ci saranno anche tronchi, rami e foglie, per qualcuno fiori e poi frutti. Ci saranno i nidi tra questi rami e i canti degli uccellini, ci sarà il vento che andrà e tornerà seguendo quel cammino che è ignoto a chi non fa parte di questa trama.

Ci sono giorni-giorni che sono tutte queste cose insieme e anche altre che scriverò in un tempo futuro, mentre oggi, lunedì 31 maggio del secondo anno senza Carnevale, ancora non so che tipo di giorno sarà stato, me lo dirà lui stesso intorno a mezzanotte mentre la Cronaca 449 si sarà adagiata nell’amaca del tempo.

domenica 30 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/448. La via del vento è un intreccio di rami, è la danza delle nuvola con l’ombra della foglia


 


 

Quel che mi piace del vento è la sua invisibilità, non lo vediamo ma lo udiamo attraversare gli alberi, lo sentiamo passare sulla pelle e osserviamo la danza delle foglie, della carta e di qualunque altra cosa sia caduta a terra e che il vento riporta in aria.

Quando guardiamo il cielo è grazie alla corsa delle nuvole, o alla loro immobilità, che sappiamo se il vento c’è o continua a starsene nascosto.

Se guardiamo la roccia, possiamo leggere l’effetto del vento e dell’acqua nelle cavità, nelle fratture e nelle fessure. Se guardiamo i campi è dalle pale eoliche e dai mulini che comprendiamo la sua forza. Quando siamo in mare è la forma delle vele spiegate che rende il vento visibile e noi felici di averlo in poppa.

Il vento è respiro delle onde e respiro del poeta, è il respiro di questa domenica tranquilla dove potrei continuare a fare elenchi disordinati delle cose belle della vita.

 

 

Gli effetti secondari del vento

 

Se mi piace il vento è

perché anima le cose

che non hanno gambe

per poter andare e

intenzioni che le sorreggano.

Perché le intenzioni sono

tutte mie e le onde chiacchierano

con le nuvole grazie al vento che

le porta dalla riva al largo

e non fa mai pagare il ritorno.

Ride il vento di queste mie

considerazioni, lo capisco dai

sibili che assaltano le finestre

chiuse che subito apro e scopro

che il vento è passato dai

gelsomini, prima di venire a

salutarmi e poi tornare verso

le nuvole che attendono la sua

spinta, pastore nei cieli e

marinaio in terra ferma.

 

 

Scrivere il vento, che è anche il titolo del mio quarto libro di poesie, è uno degli atti dello scrivere che mi affascina e che mi fa coltivare questa mia ossessione poetica e letteraria, una pazzia innocente che lascio al vento ogni giorno, perché so che poi, me la riporta indietro.

Oggi è domenica 30 maggio del secondo anno senza Carnevale e il vento soffia tutto intorno e si ferma un po’ sul davanzale, in attesa che le rondini riprendano il loro volo in compagnia di questa nuova Cronaca 448 e la sua inedita poesia.

sabato 29 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/447. Guardare le città notturne da un satellite e poi girarsi verso le stelle



