Era l’otto marzo del 1941 quando Etty Hillesum,
un’autrice che mi accompagna da oltre trentacinque anni, iniziò a scrivere il
suo diario, la cui prima edizione risale all’autunno del 1985. Era uno dei
periodi giovanili di più intense letture e scritture, soprattutto sulle vite
degli scrittori e dei poeti, dato che io stessa stavo cercando la mia strada
creativa. Leggendo i diari, le lettere, le biografie, le memorie cercavo delle
tracce e dei segnali riconoscibili che mi permettessero, a mia volta, di capire
se quello che io sentivo come un grande bisogno fosse una vera vocazione o un
desiderio narcisistico. Quando ho letto il diario di Etty Hillesum sono stata
folgorata: l’ho letto in poco più di un giorno, rubando il tempo a qualunque
altra attività, perché già lavoravo e il tempo per me era davvero poco. È un
libro che negli anni ho riletto, sia per intero che a brani, più volte e ne
possiedo più di una copia perché ci sono stati dei momenti in cui ho sentito il
bisogno di rileggerlo senza andare a vedere le annotazioni e le sottolineature
della prima lettura, per capire anche che cosa, nei miei sentimenti e nella mia
percezione, nel tempo fosse cambiato. La cosa che mi colpì, e che mi colpisce
ogni volta che lo rileggo, è che questo diario è la testimonianza di un
cambiamento profondo, ma non necessariamente di una maturazione. Quando noi pensiamo
alle persone molto giovani pensiamo che siano destinate ad un processo di
maturazione. Etty Hillesum, forse per i tempi che ha vissuto, forse perché
tutto il suo mondo è imploso nel giro di pochissimi anni, era una donna
straordinariamente matura. Matura al punto che, anche se ormai la giovane donna
che scriveva queste parole potrebbe essermi figlia, la lettura me la fa sentire
straordinariamente vicina. Lei ha vissuto intensamente ed ha voluto rendere testimonianza.
Questo è il primo elemento importante nella storia di questa donna. Si è resa
conto subito di quello che stava accadendo agli Ebrei in Europa. Si è resa
conto perché ha ascoltato le testimonianze che arrivavano, c’erano tutti i
segnali che facevano capire – a chi voleva – quello che era il progetto di
sterminio della popolazione ebraica europea. Il diario inizia con delle
riflessioni molto personali sulla sua vita sentimentale, sui suoi incontri erotici.
Lei era nata il 15 gennaio 1914, si era laureata in giurisprudenza, studiava
lingue slave all’università e la sua grande passione era il russo, che
abbastanza rapidamente iniziò anche ad insegnare. Era figlia di una colta e
benestante famiglia ebrea olandese, con due fratelli, Jaap e Mischa, entrambi
geniali: uno ricercatore medico e l’altro musicista. Suo padre Luis era un coltissimo
studioso, era preside del Liceo dalla cittadina olandese di Deventer dove Etty visse
la maggior parte della sua gioventù. Sua madre Rebecca era una donna molto
vivace, intelligente, ma particolarmente umorale, che spesso scaricava sulla
figlia le frustrazioni della sua vita, in qualche modo, di donna non
realizzata. Etty lascia la famiglia quando si laurea e si trasferisce ad
Amsterdam. Qui va a vivere a casa di un uomo che lei chiama Pa Han e che
diventa rapidamente il suo amante, evento che non impedirà ad Etty di avere una
relazione sentimentale anche con il figlio di quest’uomo. Vivevano in cinque in
questa casa, dove anche l’altra inquilina, ebbe a sua volta una relazione con
Pa Han. Ma tutto questo veniva vissuto con grande spirito di condivisione e di
allegria, senza moralismi, senza senso di colpa. Queste cose mi colpirono
molto, quando lessi, quando lessi la prima volta il diario di Etty. Quello che accade,
quando a mano a mano lei si rende conto degli avvenimenti, di quello che i Tedeschi
stanno facendo in Europa agli Ebrei, anziché sprofondare nella depressione o in
una rabbia sterile, questo dolore e questo rabbia che lei comunque provava le
hanno permesso di scendere in profondità dentro se stessa, nel suo cuore, nella
sua anima, e di scavare, scavare per arrivare proprio alle radici, alle radici
più profonde di sé ed avere il coraggio di guardarsi per quello che lei era realmente,
con la sua debolezza. Lei di questa debolezza si rende conto ma, ad un certo
punto, nel diario scrive anche che, proprio perché sa di essere debole, e
questa debolezza è la stessa che vede nelle persone che le stanno intorno, lei
vuole diventare forte, perché deve essere forte non tanto per se stessa, ma per
gli altri, essere forte per gli
