La luce del mattino non indica solo l’inizio del nuovo giorno, indica prima di tutto la fine della notte e gli incerti confini tra le ombre che vivono in solitudine, indipendenti e che il buio confonde con se stesso, e il chiarore dove le ombre sono costrette a vivere sempre attaccate ai corpi e alle cose che offrono loro una forma, una possibilità di esistenza.
Questa
mattina mi sono svegliata molto presto, molto prima dell’ora in cui il traffico
inizia a varcare le porte del silenzio, proprio quando la luce sfilaccia la
notte. Ho aspettato poi, che ci fosse la luce piena e sono uscita a innaffiare
le piante in terrazza, sul balcone e sulla ringhiera. È un piccolo rito che
allieta l’inizio delle attività e mi piace respirare l’odore della terra
bagnata e l’aroma del basilico che si spande intorno come se fossimo nell’orto.
Ma il basilico non sa di crescere in un vaso, si allunga verso il sole e spinge
i primi fiorellini bianchi a preparare la strada ai semi.
Tutto
il presente è un incessante preparazione del futuro e questo accade anche se
non ci pensiamo, come il grano seminato non pensa alla stagione fredda che
dovrà attraversare prima di smettere di essere seme e di vedere di nuovo la
luce.
Se
nella natura la memoria vive rinchiusa nel presente, noi esseri umani passiamo
molto del nostro tempo a rievocare il passato, cercando i segni di ciò che è
stato memorabile o che vorremmo che lo fosse. Ma la memoria funziona con regole
a noi sconosciute e quel che abbiamo dimenticato o rimosso è sempre molto di
più di ciò che ricordiamo. Ma se è vero che senza memoria smettiamo di essere
chi siamo, un eccesso di memoria ci costringe a rivivere la nostra vita come se
fossimo dei Sisifo condannati a spingere un masso che continuerà a rotolare all’indietro.
La
vita procede sul confine sottile e labile tra memoria e oblio. Ed è l’oblio a
occupare lo spazio infinito di cui la memoria è solo un ritaglio, una parte
infinitesimale che assomiglia molto alla parola che scardina il silenzio, lo
scontorna e lo spinge più in là, oltre quel territorio che solo alla parola
pertiene.
In che immagini e in
che parole
Mi
aspettano le parole alla
fine
di ogni notte, mi aspettano
sui
confini dove le immagini si
fermano
e che non possono
varcare.
Ma io so che le parole
sono
figlie non solo del
silenzio,
ma di tutte le immagini
che
stanno dentro e fuori dalla
mia
testa. Come la memoria
cerca
il perdono, così ogni
storia
sceglie che immagini
vuole
e che parole. Mentre
tutto
il resto galleggia nel
silenzio
e nell’oblio. Scrivere
è
sempre una lotta contro
l’inevitabile
che ci circonda.
Queste riflessioni mi hanno accompagnato per la solita passeggiata in giro per il mio quartiere, che nella mente ho ricominciato a chiamare la Maddalena, il suo nome antico che la storia ha spazzato via. Man mano che il sole sorge e raggiunge lo zenit, mi preparo ad accogliere le parole e poi ne nasce una poesia e poi questa Cronaca 535 di mercoledì 25 agosto del secondo anno senza Carnevale dove ora potrò leggere senza che le mie stesse parole mi saltino intorno come cavallette nel prato o che svolazzino come api intorno ai cespugli di lavanda. È ancora estate, tutto intorno a me lo sussurra e mi allieta.
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