Possono essere proprio tante le cose belle di una giornata bella, cose gioiose, interessanti, coinvolgenti. Partiamo dalla lunga giornata con Valentina Durante e Simone Salomoni a parlare di immaginario e scrittura autobiografica, una meraviglia ascoltare loro e poi le altre persone a Bottega. Un sacco di spunti interessanti su cui riflettere, appunti da risistemare, nuovi libri da leggere. Una delle eredità positive della pandemia è, per quanto mi riguarda, l’uso delle piattaforme per incontrarsi e parlare nonostante la distanza. Sempre grazie alla tecnologia, un’altra delle cose belle di questa giornata sono le fotografie satellitari delle città terrestri durante la notte, mi sono fiondata a cercare Milano, che sembra una ragnatela intessuta di goccioline di rugiada all’alba. Poi sono fiorite altre rose nel giardino, i gelsomini sono quasi tutti sbocciati, ho una pila di libri nuovi da leggere, su Netflix è iniziata la terza serie del metodo Kominsky con Michael Douglas, su FB mi ha scovato una serie TV turca doppiata in spagnolo El Sultan, ispirata alla vita del sultano Solimano il magnifico. Come tutte le serie tv, si sprecano intrighi di corte, gelosie, rapimenti e omicidi, e intanto che la guardo, faccio esercizio di spagnolo che è molto meno arrugginito di quanto mi aspettassi. Sempre FB mi propone e ripropone una serie indiana dove ci sono magnifici balli di gruppo e una serie coreana su una storia imperiale, sempre in costume, entrambe con sottotitoli in inglese. Le attrici e i costumi sono sempre magnifici, quel che mi colpisce e che accomuna tutte queste trame è che le donne sono quasi tutte cattivissime e disposte a qualunque cosa pur di avere il favore del principe di turno. Non importa se siano spose ufficiali o concubine, l’importante è essere la favorita e dare figli maschi al potente di turno. Non ho idea dell’accuratezza storica e della verosimiglianza, ma i ruoli femminili, oltre a quelli già citati sono solo: madre del principe, schiava, fattucchiera, medichessa, figlia del principe, figlia del nemico rapita dal principe. Non c’è nessuna donna che sia possibile definire al di fuori del ruolo sociale e riproduttivo, una donna esiste solo in relazione al legame che ha con il maschio dominante. Certo ci sono anche i vice, ma spesso sono traditori e vengono giustiziati. Unica consolazione i figli maschi e i gioielli. Bisognerebbe fare più riflessioni sul ruolo femminile nell’esercizio e nella trasmissione del potere con annessi e connessi. Perché sono proprio i meccanismi di potere a regolare la maggior parte delle relazioni umane. Insieme alla ricchezza, alla bellezza, alla giovinezza e ai legami di sangue. Mi sono resa conto durante quest’anno abbondante di lockdown, che più il presente si faceva pesante, più il mio interesse per il passato e per la storia diventava pressante. Ho letto parecchi libri sulla storia delle due guerre mondiali del secolo scorso, sull’epidemia di spagnola, sulle epidemie di peste nera. Ho riletto La peste di Albert Camus e l’ultimo libro, che ho iniziato proprio oggi è Racconti contagiosi di Siegmund Ginzberg, un solo commento su queste letture compulsive: per quanto ce la passiamo male, una volta l’umanità stava molto, ma molto peggio da tutti i punti di vista, sociale, economico, sanitario. Certo il mondo era ancora un luogo incantato, non esistevano gli influencer e neanche gli smartphone, ma sono abbastanza contenta che il fato mi abbia destinato a questo scorcio di spazio tempo dove ho avuto la possibilità di viaggiare, fare lavori interessanti, studiare, leggere qualunque libro, scrivere e scrivere. Un’età dell’oro nella storia di noi umani è pura leggenda, una pandemia come quella in corso, anche solo venti anni fa avrebbe avuto un numero di contagi e di morti dieci volte superiore. Certo non avremmo passato tutto il tempo tappati in casa, non saremmo stati terrorizzati dai media come nelle prime settimane di lockdown, ma saremmo in molti meno a raccontarcela oggi. Certo, la settimana scorsa ho sentito una signora di mezza età parlare al telefonino con un’amica e a dichiarare con vigore, ovviamente senza mascherina, che lei mai e poi mai sarebbe andata a fare il tampone anche se avrebbe dovuto, perché quando fai il tampone ti mettono i microchip nel naso e lei vuole essere una donna libera. Non commento, anche perché non c’è bisogno di commenti, ma poi ho scoperto che anche persone a me care e insospettabili sono contrarie al vaccino e non c’è modo di condurle alla ragione. Certo bisogna rispettare le convinzioni di tutti, certo viviamo in democrazia, ma quando ero bambina tutte le vaccinazioni, dalla polio alla TBC, erano obbligatorie, non c’era possibilità di sguazzare nella propria ignoranza pretendendo di avere la verità in tasca, si sguazzava nell’ignoranza, come peraltro ci sguazziamo oggi, perché al di là del fatto che siamo capaci, io per prima, di ripetere a pappagallo le cose orecchiate in tv e lette sui social, noi popolo, del virus non sappiamo proprio nulla. Quindi preferisco fidarmi dei virologi esperti, del governo e dei medici. Anche perché, se la popolazione italiana non si vaccinerà – a oggi pare che il 10% abbia deciso di non farlo e il 18% sta pensando di non farlo, rischiamo di sviluppare una nostra variante italiana e di vanificare lo sforzo collettivo e i sacrifici fatti sinora per uscirne. Cosa accadrebbe se si passasse alle vaccinazioni obbligatorie come un tempo? (Non lo so, ma me lo chiedo).

