Si può essere indifferenti alla pioggia? Lo chiedo al bosco e gli alberi mi rispondono ridendo e scuotendo i rami. Lo chiedo alla terra che si solleva in un vortice di polvere e lo chiedo alle nuvole che sono il nome della pioggia prima che cada. E la pioggia, la pioggia ripeto, è il nome delle nuvole mentre stanno cadendo. C’è un legame esile e spesso invisibile che lega gli elementi naturali nei loro diversi stati. E, infatti, fiume è il nome delle nuvole prima che salgano in cielo e anche mare è uno dei nomi delle nuvole, ed anche uno dei nomi del fiume e uno dei nomi dell’acqua. Chiamiamo vento l’aria intorno che non vediamo, dal refolo al tornado è l’aria che si scontra con gli altri elementi e cambia velocità, intensità e forma. Così il fuoco è fulmine o saetta o folgore quando risplende ancora nel cielo e incendio, fuoco, fiamma, brace e cenere dopo che ha incontrato la terra e l’aria. Nessuna forma, se non la pietra e non per sempre, mantiene si mantiene identica a se stessa a lungo. Anche noi creature coscienti e senzienti mutiamo nel tempo, nel vento e nel fuoco e il corpo bambino già tende la mano al vecchio che saremo. Anche il nostro volto muterà nel tempo e avrà in sé tutti i volti che abbiamo avuto e le rughe saranno i versi che quel bizzarro poeta avrà inciso sulla nostra pelle.
Così
cammino sotto la pioggia e affondo i piedi nella terra già umida, così cammino in
riva al mare e la pioggia diventa mare e il vento diventa onda e io divento io
e un’altra allo stesso tempo, perché niente può essere fermato, niente avrà la
stessa forma e anche queste parole che sto scrivendo e che voi state già
leggendo, sono testimoni di un passato che era solo mio.
Il fuoco nel cielo e
sulla terra, a Kabul
Apro
la mano, ci sono
le
tre nuvole di Paz e
queste
poche parole,
una
poesia di una poesia
che
un altro poeta ha
già
scritto. Apro la mano
e
ci sono solo ombre, la
chiudo
e la riapro e trovo
pioggia
e nessuna parola.
L’apro
di nuovo e cerco
l’innocenza
delle parole,
ma
niente è innocente,
non
dopo essere caduto,
mi
dice la pioggia, mi
grida
il mare. E io sento
quelle
voci che sovrastano
anche
il vento e la pioggia
che
sono diventate le nostre
lacrime
che toccheranno
la
terra, ma non avranno
cambiato
la storia, nessuna
storia.
Sono
i gesti anche piccoli, sono le azioni, quell’uomo che ha dato l’acqua a un
bambino assetato, l’altro uomo che ha premuto un pulsante e si è polverizzato e
ha annientato altre decine di vite. Possono avere lo stesso nome questi due uomini?
Io non credo, io non voglio crederlo e continuo a sperare nella scelta
quotidiana di chi costruisce il bene ogni giorno e ha pietà dei poveri corpi
che siamo, del dolore e delle lacrime, voglio credere in uomini com’era Gino
Strada, voglio credere che prima o poi i portatori di morte si fermeranno o
verranno fermati.
Oggi
è giovedì 26 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 536,
dolorosa, come tutte le Cronache, anche di quelle che si celano in una poesia.
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