giovedì 5 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/515. Scrivere è aiutare l’eternità a rapire gli attimi

 


Catturare l’attimo e farlo diventare eterno, fermare la luce su una tela usando i colori o in una fotografia, dove non sempre i colori servono, perché il bianco e nero è una forma di memoria potenziata.

Scrivere con la luce è l’arte di pittori e fotografi, la lotta con la materia è limitata a tele, pennelli, spatole e colori, olio di lino, acqua per i pittori. E macchine fotografiche analogiche, le digitali le lascio in sospeso, pellicole, negativi, stampe su carta fotosensibile, e poi le fasi di sviluppo, fissaggio e lavaggio. E le fotografie stampate, stese come i panni del bucato e le immagini che prendevano vita sotto ai nostri occhi, immersi nella luce rossa del ripostiglio utilizzato come camera oscura. E non bastava lo scatto originale per la stampa, quel che faceva la differenza erano l’ingranditore e lo sguardo del fotografo che ritagliava l’immagine perfetta all’interno di quella scattata.

Così abbiamo lasciato impronte di luce per un secolo e mezzo e poi, le macchine digitali prima e gli smartphone poi, hanno permesso a chiunque di scattare fotografie e anche di registrare video, così abbiamo smesso di vivere per guardare attraverso uno schermo la vita.

La lotta con la materia è stata vinta dalla virtualizzazione delle immagini e solo gli scultori, che con la materia continuano a lottare, non possono lavorare con i pixel, ma solo con la pietra.

Anche chi scrive ha cambiato strumenti, dalla ticchettante macchina da scrivere, tutto il mondo degli scriventi è migrato sulle tastiere di PC, tablet e smartphone. Sono quarant’anni che lavoro coi computer, e l’unico vantaggio reale che danno agli scrittori è la facilità con cui si possono fare correzioni e collage di testi senza dover ricopiare tutto da capo. Ma questa facilità di esecuzione non ha semplificato o reso più facile il processo immaginativo e creativo che sta a monte di ogni scrittura. Perché le cose appaiono prima negli occhi della mente e poi cercano le parole per manifestarsi. Anche i suoni saltellano e rimbombano nella nostra testa prima di cedere il loro ritmo alle parole sulla carta. Ma almeno una parte della lotta con la materia è rimasta, almeno per chi appartiene alla vecchia scuola, perché editare e fare correzione bozze viene molto meglio se lo si fa su fogli stampati con penne colorate e segni convenzionali per le correzioni e variazioni da apportare.

Tutto quello che cerchiamo è forse davvero solo l’immortalità dell’attimo, la cattura della luce, il significato che la nostra mente narrativa dà alle immagini, ai paesaggi e ai volti.

Scriviamo, dipingiamo, scattiamo fotografie, scolpiamo, per aiutare l’eternità a rapire gli attimi, a popolare di immagini, parole e suoni, quei luoghi, musei o biblioteche di Babele, dove troveremo per sempre quel che di questo mondo, di questa realtà è stato importante per noi.

 

 

Sono le onde a scrivere questa poesia

 

Rotondo, fermo sulla

carta, immortale sei

mio attimo di luce che

ho intravisto nell’eternità

e che cerco di replicare

come se fossi una dea

fertile e immortale. Anche

di questo pomeriggio

ambrato resterà un poco

tra le mie parole e il tuo

desiderio che intuisco

ma ancora non conosco.

Battono le sei al campanile

che sorveglia la baia e

lascio che siano le onde a

scrivere il finale di questa

poesia, luce in altra forma

e dimensione, un silenzio

solo, unico e ripetuto.


Oggi è giovedì 5 agosto del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 515 che sta sfogliando vecchi libri di fotografi del secolo passato (e l’immagine è una foto di Lee Miller ritratta da Man Ray), mentre se ne sta seduta con i piedi a mollo nel bagnasciuga.

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