Oggi, sabato 29 maggio del secondo anno senza Carnevale, mi è presa questa vena sociologica-storica-televisiva-pandemica: è bello avere anche il tempo per divagare e pensare scrivendo. Questa Cronaca 447 se ne torna sul satellite a guardare le città notturne illuminate e augura a tutti una buona notte. Non prima di avere, però, girato lo sguardo verso il buio e le stelle di cui sappiamo giusto qualcosa.

venerdì 28 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/446. Come accendere le stelle con i fiori di lavanda


 


 

Nel giardino della Casa delle Parole, ognuno ha trovato spazio per coltivare una passione o un talento. La sacerdotessa coltiva erbe rare per i suoi infusi, la badessa Roxanne copia i fiori e prova i nuovi acquarelli, io passo il tempo a contemplare le rose e il cielo. Che sollievo poter stare seduta a guardare e seguire il volo laborioso delle api, andare ad annusare la lavanda mentre loro ronzano intorno, poi guardare il cielo e vederlo più chiaro perché lo sguardo è impregnato del color lavanda. A parte il vento e il sommesso ronzio delle api, non ci sono altri suoni nel nostro giardino. Mano a mano che la notte scende, è come se qualcuno stesse tirando le immense tende del cielo e, allo stesso tempo, avesse iniziato ad accendere le stelle, come fossero candele su di un candelabro invisibile.

 

 

Canto della giornata ben riuscita

 

In fondo al giardino sbocciano

le rose, lavanda e gelsomino

profumano intorno alla casa

e noi contiamo petali e api

come se fosse una questione

della massima importanza.

Dall’orto raccogliamo pomodori,

zucchine, peperoni e finocchi,

una tavola vegetale per questa

sera e i profumi del sole sprigionati

dalle verdure, danno forma

al nostro sentire. È stata una pigra

giornata ben riuscita, qui nella

nostra casa e per questo

lasciamo i pensieri liberi di

andare e tornare, come

cuccioli nati da poco.

 

 

A volte esistere e vivere coincidono, ci stringiamo in un grande abbraccio, sorridiamo, è facile stare in questo giardino, dove il male si ferma sulla soglia perché non osa infrangere questa quiete. Oggi è venerdì 28 maggio del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 446 è accompagnata dalle rondini che volteggiano intorno al tetto.

giovedì 27 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/445. Attraversare la notte con i papaveri negli occhi

 

 



Attraversare la notte è un’impresa che va preparata sera dopo sera. Nessun buio è uguale a un altro buio: il buio può essere inchiostro, carbone, velluto, stella, pupilla, velo. Frammenti di luce passano attraverso e gli danno forma, così che del buio stesso possiamo non avere paura. La notte ha sempre avuto, per me, una connotazione positiva grazie al silenzio e al tempo liberato tutto mio, che potevo utilizzare per leggere, studiare e scrivere. Tutto si fa denso nella notte e trova il giusto spazio per essere declinato. Molto di rado mi capita di non riuscire a lasciarmi andare al sonno e ai sogni, ma quando accade ho imparato a non combattere questa dimensione di veglia che sfida la stanchezza e a declinare liste di cose che mi piacciono.

 

 

Il germoglio del giorno nuovo

 

Mi commuovono molte cose,

le strisce rosse di papaveri

lungo la massicciata della

ferrovia, i nidi nuovi delle

rondini sotto il mio tetto,

l’albero bellissimo ripiegato

su se stesso e il profumo del

gelsomino che nel buio si

estende e sale verso la mie

finestre, l’acqua che zampilla

nella fontana e pare stia

parlando alle rose in fondo

al giardino. Questi sono

i miei compagni notturni,

insieme a loro attraverso

il tempo e sfioro il germoglio

del giorno nuovo che busserà

alla mia porta per chiedermi

permesso.

 

 

La lista delle cose che mi commuovono è molto, molto più lunga, ma la notte è troppo breve per diluirla in una sola poesia come questa della Cronaca 445 di giovedì 27 maggio del secondo anno senza Carnevale.

mercoledì 26 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/444. Per fortuna è breve la memoria dei gelsomini



Quando lo spazio è denso di angoli e variazioni, non mi viene mai in mente di immaginarlo vuoto. La percezione del vuoto è qualcosa che la mente fatica a decifrare, soprattutto perché non c’è un solo tipo di vuoto, ogni sguardo coglie soprattutto il vuoto che gli è consono. Io cerco proprio il vuoto degli angoli che sono rifugio e punto di osservazione allo stesso tempo e poi nell’atto del guardare colgo elementi visivi, uditi e olfattivi che senza la giusta attenzione restano in sordina.

 

 

Lo sguardo invaso dai girasoli impazziti di luce

 

 

In questa piccola casa confluiscono

tutti i venti e le ragioni, si

incontrano le isole e i fiumi, pochi

passanti e tutte le conversazioni

che sono rimaste appese ai rami

degli alberi sotto le sue finestre.

Arrivano anche il profumo dei

gelsomini e le grida delle rondini

in picchiata, che ridono e gridano

come bambini nelle nostre orecchie

già estive e invadono lo sguardo

di girasoli impazziti di luce.

