Catturare l’attimo e farlo diventare eterno, fermare la luce su una tela usando i colori o in una fotografia, dove non sempre i colori servono, perché il bianco e nero è una forma di memoria potenziata.
Scrivere
con la luce è l’arte di pittori e fotografi, la lotta con la materia è limitata
a tele, pennelli, spatole e colori, olio di lino, acqua per i pittori. E
macchine fotografiche analogiche, le digitali le lascio in sospeso, pellicole,
negativi, stampe su carta fotosensibile, e poi le fasi di sviluppo, fissaggio e
lavaggio. E le fotografie stampate, stese come i panni del bucato e le immagini
che prendevano vita sotto ai nostri occhi, immersi nella luce rossa del
ripostiglio utilizzato come camera oscura. E non bastava lo scatto originale
per la stampa, quel che faceva la differenza erano l’ingranditore e lo sguardo
del fotografo che ritagliava l’immagine perfetta all’interno di quella
scattata.
Così
abbiamo lasciato impronte di luce per un secolo e mezzo e poi, le macchine
digitali prima e gli smartphone poi, hanno permesso a chiunque di scattare
fotografie e anche di registrare video, così abbiamo smesso di vivere per
guardare attraverso uno schermo la vita.
La
lotta con la materia è stata vinta dalla virtualizzazione delle immagini e solo
gli scultori, che con la materia continuano a lottare, non possono lavorare con
i pixel, ma solo con la pietra.
Anche
chi scrive ha cambiato strumenti, dalla ticchettante macchina da scrivere,
tutto il mondo degli scriventi è migrato sulle tastiere di PC, tablet e
smartphone. Sono quarant’anni che lavoro coi computer, e l’unico vantaggio
reale che danno agli scrittori è la facilità con cui si possono fare correzioni
e collage di testi senza dover ricopiare tutto da capo. Ma questa facilità di
esecuzione non ha semplificato o reso più facile il processo immaginativo e
creativo che sta a monte di ogni scrittura. Perché le cose appaiono prima negli
occhi della mente e poi cercano le parole per manifestarsi. Anche i suoni
saltellano e rimbombano nella nostra testa prima di cedere il loro ritmo alle
parole sulla carta. Ma almeno una parte della lotta con la materia è rimasta,
almeno per chi appartiene alla vecchia scuola, perché editare e fare correzione
bozze viene molto meglio se lo si fa su fogli stampati con penne colorate e
segni convenzionali per le correzioni e variazioni da apportare.
Tutto
quello che cerchiamo è forse davvero solo l’immortalità dell’attimo, la cattura
della luce, il significato che la nostra mente narrativa dà alle immagini, ai
paesaggi e ai volti.
Scriviamo,
dipingiamo, scattiamo fotografie, scolpiamo, per aiutare l’eternità a rapire
gli attimi, a popolare di immagini, parole e suoni, quei luoghi, musei o biblioteche
di Babele, dove troveremo per sempre quel che di questo mondo, di questa realtà
è stato importante per noi.
Sono le onde a
scrivere questa poesia
Rotondo,
fermo sulla
carta,
immortale sei
mio
attimo di luce che
ho
intravisto nell’eternità
e
che cerco di replicare
come
se fossi una dea
fertile
e immortale. Anche
di
questo pomeriggio
ambrato
resterà un poco
tra
le mie parole e il tuo
desiderio
che intuisco
ma
ancora non conosco.
Battono
le sei al campanile
che
sorveglia la baia e
lascio
che siano le onde a
scrivere
il finale di questa
poesia,
luce in altra forma
e
dimensione, un silenzio
solo,
unico e ripetuto.
Oggi
è giovedì 5 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 515
che sta sfogliando vecchi libri di fotografi del secolo passato (e l’immagine è
una foto di Lee Miller ritratta da Man Ray), mentre se ne sta seduta con i
piedi a mollo nel bagnasciuga.
Nessun commento:
Posta un commento