altri, dunque è uno dei principi che la sosterranno da
quel momento. Questo diario, che è iniziato come un percorso di autoanalisi e
di conoscenza di sé, diventa un percorso di testimonianza, proprio perché lei è
consapevole di quello che sta accadendo. Non sa se sopravvivrà alla guerra,
perché il piano di sterminio dei nazisti è ben chiaro in lei, e quindi decide di
tenere questo diario, perché, se anche lei non dovesse arrivare alla fine della
guerra viva, qualcuno, anche di sconosciuto, in futuro avrebbe potuto leggere
quello che lei stava osservando e registrando, ma non con il piglio del
giornalista o del saggista, ma con la forza di una scrittrice, intessendo questa
scrittura con le letture che l’hanno accompagnata. Etty era una donna
profondamente religiosa, addirittura mistica, ma essere profondamente religiosa
per lei non significava appartenere ad una religione o frequentare la sinagoga;
leggeva la Bibbia, sia il Nuovo che il Vecchio Testamento, e aveva alcuni scrittori
e un poeta, sopra tutti, che sempre l’accompagnavano nel suo percorso di studio
e di riflessione quotidiana. Gli scrittori erano Tolstoj e Dostoevskij, che
cercava di leggere in russo, più Dostoevskij che Tolstoj, L’idiota, più di tutti gli altri romanzi del grande scrittore
russo. Poi le Confessioni di
Sant’Agostino, questa è un’altra lettura che lei più volte cita nel diario, e
questo poeta straordinario Rainer Maria Rilke, che lei ci restituisce nel diario
in maniera estremamente vivida. Tra l’altro, al di là di queste citazioni
esplicite che lei fa nel diario tratte dal Libro
d’ore, possiamo trovare riferimenti a questo legame tra la Hillesum e Rilke
nella prefazione all’ultima traduzione fatta con pazienza e passione, da un carissimo
amico, il poeta veronese Lorenzo Gobbi. Spesso Etty, infatti, trascrive
citazioni senza indicarne la fonte, essendo le parole degli altri una fonte di
ispirazione per la sua vita spirituale, citazioni che Lorenzo ha ben colto. Il Libro d’ore è un libro della gioventù
di Rilke, come per la Hillesum gli anni in cui scrisse il diario furono anni
della composizione folgorante, anche le poesie di Rilke esprimono la vitalità e
lo slancio della giovinezza. Il Libro
d’ore venne composto veramente in pochissimi mesi, e quindi c’è anche
questa sorta di rispecchiamento e di ricerca, di dialogo ininterrotto con Dio
da parte di quella che nel diario si è definita come “la ragazza che non vuole inginocchiarsi”,
è lo stesso percorso che Rilke fa nel Libro
d’ore. Etty, alla fine - lei non sa che la sua vita sta per finire, lo
intuisce ma ovviamente non ne ha la certezza – arriva a dire che Dio è la parte
più profonda e più autentica di sé. E questa parte profonda ed autentica di sé,
è la parte profonda ed autentica degli altri esseri umani, delle persone con
cui lei sta condividendo questa tragedia inimmaginabile. Questo percorso
straordinario di cambiamento in Etty avviene non solo grazie alla
consapevolezza di quanto sta accadendo intorno a lei, non solo grazie alle
letture straordinarie di Rilke, di Dostoevskij e di Agostino, ma anche perché
incontra un uomo. Ad alcune persone fortunate capita nella vita di conoscere
qualcuno che radicalmente ci permette di cambiare, persone che diventano
catalizzatori, persone che ci aiutano a rivelarci a noi stessi, a mostrare di
noi quello che non sapevamo di essere o di avere. Quest’uomo si chiamava Julius
Spier, era di origine svizzera, molto più anziano di lei: avrebbe potuto
esserne il padre, aveva giù più di cinquant’anni quando si conobbero. Era un
uomo, anche lui Ebreo, con una vita abbastanza movimentata - tra le altre cose
aveva anche fatto il banchiere - e ad un certo punto aveva scoperto di avere un
dono straordinario per la lettura della mano, cosa che può lasciare perplessi e
far sorridere, però le testimonianze della capacità di quest’uomo nel leggere
la mano tra quelli che furono suoi pazienti e sopravvissero alla guerra,
raccontano di questa dote incredibile che aveva. Lui conobbe a Zurigo, Carl
Gustav Jung, e fu proprio Jung che gli suggerì, dopo che fece un percorso analitico,
di unire questo suo dono, quindi questa sua capacità di capire l’anima delle
persone leggendo le linee della mano, con un percorso di analisi del profondo. E
lui lo fece e ad Amsterdam fondò questo gruppo di studio e di terapia dove
conobbe Etty. Julius si innamorò di Etty, all’inizio non furono amanti perché
lui aveva già una donna che viveva a Londra, alla quale voleva essere fedele.