 

 

Dopo il lungo, ma ricco e fecondo, letargo della pandemia, in questa primavera che se ne sta nascosta nel mantello dell’inverno, pian piano abbiamo iniziato a uscire, come le marmotte e gli orsi dopo il letargo. Facciamo la conta del mondo intorno e noi, ci preoccupiamo di chi non abbiamo più visto e sorridiamo a tutti quei segni della vita che sta ritornando: un bambino di un anno e mezzo al massimo che insegue un piccione porgendogli una patatina, donne che cercano vestiti estivi in una bancarella, un pittore dilettante che ritrae la chiesa e la piazza, i gelsomini fioriti, davanti ai quali passo avanti e indietro inebriandomi del loro profumo, sino a quando non sento più nulla, il mio olfatto è talmente impregnato che ha smesso di funzionare. Così mi allontano un poco, poi ritorno, per fortuna è breve la memoria dei gelsomini, si sono dimenticati della mia presenza e si lasciano odorare.

Oggi è mercoledì 26 maggio del secondo anno senza Carnevale e questa al gelsomino è la Cronaca 444.

martedì 25 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/443. Marina, intessuta di tempo e di stelle

 


 

Oggi Roxanne, la badessa del monastero di Colorno, mi ha annunciato l’arrivo di Marina Cvetaeva, gigantesca poetessa del secolo scorso, incandescente come lava e perduta come la nebbia dell’alba dopo che il sole è risorto.

Come tutte e tutti gli altri poeti e poetesse, scrittori e scrittrici che arrivano ai piedi delle Montagne della Nebbia per la prima volta, gli abitanti della Casa delle Parole, che non abbiamo più incontrato da diversi mesi, si mobilitano per dare il benvenuto a quest’anima tormentata e sfortunata, intessuta di tempo e di stelle.

Sono rituali semplici, aprire una bottiglia di vino, ravvivare il fuoco nel camino, leggere i versi e frammenti di diario e lettere dell’ospite ad alta voce, ad alta voce sognare in questa dimensione dove il tempo non esiste e la poesia è la tessitura comune di chi vaga in questa terra cercando di disegnare mappe plausibili nel silenzio del cuore, quello che Rilke le stava, in qualche modo scrivendo:

 

“Ho aperto l’atlante (per me la geografia non è una scienza, ma un insieme di rapporti di cui mi affretto ad approfittare) ed ecco, tu sei già segnata nella mia mappa interiore: da qualche parte fra Mosca e Toledo, ho creato uno spazio per l’impeto del tuo oceano.”

 

 

Dopo questo frammento di lettera, ecco un frammento dal diario:

 

“Alle 10 la giornata è finita. Talvolta sego e taglio legna per il giorno dopo. Alle 11 o alle 12 vado a letto. Sono felice del lumino proprio accanto al guanciale, del silenzio, del quaderno, della sigaretta, talvolta - del pane.
Scrivo malamente, in fretta. Non ho annotato né le ascensions in soffitta - niente scala (l'hanno bruciata) - mi isso con una corda - per prendere le travi, né le continue ustioni delle braci che (impazienza? esasperazione?) afferro direttamente con le mani, né le corse su e giù per i kommissionnye (che abbiano venduto tutte le mie cose?) e per le cooperative (che distribuiscano?).
Non ho annotato la cosa più importante: l'allegria, l'acutezza di pensiero, le esplosioni di gioia ad ogni più piccolo colpo di fortuna, l'appassionata tensione di tutto l'essere - tutti i muri sono coperti di versi e di NB! per il taccuino.

In soffitta

(Dagli appunti moscoviti, 1919-1920)



E infine una delle poesie che più amo:

 

 

Io sono una pagina per la tua penna.
Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
Io sono la custode del tuo bene:
lo crescerò e lo ridarò centuplicato.

Io sono la campagna, la terra nera.

Tu per me sei il raggio e l'umida pioggia.
Tu sei il mio Dio e Signore, e io
sono terra nera e carta bianca.

10 luglio 1918



 

  

Ci sono giorni come questo, martedì 25 maggio del secondo anno senza Carnevale, dove le mie parole stanno un passo indietro e felice come un’onda rileggo Marina Cvetaeva, poi la bellissima voce, che vi invito a leggere, che la mia amica Rossana Kaminskij ha scritto per l’Enciclopedia delle Donne; e infine ringrazio Ilaria Durigon della Libreria delle Donne di Padova e Claudia Brigato per l’incontro dedicato proprio alla Cvetaeva e che mi ha fatto venire voglia di rileggerla e di parlarne in questa Cronaca 443. E di nuovo grazie a Rossana che ci ha letto in russo prima e in italiano poi, due poesie della Cvetaeva, tra cui una dedicata all’altra poetessa Anna Achmatova.

 

Questi sono i testi da cui ho tratto le citazioni:

Poesie, a cura e traduzione di Pietro Zveteremich, Feltrinelli 1979.

