Ma
sì, sono certa di avere conservato quella fotografia, lo so che sono passati
quarant’anni, ma sono sicura di averla ancora. Non butto mai le fotografie,
sono superstiziosa come un primitivo, nelle immagini c’è sempre un pezzetto
d’anima. Per questo mi intristisce trovare nei mercatini foto di famiglia e
finisco sempre con il comprarle e riporle nel vecchio schedario da ufficio. Ma
tra un po’ non ci staranno più e non ho spazio per un altro schedario, come farò
a salvarne di nuove? Ecco, ho trovato la nostra fotografia, siamo io, te e
Loredana, e poi c’è anche la tua amica Natalia che d’estate lavorava nell’albergo
di famiglia. Che estate strana, ricordi? Fu l’ultima della nostra amicizia, poi
non ci siamo più cercate, finiscono le amicizie sai? Proprio come finiscono le
storie d’amore e fa male proprio allo stesso modo. Poi ci siamo incontrate in
metropolitana ed erano passati quattordici anni, eravamo diventate la versione
invecchiata di noi stesse, riconoscibili, simili e diverse allo stesso tempo. Siamo
uscite insieme una sera a cena, abbiamo passeggiato a lungo per le viuzze di
Brera, ci siamo raccontate tutto quello che era successo e più parlavamo più
cresceva in me la sensazione che non ci fosse proprio più nulla che ci legasse,
neanche i ricordi d’infanzia, le scuole medie fatte nella stessa classe, le
gite a Pavia a casa di tua nonna e a Motta Visconti da mio zio che stava
tirando su una casa dalle fondamenta. Abbiamo condiviso tanto, ma non era stato
abbastanza neanche il fatto che ci fossimo prese una cotta adolescenziale per i
due fratelli più carini del quartiere. Ma loro neanche ci avevano notato. Così le
parole, le mie e le tue parole, hanno decretato in quella sera di agosto che
non avevamo più niente da dirci. Non siamo mai più uscite insieme, però abbiamo
iniziato a scriverci gli auguri di buon compleanno e buon Natale. Lo abbiamo
fatto per tanti anni, molti di più di quelli in cui eravamo state amiche. Era un
battito impazzito Milano in quegli anni, cortei, scontri, ragazzi che si
picchiavano per strada, assassinii, manifestazioni, tutta la città era diventata
di piombo, non solo gli anni. In certe zone del centro si girava con
circospezione perché sanbabilini e katanga si picchiavano quasi ogni giorno,
anche andare al cinema della via Durini era problematico e così ci andavamo
sempre meno, come al President che era il cinema più bello di Milano a quei
tempi.
Ci
siamo incontrate un’ultima volta, sempre in metropolitana, tu indossavi un
buffo cappellino e avevamo fatto solo in tempo a dirci ciao prima che io
scendessi. Era gennaio e dopo quell’incontro non hai risposto agli auguri di
buon compleanno in aprile. E poi neanche a Natale, e nemmeno l’anno dopo. Non ti
ho più scritto e non ti ho più pensato fino al giorno in cui sono andata nel
vecchio cimitero che non era molto distante dalla casa dove abitavi con i tuoi
genitori. E ti ho trovata, eri lì già da qualche anno e vicino a te c’erano
altri amici che erano stati a scuola con noi, come Mauro e Daniele. Tutto il
tempo è collassato e ho pianto per te, per loro e per la nostra infanzia
perduta, per le estati bellissime passate insieme, per i sogni che facevamo in
abbondanza e poi usavamo come inneschi narrativi per inventarci storie d’avventura
dove noi eravamo le protagoniste, esploratrici, piratesse o avventuriere. C’erano
sempre i due bei fratelli, almeno erano reali loro.
Ti
ho sognata questa notte e non era mai successo prima, eravamo giovani nel
sogno, come allora due ragazzine, ma stavamo cercando quella fotografia che poi
ho trovato e ti ho mostrato. Ma la foto non è mai esistita, almeno non quella,
so di averne altre dove ci sei e sorridi, ciao Antonia, mia amica del cuore,
che solo nel tempo non esiste più.
Oggi
è venerdì 20 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 530 è un
po’ malinconica, ma i sogni, a volta, sono più veri della realtà.
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