Etty lo amava, benché continuasse ad avere la relazione con il suo amico e
padrone di casa. Nel diario c’è quindi anche questa molteplicità di relazioni
amorose. Amando Julius, lei per la prima volta capisce che si può amare senza
possedere l’altro e senza volerlo possedere, soprattutto. Questo è un altro cambiamento
profondo: l’amore senza possesso, l’amore senza controllo, l’amore senza
desiderare che l’altro sia diverso da quello che è. Lei temeva tantissimo il
destino delle persone che amava. Scrive in una delle lettere: “Io so di essere
in grado di portare il destino che mi attende, quello che io non sopporto,
quello di cui io ho paura: di dover sopportare il destino di coloro che amo,
dei miei genitori, dei miei fratelli, dei miei amici e soprattutto di Julius”.
Julius muore la notte prima che la Gestapo andasse ad arrestarlo, quindi non conoscerà
l’umiliazione e l’annientamento del campo di concentramento; questo gli venne risparmiato.
Quando Etty seppe che lui stava morendo, il primo uomo, la prima persona che
lei, come racconta nel diario, vede morta, le dà un enorme sollievo, perché non
voleva che lui dovesse affrontare quello che la sta aspettando. La vita
quotidiana, all’inizio degli anni Quaranta ad Amsterdam, prima che i nazisti
incominciassero a deportare gli Ebrei olandesi, verso Auschwitz, era una vita
di privazioni materiali, ma ancora una vita piuttosto agiata. Uno degli
elementi straordinari, in questa giovane donna, è la sua capacità di godimento
delle piccole cose della vita, cercando continuamente la bellezza in quello che
la circonda. Ci sono diverse descrizioni della sua scrivania davanti ad una
finestra, degli alberi numerosi che vede sullo sfondo, di questi piccoli fiori
che le vengono donati. Un giorno, addirittura, a una festa un suo amico le
regala cinque rose Thea, che osserva quotidianamente fiorire e poi sfiorire, appassire
e perdere poi i petali tra i fogli dei suoi libri. C’è il gusto del cibo, di
ogni boccone, della cioccolata calda, del pane imburrato, della marmellata, dei
pomodori freschi, dell’anguria. Ci sono sempre, in questo diario, straordinarie
descrizioni delle cose, della materialità della vita, di quello che la
circonda. Altrettanto straordinarie sono le descrizioni delle persone, non solo
dei suoi amici, della sua famiglia, che lei a mano a mano che si avvicina alla
fine, ci regala. Ad un certo punto, nel luglio del 1942, quando tutta la
famiglia pare destinata alla deportazione, tramite degli amici lei riesce ad
avere un impiego nel Consiglio Ebraico di Amsterdam. I Consigli Ebraici, che i
nazisti istituirono praticamente in tutte le città occupate, furono uno dei più
grandi inganni, perché introducendo questo metodo burocratico e spietato di
registrazione, classificazione di tutti gli Ebrei, hanno permesso, a noi
posteri, di sapere esattamente che cosa i Tedeschi abbiano fatto durante la
guerra. Etty, quindi, diventa impiegata al Consiglio Ebraico, passa la giornata
a battere a macchina delle pratiche e ogni tanto, però, quando è stanca, si
allontana per leggere qualche poesia di Rilke. Questo le permette di rinviare
la deportazione per qualche settimana. Ma, quando si rende conto del destino
che incombe decide di andare a lavorare all’interno del campo di smistamento di
Westerbork che per gli Ebrei olandesi era l’anticamera di Auschwitz. Ogni settimana al campo di Westerbork
c’era la selezione delle persone destinate ad Auschwitz. Etty riesce, per