Indizi terrestri. Diario moscovita 1917-1919, a cura di Serena Vitale, Guanda 1980.

E infine l’epistolario a tre: Rainer Maria Rilke - Marina Cvetaeva - Boris Pasternak

Il settimo sogno. Lettere 1926. Editori Riuniti 1980, edizione italiana a cura di Serena Vitale.

lunedì 24 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/442. Nel cielo, volteggiare come una foglia o vagare come una nuvola


 


 

Ci sono diversi modi di attraversare il cielo e ciascuno di noi deve impegnarsi a trovare quello più consono. L’unica cosa in comune che hanno i viaggiatori del cielo è la fiducia nel vento, l’unico che sa resistere all’attrazione terrestre.

Così possiamo viaggiare in cielo come un seme o un polline, leggeri e invisibili. Ci sono quelli che sanno usare le loro ali invisibili e sfrecciano come uccelli, quelli che si divertono di più sono quelli che scendono in picchiata come le rondini e anche quelli che si posano sui rami per provare il loro canto.

Ma più di tutto io amo volteggiare come una foglia, cambiare verso, fare giravolte, stendermi pigra pancia all’aria, rosolarmi al sole mentre volo e poi accettare la discesa quando sono troppo vicina alla terra per poter volare, e allora scatto in piedi, atterro e mi guardo intorno per cercare da quale finestra spiccare il prossimo salto e ricominciare a viaggiare.

Qualche volta non disdegno di vagare come una nuvola, per fortuna non soffro di vertigini, così posso alzarmi molto in altro e vedere il mondo con la stessa prospettiva e precisione che, al momento, hanno solo i droni.

 

 

Il cielo ama il nostro canto

 

Stare nelle nuvole è strano,

senti il vapore soffice come

un cuscino e poi sprofondi

due strati più in giù e ti

trovi di fronte alla punta

davvero aguzza di una montagna

o di un grattacielo. Sarebbe bello

avere ali abbastanza forti per

venire da te, ma noi creature

terrestri abbiamo solo la nostra

immaginazione per volare e

arriviamo dove vogliamo.

Ora ho preso in prestito

ali d’angelo e le trovo molto

eleganti, ma mi si addicono

di più le ali slanciate delle

rondini che amano scendere

in picchiata e cantare sotto

i tetti. Il cielo ama il nostro

canto, per questo ci spinge

a sognare e dormire tra

le nuvole che ci hanno rapito.

 

 

Questa primavera indecisa e tardiva porta sempre pioggia qui nella città silenziosa, per questo sono evasa e ancora me ne tornerò a svolazzare in questo lunedì 24 maggio del secondo anno senza Carnevale e nella sua Cronaca volante numero 442.

domenica 23 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/441. Variazioni sulla luce e sulle onde

 



Questa mattina molto presto sono uscita per andare a passeggiare in spiaggia. Tutto era ancora argenteo intorno a me e il piccolo movimento delle onde non faceva altro che disegnare arabeschi sulla spuma e sulla sabbia umida. Ci sono tracce di piccoli granchi e le bolle delle vongole che se ne stanno ben nascoste. Ancora non ci sono i gabbiani, il cielo è vuoto di nuvole. E così mi rendo conto che le descrizioni sono un alternarsi di vuoto e pieno rispetto a un paesaggio che abbiamo già guardato, come se dentro di noi si fosse annidato un paesaggio platonico cui andiamo a riferirci ogni volta.

Il mare più bello la mattina presto l’ho visto a Roskilde in Danimarca dopo una notte insonne. Il mare più bello l’ho visto a Biarritz nei paesi baschi francesi e l’ho visto al tramonto sulle spiagge degli sbarchi mentre il sole tramontava. Ho visto il mare più bello nella Baia del Silenzio a Sestri Levante, la mattina prestissimo con il primo chiarore dell’alba e il vuoto intorno. Ho visto il mare più bello nel piccolo golfo di Camogli, mentre raccoglievo sassi e scrivevo le poesie che sono poi confluite nel Sillabario della Luce. Ho passeggiato con mia madre sulla riva del mare a Villapiana Lido una mattina di luglio del 1985 e sulla stessa spiaggia ero tornata di corsa a tuffarmi da sola, mentre gli altri iniziavano a pranzare nell’agosto del 1969. Ho visto l’oceano intorno all’isola di Mount Desert nel Maine e intorno all’isola di Ouessant di fronte alle coste bretoni.

Ho sempre interrogato le onde ed è la luce che mi ha risposto.

Ho sempre interrogato la luce ma è il coro delle onde che si è avvicinato.

