Non potendo coltivare nel mio sguardo i paesaggi che mi
sono cari, se non quelli cittadini della città semi-silenziosa, coltivo con
accanita passione il mio paesaggio interiore che vado raccontando da quasi un
anno in queste Cronache.
Ho scelto le Montagne della Nebbia, l’Altipiano della
Luna, la Casa delle Parole, quella delle Stelle e delle Tre Sorelle. Abitanti
probabili e improbabili, amici, scrittori e poeti, vivi e morti, vanno e
vengono tra questa ed altre realtà. Mi fanno compagnia, mi rallegrano, mi
arricchiscono. Memorie reali e fittizie si mescolano, analisi sociologiche e
antropologiche si mescolano con quelle psicologiche. E tutti questi movimenti
sono intessuti dalla poesia. Non ho ancora contato quante poesie ho scritto in
quest’ultimo anno, ma non sono poche. La poesia contiene e dà forma e immagini
a tutto ciò che ho amato e che amo.
A
cosa serve uno scrittoio da viaggio
È solo un vecchio scrigno
intarsiato, di legno antico
che qualcuno ha portato,
almeno cent’anni fa dalle
nebbie d’Inghilterra a quelle
del lago. Tenuto sulle ginocchia
traballanti in carrozza o su un
vecchio tavolino, quello scrittoio
da viaggio mi ricorda che c’è
sempre una storia da raccontare.
E dove la storia non arriva, cioè
quasi sempre, è la poesia a dare
senso ai mondi e al tempo. Non
senti quel canto che arriva dallo
scrigno ancora chiuso?
Oggi, venerdì 5 marzo cerco i fili di questa bizzarra
tessitura che sono le Cronache dagli anni senza Carnevale. Tiro un filo a caso
e vedo dove mi porterà. Questa Cronaca 362 è frutto di una rilettura di ciò che
ho scritto e dei segni che mi ha mandato quel mio antico scrittoio da viaggio,
acquistato oltre trent’anni fa sull’isola di San Giulio, cuore del lago d’Orta.
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