Oggi non mi sono mossa da casa, non sono uscita a respirare il giardino, non ho colto le rose né altri fiori, non sono andata nell’orto, non sono andata al mare. Troppo presa da quello che sto scrivendo, ho scelto di circoscrivere tutto il mio mondo in questo studio che zampilla parole, mie e di altri e non accetta rallentamenti o soste. Qui sono davvero a casa e penso alla città silenziosa quanto basta perché i suoi ricordi mi arrivino intatti. Vado a zig-zag tra libri scritti da altri e i miei, raccolgo i post-it sparsi, prendo appunti con la penna arancione e segno in verde le cose che vanno bene. Più verde che rosso su queste pagine, le ho rilette così tante volte prima di stamparle, anche se non amo leggere sullo schermo, ho imparato a farlo per comodità e per non sprecare carta. Ma la vera lettura è sempre l’ultima, quando sento il peso dei fogli in mano e mi rallegro, avvolta nell’azzurro dall’alba sino a questi momenti, poco prima del tramonto.
Perché le sillabe
raggiungano le stelle
Lo
spirito è azzurro questa
sera,
come se avesse rubato
al
cielo tutta la sua parvenza.
Sa
lo spirito che dietro il cielo,
oltre
l’azzurrità e le nuvole è
nero
anche il cielo? Nero come
l’assenza
e come la disperazione?
Se
lo spirito non conoscesse
il
nero, non avrebbe cercato quel
colore
che suggerisce estate e
quiete,
quel colore che sposa
le
chiome degli alberi e allarga
il
respiro. Quando è nero
lo
spirito, se ne sta chiuso
in
se stesso, e declina ogni
parola
in sillabe, perché
così
è sicuro che almeno
loro
raggiungeranno le stelle
nel
nero del cielo.
Ci
vuole un’ostinazione da goccia sulla pietra per scrivere solo perché si deve
farlo, e questa ostinazione io la conosco molto bene. Mia madre mi chiamava gocciareddra nel suo dialetto pugliese
che risentiva però di quello calabrese di mio padre. Com’è intuibile gocciareddra è una persona, spesso una
bambina, ostinata, testarda e determinata. Qualcuno che goccia dopo goccia
scava qualunque pietra, non importa in quanto tempo. Quel che importa è avere
raggiunto il proprio obiettivo. Gutta cavat lapidem.
Una
Cronaca questa, la 540 di lunedì 30 agosto del secondo anno senza Carnevale,
che non ha reclamato movimento, ma solo parole. Che a volte sono ricordi, a
volte solo promesse, a volte sono piccole gocce che hanno appena iniziato a
scavare la loro pietra.
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