La luce dà loro forma, ma sono le onde a dare voce a questo sentimento di pienezza e di vita vera. Anche se la voce delle onde non è soltanto loro, perché è il vento che si avvicina e si allontana dalla nostra verità di quel momento e scolpisce l’occhio e lo sguardo più di quanto non sappiamo.

 

 

Tutte le nostre domande

 

Guardo la prima onda e

la interrogo: chi sei? Si

ritira prima della risposta

e allora vorrei fare la stessa

domanda alla seconda, ma lei

è più veloce: “Sono l’onda che

non ha misteri, arrivo e mi

infrango sulla stessa riva di

quelle che mi hanno preceduto”.

Mi aspetto una risposta uguale

da quella successiva, visto che

le onde tutte già conoscono

la mia domanda. “Sono l’onda

che custodisce i misteri e tu

non hai abbastanza occhi

per guardarmi dentro”.

Di che natura sarà l’onda che

arriverà terza nella mia conta?

“Da dove arrivo la verità ha sapore

di ruggine e mirto, il vento si

chiama Maestrale, e tu non

sei sulla rotta giusta per capire”.

Mi chiedo quale dovrà essere

quella domanda giusta per farmi

capire, ma arriva l’onda gemella

della precedente: “Non ci sono

verità in questo mare, solo acque

profonde e sconosciute, non

chiedere altro perché non avrai

risposte”. Alla fine capisco che

le onde sono variazioni della luce,

e la luce una fuga dell’essere

in fondo al mare, dove il

buio più profondo e verde,

fa riposare le domande senza

un perché, tutte le nostre domande.

 

 

Il mare più bello l’ho visto al Lido di Venezia nel luglio del 1984, ospite nella casa delle vacanze di un magistrato siciliano che l’aveva lasciata in eredità al nipote. A Trieste ho visto le onde della Barcola, di Miramare e di Duino dove ho cercato anche la voce di Rilke risuonare oltre le mura del castello e ho scoperto che le voci non svaniscono nel vento ma restano custodite nelle pietre e, a volte, riusciamo a liberarle con un solo tocco della mano.

Ho visto il mare bello di Lignano Sabbiadoro nell’agosto del 1988 in vacanza con mio fratello Alessandro, la sua ragazza Monica e il di lei fratellino Ivan. Piovve per una settimana, tranne una mattina, dove l’acqua era fresca ma non fredda e in spiaggia non c’era nessuno.

Ho visto le acque verdi della baia del fiume Hudson e le rive selvatiche del delta del Po. Ho visto il mare bello intorno a Lampedusa e intorno alle isole Aran, dove cercato tracce delle coste bretoni.

Mi sono innamorata delle spiagge delle isole toscane, soprattutto di quelle dell’isola d’Elba, e delle spiagge ai piedi del monte Conero nelle Marche, e sono anni che sogno di tornarci.

Con il mare, le onde e la luce, con le isole e gli scritti di Camus, sento quanto sia forte il mio legame con questa dimensione della nostra vita terrestre e marina.

Così continuo, in questa Cronaca 441 di domenica 23 maggio del secondo anno senza Carnevale a scrivere la lista dei mari, delle isole, delle spiagge che ho veduto e di quelle che ancora non ho visto, per poterci andare, prima o poi.

sabato 22 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/440. Meditazioni sull’aria e sulla pioggia

 

 


 

È liquida l’aria di mattina quando piove e noi stiamo affacciati alla finestra e non sappiamo se uscire o restare in casa. Prevale poi quel desiderio di andare a prescindere dal tempo e la pioggia diventa la compagnia che addolcisce i nostri passi nella città silenziosa. Ci sono luoghi che sono perfetti per la pioggia, qui a Milano ne conosco alcuni. Il retro del teatro Dal Verme, con gli ippocastani e i vecchi palazzi che offrono uno scorcio ottocentesco alla vista. La casa in Pagano, ricoperta di glicine in primavera splende sotto il sole, ma quando piove il lilla dei fiori smette di essere uniforme e sprizza tutte le gradazioni di colore e il profumo è ancora più violento. L’angolo dietro il Duomo dove fiorisce una magnifica magnolia bianca, quando piove la pietra assume una sfumatura che contrasta ancor di più con i fiori bianchi e tutto diventa in bianco e nero in un solo momento, mentre le magnolie di piazza Tommaseo resistono al bianco e nero e fanno diventare rosa la pioggia che scende su di loro. Anche le palme di via Lincoln assumono una diversa forma quando le si guarda attraverso la pioggia. Nel giardino ci sono poi un enorme fico e un magnifico oleandro rosa. I loro profumi si mescolano alla pioggia e attraverso il naso viaggiamo in altri tempi e in altri spazi. La pioggia sotto il boschetto di betulle vicino alla casa dei miei genitori, mi ha sempre trascinato a vivere nei giardini di Cechov e i nuovi grattacieli che costellano la città, portano senza che lo si voglia, a camminare nelle street di New York, in attesa di incontrare Woody Allen o Audrey Hepburn.

