Quello che resta non rappresenta mai l’intenzione del suo creatore. La forma compiuta e l’immortalità sono lo scopo perseguito, ma di rado, molto di rado, qualcosa resterà davvero.
Restano i palazzi, le sculture, i dipinti e
gli oggetti, i libri pubblicati. Dei libri non finiti, delle cancellazioni,
verremo a conoscenza solo se l’autore avrà pubblicato altro e il suo archivio
sarà, così, di interesse comune.
Le storie che noi siamo cercano, giorno dopo
giorno, di trovare una direzione e un senso. Viene prima la direzione, l’orizzonte,
la stella polare. Il senso, in tutti i sensi, viene dopo ed è frutto della
retrospettiva, dello sguardo all’indietro che fu la rovina di Euridice e la
gloria di Orfeo. Non scriviamo mai del dolore che stiamo provando, perché l’atto
dello scrivere ha già strappato all’oblio quel che abbiamo sentito.
La scrittura muta la percezione del dolore e
di ogni ricordo, perché interviene e cesella su ogni istante e offre quella
luce e la sua ombra alla nostra tessitura. Negli intrecci non ancora terminati
volano le rondini che stanno tornando e così vediamo che ogni cammino non è che
un ritorno, una brace accesa sotto le ceneri.
Invocazione
alla rondine
Apri le ali e segui il vento,
non temere le nuvole, non
tornare indietro, segui ogni
istinto che ti arrovella nel
sangue, segui il caldo che
ti chiama ad alta voce e
ripara il nido, accogli la tua
prole e sii pronta quando
l’estate chiederà il tributo
e l’autunno accorcerà ogni
fiamma e un’altra estate
ti chiamerà al riposo, oltre
quel mare che per noi è
solo un sentimento.
Sono giorni che sto scrutando il cielo, ma le
rondini non sono tornate. È ancora troppo fredda la stagione e corta la luce. Se
non possono scrivere i nostri cieli, le rondini non torneranno, non ancora. Io ripongo
la pagina bianca e aspetto.
Oggi è giovedì 25 marzo del secondo anno
senza Carnevale, Invocazione alla rondine
l’ho scritta per questa Cronaca 382.
Nessun commento:
Posta un commento