Seduti sulla cima dei monti stavano gli Dèi e guardavano indifferenti ai movimenti umani. Ma poi un uomo accese il fuoco e una donna iniziò a cantare, così gli Dèi diventarono curiosi e si avvicinarono. Per non farli spaventare presero sembianze umane e scoprirono di sentire i loro cuori battere, gli occhi riempirsi di lacrime, impararono a commuoversi per un tramonto, per il sorriso di un bambino, per la corsa più veloce e per il salto più alto. Restarono a lungo tra gli umani i nostri Dèi greci. Li abbiamo lasciati andare via da così tanto tempo che neanche sappiamo più perché siano scomparsi. Ma oggi, li abbiamo visti gioire con Lamont Marcell Jacobs, l’uomo che correva più veloce, e Gianmarco Tamberi, l’uomo che saltava più in alto.
Così
queste strane Olimpiadi quasi virtuali, senza pubblico, senza incitamenti, urla
o applausi, irrompono nella quieta rassegnazione di un’altra domenica piovosa. Dov’è
il sole? Ci chiediamo, mentre i tuoni infrangono il silenzio e lo scroscio
della pioggia diventa sempre più forte, e poi piano si acquieta, e poi
sparisce. Quando ci sono le Olimpiadi mi tornano sempre in mente quelle di Los
Angeles nel 1984. Ero a Losanna a studiare francese e con alcune compagne ci
eravamo rintanate in questa casa di studenti affollata e allegra. Mangiammo pizza
e ravioli cinesi bevendo Coca-Cola. La Svizzera è uno strano paese, forse
davvero uno stato mentale. Ho ricordi meravigliosi dei viaggi che ho fatto tra
quelle montagne e quei laghi, un paese senza mare, proprio come Milano. E gli
Dèi vivevano in Svizzera in quegli anni e alcuni li ho incontrati e ho parlato
con loro. Perché amano la giovinezza, amano quello stato perenne di scoperta ed
eccitazione che appartiene alla gioventù e che, se siamo fortunati, non ci
abbandona mai. Vivere seguendo il flusso delle cose che accadono, imparare ogni
giorno qualcosa di nuovo, non fosse anche che una sola parola, avere cura di
chi ci sta accanto, perché la cura di persone e cose, si espande come i cerchi
nell’acqua quando lanciamo un sassolino.
Così
la pioggia diventa un rifugio per i pensieri che saltellano sui rami come
scoiattoli e vanno alla ricerca di ghiande, noci e di scoiattoli nuovi. Così la
pioggia diventa un rifugio per i ricordi che si nascondono tra i rami come le
cinciallegre e si contendono la nostra attenzione per tornare in questa
dimensione, varcando i limiti dello spazio-tempo.
Il silenzio dispensa
scintille
Mi
guardo intorno e scopro
quanto
sia affollato questo
divano.
Ci sono io che
scrivo
e la ragazza che ride,
la
bambina che corre e
la
bambina che salta. Così
mi
stringo per far posto
a
questa strana compagnia
che
mi conosce bene e io
conosco
loro. Ognuna
chiama
a sé la memoria
di
chi ha amato e presto
la
stanza è piena di gente
che
parla ad alta voce e
ride.
Mi addormento e tutti
mi
raggiungono nel sogno,
mentre
fuori la pioggia è
sottile
come un suono d’arpa
e
mi chiedo dove l’ho già
sentita
prima. E nessuno
mi
risponde, qui le parole
dormono
più ancora di
noi
e il silenzio dispensa
scintille,
lucciole e stelle
che
riempiono tutti i cieli.
Questa
è la Cronaca 511 di domenica 1° agosto del secondo anno senza Carnevale, dove
ascolto la pioggia e gli Dèi che sono tornati.
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