 

 

Dove risplende la pioggia

 

Ogni luogo rimanda a

un altro luogo, ogni

profumo è un profumo

che abbiamo già usmato

e non ci sono altre memorie

se non quelle dell’infanzia

che tornano e si insediano

anche nel tempo presente.

Per questo una stagione non

è che un germoglio su di

un ramo sconosciuto e i nostri

giorni gemme di fiori e foglie

che non sappiamo dire ma che

vivremo, appesi come siamo

alla nostra ragnatela di sensazioni

e voli veloci, api impazzite che

si tuffano in picchiata, nei girasoli

ebbri di luce e nella pioggia

che risplende e ride con noi.

 

 

Oggi grandi passeggiate in zona Buenos Aires, adoro quegli antichi palazzi, con i nipoti. Poi un ottimo brunch al Diana Garden dell’hotel Diana Majestic di viale Piave dove mi sono sentita una felice turista nella mia città. Cibo eccellente e servizio impeccabile con i camerieri allegri e simpatici, un’esperienza da ripetere. E poi il Libraccio di viale Oberdan e qualche acquisto tra cui l’introvabile DVD con la serie completa di Heimat di Edgar Reitz che ho conservato in VHS per pura nostalgia e le poesie complete di Federico Garcia Lorca nel cofanetto Garzanti che non avevo in questa edizione. Quanto mi piace passeggiare per le vie della mia città, le Cronache ormai lo sanno e mi accompagnano volentieri. Anche questa Cronaca 440 di sabato 22 maggio del secondo anno senza Carnevale, beneficia della compagnia di una nuova poesia, un po’ glicine, un po’ magnolia.

venerdì 21 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/439. Inventario delle nuvole e dei pensieri

 


Scrivere delle nuvole, guardarle e fotografarle o dipingerle non è niente di eccezionale, ma è una delle mie attività preferite. Perché le nuvole sono imprendibili e mutevoli, quando abbiamo finito di descriverle già non esistono più, così come i nostri pensieri, le sensazioni e le emozioni. Le nuvole appartengono al passato come tutto ciò che è in nostro potere cantare. La particolarità delle nuvole, come dei fiocchi di neve, dove mai ne troveremo due uguali anche se potessimo restare per millenni con il naso all’insù a osservarle.

Nell’articolo “Le mille e una nuvola” sul suo bellissimo blog Didatticarte, che vi invito a esplorare, Emanuela Pulvirenti ricorda Gavin Pretor-Pinney autore di Cloudspotting:

“Cosa c’è di più bello di un cielo azzurro? Un cielo pieno di nuvole”.

Seguono poi immagini dei quadri di John Constable, Mallord William Turner, Caspar David Friedrich e Gustave Courbet. È un articolo talmente interessante che spesso vado a rileggerlo e a guardare le immagini che lo corredano.

Ma perché sono ossessionata dalle nuvole? Oltre che dal cielo, dalle foglie, dagli alberi, dall’acqua, dalle ombre, dalla luce, dal vento, dal mare e via elencando?

Osservare le nuvole non è solo godimento estetico, le immagini delle nuvole sono chiavi che aprono porte con serrature che non combaciano.

Quando guardiamo una nuvola, la seguiamo nel suo cammino, lento o veloce, poco importa, ecco che mille forme si manifestano e poi svaniscono e nel guardarle noi ci troviamo a immaginare, altre forme e altri luoghi.

Nel nostro nuvolario personale una nuvola non è mai soltanto una nuvola, una nuvola è una porta o una finestra e attraversandola giungiamo in un luogo rarefatto della mente dove pensiamo per immagini prima e per parole poi.

 

 

Una nuvola, due nuvole, molte nuvole

 

Osservare le nuvole è davvero

il lavoro perfetto per imparare

a guardare e poi a stare nel

tempo e nell’impermanenza

di tutte le cose, perché le nuvole

sono filosofe naturali e sanno

che le risposte stanno nelle domande

e nell’altrove, in tutti i luoghi da

cui proveniamo e in quelli verso

cui andiamo. Andiamo? Ma non

è certa la direzione e neanche

il senso. Come scriveva Jean Cocteau

per la poesia, lo stesso possiamo

dire di tutte le nuvole. A cosa servono

dunque le nuvole? Sono indispensabili.

Ma non so per cosa.

 

 

Oggi ho guardato molte nuvole, nel cielo, nei quadri, nelle fotografie e sono piena di gioia. Sì perché le nuvole mi fanno questo effetto e anche i pensieri sono più leggeri dopo averle guardate.

