Storie del Mediterraneo/1
Pensiamo che sia il vento a condurci verso la mèta, ma è lui a lasciarcelo credere. Neanche il vento sa bene dove va e perché. Così quando sbarchiamo sull’isola il primo a stupirsi e a correre a giocare con i cespugli di mirto è proprio il vento della traversata e dello sbarco. Tutto è silenzio intorno a noi quando il vento si rifugia all’interno. La spiaggia ha piccole dune e si allunga a destra e a sinistra e sembra non finire mai. Abbiamo ancorato la barca e portato a riva solo le poche cose che ci servivano, più tardi andremo a pesca e coglieremo le noci di cocco, avremo di che mangiare e bere. Ma se riuscissimo a trovare una fonte d’acqua fresca, potremmo stare ancora più tranquilli e riempire i bidoni a bordo, anzi rinnovare tutta la scorta già che ci siamo. Ci sarà luce ancora per molte ore, anche se la verticale del mezzogiorno l’abbiamo già dietro di noi. Philippe e Luis decidono di andare oltre le dune a vedere cosa c’è, io preferisco restare a guardare il mare e buttare giù un altro schizzo nel mio taccuino. Quando torneremo a bordo per dormire userò gli acquarelli, ma adesso mi basta tracciare le linee che replicano quel che il mio occhio racchiude in un unico sguardo. Non passano che pochi minuti e il fischio di Luis perfora l’aria intorno. È il nostro segnale per dire che tutto va bene e di raggiungerli. Così metto a tracolla la mia borsa di cuoio che viaggia con me da un decennio e mi avvio seguendo le loro tracce. La spiaggia finisce poco oltre le dune e rocce nere, forse vulcaniche, circondano un bosco non troppo fitto nel quale mi introduco. Subito canti di uccellini invisibili mi circondano e sento anche il loro chiocchiolare. Dopo qualche passo ancora, è un rumore d’acqua che mi attira e mi trovo di fronte a un laghetto con due piccole cascate gemelle e rive pianeggianti. I miei amici si stanno lavando, si spruzzano, ridono e scherzano. L’idea di un bagno d’acqua dolce mi attira, abbiamo uno strato di sale sulla pelle che nessuna delle docce riesce mai a scalfire fino in fondo. Quel che nessuno di noi tre ha notato, è la donna vestita di bianco che se ne sta accoccolata dall’altro lato del laghetto e ci guarda. Ce ne accorgiamo solo quando inizia a rispondere ai canti degli uccelli e si alza in piedi. Ha capelli lunghi e ricci, scuri come il fitto del bosco, porta collane di conchiglie e una corona di bacche rosse. Anche i suoi occhi sembrano scuri nella distanza. Ci fa segno di raggiungerla e chi siamo noi per rifiutare l’invito? Ci avviciniamo con cautela e ammiriamo le cosce sode, le gambe lunghe, il seno florido e invitante. Sono mesi che non incontriamo una donna e lei è così bella! Pensiamo all’unisono la stessa cosa mentre ci avviciniamo. Chissà se uno di noi sarà così fortunato da unirsi a lei. Quando arriviamo, io a piedi e gli altri due a nuoto, lei si presenta con il nome. Magali parla la nostra lingua e ancora non è il momento di fare domande. Dice che anche lei è scesa al lago per fare il bagno e si leva con un solo gesto la tunica, mentre noi continuiamo a guardare il suo corpo magnifico appena coperto da un piccolissimo costume che sembra di pelle di daino. Nuota meglio di noi e nessuno riesce a prenderla, va fino alle cascate e si lascia sommergere dall’acqua. Lo facciamo anche noi tre ed è una sensazione bellissima. Così adesso siamo rinvigoriti, eccitati e affamati. La seguiamo fuori dall’acqua e andiamo verso la capanna dove vive. È decorata con le stesse conchiglie che porta al collo, ampia e con l’ingresso chiuso da una stuoia. In una buca coperta di foglie di palma, sta cuocendo del pesce. Ne riconosciamo l’aroma mescolato a quello delle erbe spontanee con cui l’ha ricoperto, timo e rosmarino. Mette sul fuoco cocco con il suo latte e curry, quello deve averlo portato dalla terraferma, e prepara un piatto abbondante per ciascuno di noi, una pietanza che è allo stesso tempo esotica e familiare. Mangiamo con le mani e non parliamo perché lei non parla e non lo farà se non dopo avere raccolto i gusci dentro i quali abbiamo mangiato e averci invitato a sciacquarci a una fontana fatta di bambù dove scorre la stessa acqua delle cascatelle. Il sole è ormai calato oltre le colline più alte e l’aria inizia a rinfrescare. È lei che accende il fuoco e dispone quattro stuoie intorno. Io sono l’unico che giù al lago non si è presentato. “Sono Michel” le dico e lei mi ripete il suo nome come se io non lo avessi sentito quando ci siamo visti giù alle cascate. Il fuoco è di piccole dimensioni ma diffonde intorno quel calore giusto che invita al racconto. “Ditemi di voi, raccontatemi chi siete e come siete arrivati qui nella mia isola. Io vi dirò di me, ma dopo. Inizia tu Philippe, sei il meno abbronzato e quello che nuota meno veloce. Non sei abituato a stare settimane in mare come loro due. Raccontami chi sei e svela anche ai tuoi amici almeno un segreto”. Così Philippe iniziò a parlare e mi trovai di fronte uno sconosciuto, non l’amico che frequentavo da oltre vent’anni.
Oggi
mi è presa così, un nuovo filone narrativo, un’isola sconosciuta, una donna
misteriosa. Chi sono quei tre giovani uomini? Chi è Magali? Magari lo
scopriremo insieme nei prossimi giorni.
Oggi
è giovedì 12 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 522,
marina, misteriosa, sdraiata sotto un cielo stellato.
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