mercoledì 11 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/521. Favola della rondine senza nido e del vento senza casa

 

 


 

Mi ha sempre colpito la dichiarazione di Michelangelo, di voler andare a cercare nella pietra le figure che erano vi erano nascoste, imprigionate. È proprio vero, è una qualità della materia tenere in sé altre forme, altri stati, altre possibilità di esistenza.

Il fiore in boccio tiene in sé il ricordo del seme, la foglia l’ombra dell’estate precedente e anche la nuvola nasconde la pioggia caduta giorni fa. Dunque l’unica verità di questa dimensione è l’eterno mutamento, le forme che cambiano con il cambiare della luce solare e della stagione.

È ancora la pietra che sembra poter essere uguale a se stessa, ma non è così, prima o poi il vento ne avrà ragione o Michelangelo che vuole scolpire lo schiavo che regge il mondo sulle spalle. È il nostro destino tenere il mondo sulle spalle, inutile cercare di sottrarsi perché ciascuno di noi è responsabile di quel che accade. Lottiamo contro la forza di gravità e contro il tempo per portare nel futuro la bellezza che abbiamo incontrato. Impariamo sin da piccoli ad avere cura delle persone e delle cose, le donne più degli uomini per via del retaggio culturale, ma ciascuno di noi ha un senso della cura e della gioia nel praticarla, metterla in atto. Non fosse che il curare delle piante o un gatto anziano. Siamo portati dall’istinto ad avere cura delle creature più giovani, più piccole o più anziane, indifese. Perché sappiamo di dover contrastare il male che abita il cuore degli uomini tanto quanto il bene e molto spesso è più forte. È difficile parlare ad alta voce di fronte alla sofferenza, e allora sussurriamo e facciamo ciò che va fatto. Anche di fronte al male estremo e assoluto del nazismo ci furono donne e uomini che dissero no, si opposero, salvarono vite ed ebbero cura del mondo. Avere cura è sempre un atto rivoluzionario, perché si oppone alla distruzione e si preoccupa e occupa in concreto delle creature e del pianeta a partire da chi e cosa ci è più vicino. Nell’astrazione e nella distanza non c’è cura ma solo fredde intenzioni e proclami. Nella strada dove abito c’era una signora, si chiamava Maria, non sapeva che ogni gesto fosse un gesto d’amore, ma bagnava i cespugli in giardino ogni mattina molto presto, prima che potesse il sole bruciare le foglie giovani, sfamava i gatti randagi del quartiere, lavorava ai ferri quadrati di lana per farne coperte,

leggeva favole ai bambini, chiacchierava con le vicine di casa e sorrideva ai negozianti. Era molto anziana e non so altro di lei, se non che un giorno ho smesso di incontrarla e i gatti hanno smesso di venire a cercarla e alle sue finestre non c’erano più i panni bianchi stesi, ma

vasi moderni con piante sempreverdi. Cosa è rimasto di lei se non questo ricordo, queste poche parole? È vero, ma il ricordo è potente e i gesti sono stati imparati. Ci sono altre mani che innaffiano i cespugli e la gente sorride quando si incrocia per strada, anche quelli che sono stati bambini e hanno ascoltato le favole lette da lei nei pomeriggi d’estate. Non hanno bisogno di leggerle, perché le hanno imparate a memoria e uno di loro stava con i suoi figli, sulle panchine nuove e recitava la storia della rondine senza nido e del vento senza casa che si incontravano ogni anno sotto lo stesso angolo di tetto.

Qualcosa rimane sempre e per sempre, anche se oggi non ci sembra che sia così. Ho innaffiato le rose e il basilico questa mattina, e poi sono andata a camminare e mi è sembrato di averla vista china con un ciotola di cibo in mano e un gatto rosso che la stava salutando.

 

Questa è la Cronaca 521 di mercoledì 11 agosto del secondo anno senza Carnevale, e Milano risplende nel silenzio e nella solitudine delle strade che hanno riscoperto le gioie della contemplazione.

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