Questa è la Cronaca nuvolosa numero 439 di venerdì 21 maggio del secondo anno senza Carnevale, le nuvole della fotografia sono antiche nuvole del 2013 viste a Torri del Benaco sul lago di Garda.

Nel nuvolario delle Cronache, ogni Cronaca cerca la sua poesia e la sua nuvola e io mi incanto a guardarle sdraiata sulla mia.

giovedì 20 maggio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/438. Poetica dei giardini e delle stagioni

 

 


Ci sono almeno quattro ordini di giardini: quelli che circondano le case e i palazzi in cui viviamo in questo piano di realtà; ci sono poi stanze che sono anche giardini cresciuti nella penombra e nel silenzio, dove fiori e piante si affastellano e dove un’altra anima riposa accanto alla nostra nelle lunghe ore argentee che precedono l’alba o in quelle altrettanto lunghe che seguono il tramonto, prima che la notte si riappropri del mondo. Ci sono poi i giardini interiori, quelli dove dialoghiamo con la nostra anima, ci prendiamo cura di noi stessi e dialoghiamo con la moltitudine che ci abita e creiamo giorno dopo giorno, il senso del nostre essere al mondo. Ci sono poi i giardini immaginari, come quello dove passeggio ai piedi delle Montagne della Nebbia, dove tutti i giardini che ho amato sono confluiti e dove la mia anima si rigenera e trova conforto. Ogni giardino ha una sua bellezza legata al tempo e al clima, nei giardini primaverili la api impazziscono tuffandosi nei pollini, i fiori mutano il colore del mondo e le rondini dominano il cielo. Il giardino estivo è il regno delle cicale di giorno e dei grilli di notte e sono i girasoli a impazzire di luce. In autunno il giardino piano si spoglia delle foglie, i più preziosi ornamenti, e fanno capolino i rami nudi e i melograni, frutti della stagione di mezzo. Poi, d’inverno, ecco che il giardino è un canto imparato a memoria, un ricordo che teniamo vivo nel cuore e insieme alla neve che scende piano, pure noi dormiamo e sogniamo il verde tenero delle foglie che saranno.

Nel giardino che mi porto dentro, convivono sempre le quattro stagioni, ma la maggior parte del tempo la mia anima oscilla tra il giardino primaverile e quello estivo. Non è tempo per l’autunno, non ancora le rose chineranno il capo e si rassegneranno alla stagione invernale. Perché ci sono rose che fioriscono quando fioriscono e non sanno che novembre non è il mese della loro fioritura. Fioriscono e al mattino sono coperte di brina, ma danno conforto a chi le guarda come se il mese fosse ancora maggio.

Tra fiori e frutti riempio la mia tavola e poi torno nell’orto che è una propaggine del giardino e che nutre con delicatezza questa mia forma mortale. Oggi ho portato a casa pomodori, zucchine fiorite, cetrioli carosello e menta. Respiro ogni profumo, assaporo il mondo attraverso l’olfatto e viaggio nel tempo fino all’orto di mia nonna in Calabria e oscillo tra quel passato remoto e il futuro sempre ignoto che ci attende.

Nel mio giardino c’è un angolo riparato accanto a una bella fontana che canta tutto l’anno, tranne quando l’acqua gela e si presta a dare forma all’inverno. C’è una panchina, c’è un tavolo e lì posso fermarmi a leggere, studiare e scrivere. A volte ci resto anche se pioviggina per sentire la carezza dell’acqua sul mio viso e poi rientro in casa e accendo il focolare per scaldarmi e asciugarmi.

 

Come se fosse sempre maggio

 

C’è un giardino segreto in

ogni giardino, quel centro

invisibile che solo noi

conosciamo, quel sole che

non tramonta mai, quell’alba

ferma alla nostra sinistra e

che illumina il giorno nascente.

Dobbiamo solo muovere

lo sguardo e una via nuova

si aprirà in quel giardino

misterioso, ricco di fiori e

di frutti, che chiamiamo

 a volte anima, a volte

sogno e altre volte

amore. Quell’amore

che resta anche se ci

sembra che l’inverno non

passi mai.

 

 

Anche oggi è stata una giornata meravigliosa in tutti i giardini della mia anima e in quelli della mia fantasia, della città silenziosa e dell’Altipiano della Luna.

Il sole è ancora alto e questo giovedì 20 maggio del secondo anno senza Carnevale, si concentra sullo studio e sulla scrittura, mentre la Cronaca 438 starnazza con le consorelle nel laghetto della mia immaginazione, mentre la poesia è una nuova ninfea dalle sfumature rosate.