diversi mesi, per oltre un anno, a rimandare la partenza dei suoi genitori e
dei fratelli. Amici olandesi le offrirono la salvezza, di nasconderla, di farla
scappare, ma lei rifiuta sempre e decide di vivere la sua vita quotidiana definitivamente
nel campo. Si allontanerà soltanto tre volte nel corso del tempo; tornerà ad Amsterdam
per trovare un po’ di sollievo, non tanto morale quanto fisico, perché Etty
soffriva di emicrania, le scarpe rotte le causavano delle vesciche tremende ai
piedi, e spesso era costretta a camminare con grande dolore e grande fatica. Questo
però non le impediva, all’interno del campo, di correre da una baracca
all’altra a dare aiuto, conforto e sollievo alle persone che come lei erano
prigioniere; prima di tutto ai suoi genitori, che erano in due baracche
diverse, perché gli uomini e le donne erano tenuti separati. Scrive continuamente
lettere, cosa che le diventa sempre più difficile, perché dalle quattro lettere
alla settimana via via i nazisti le resero ancora più difficili i contatti con
l’esterno. E nelle lettere racconta quello che accade e chiede che vengano
mandati cibo e vestiti, soprattutto per i suoi genitori e poi per le altre
persone che lei conosceva. Perché Etty fa questo? Perché si priva del cibo, perché
si priva dei vestiti, perché presta la sua Bibbia? Etty non ha mai fatto
carità, Etty non era una persona caritatevole. Gli atti di questa giovane donna
sono dettati da un altruismo radicale. Questa definizione di “altruismo
radicale” la dà Garlaandt, il curatore dell’edizione olandese di questo diario
che ha vagato per circa trent’anni sulle scrivanie di vari editori prima di
essere pubblicato. Etty non fa la carità, perché la carità presuppone la
condizione di minorità in chi la riceve, in chi viene aiutato. L’altruismo,
invece, ci mette sullo stesso piano, ed essendo così radicalmente altruista Etty
diventa un modello di comportamento. La sua forza diventa la forza di quelli
che le stanno vicino. Quando lascia il campo di Westerbork, nel settembre del
1943, riesce a buttare dalla fessura del vagone che la sta trasportando, una
cartolina indirizzata ad un amico. Un contadino la raccoglie e la spedisce.
Nella cartolina lei ha scritto: “Abbiamo lasciato il campo cantando”. Uno degli
aspetti veramente importanti nella vita di questa donna, che ci parla con forza
immutata a quasi ottant’anni dalla sua morte, è proprio l’esempio, è questo voler
essere, come lei dice in uno dei passaggi più belli del libro: “Vorrei essere
il cuore pensante della baracca, cioè non dimenticare mai chi sono, non
dimenticare mai cosa il mio cuore prova e non dimenticare mai quello che la mia
mente capisce”.
Ho riletto il Diario
e le Lettere di Etty Hillesum per prepararmi all’incontro “Scrivere con gli altri: Etty Hillesum e le affinità letterarie con R.M
Rilke, Lou Salomé, Lev Tolstoj e Fedor Dostoevskij” organizzato con l’associazione
“Apriti Cielo” e ho scoperto ancora cose nuove in lei e in me, a partire dalla
dimensione mitobiografica di colei che accompagna, una figura fondamentale per
me e in me. Leggere Etty Hillesum è andare alla ricerca della propria
invincibile estate, è acqua viva per dissetare il proprio giardino interiore.
Il titolo “un’anima è fatta di fuoco e di cristalli di
rocca“ della Cronaca 366 di martedì 9 marzo del secondo anno senza Carnevale è
una citazione dal Diario di Etty.
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