Quando nasce in noi l’eternità? Quando sentiamo che la vita va oltre quel che vediamo e percepiamo in questa forma della realtà? Avete mai provato a guardare il fondo dei vostri occhi riflessi in uno specchio? Era un gioco che facevo da bambina, fino a quando non sono stata colta da una vertigine improvvisa e mi sono lasciata sprofondare e ho sentito il mondo espandersi intorno a me e il mio corpo non aveva più confini, ma coincideva con tutto, proprio con tutto.
Mi è accaduto un’altra volta durante una visita nella chiesa romanica di Saint Jean nella regione delle Nouvelle Aquitaine in Francia. Non ho mai sentito da nessun’altra parte quell’energia che attraversava ogni cosa. O forse l’ho percepita anche la notte che ho dormito nel campeggio di Elsinore in Danimarca, in attesa di imbarcarmi su un traghetto la mattina dopo. Forse l’ho percepita di nuovo quando sono salita sul Sass Pordoi nelle Dolomiti, e quando non ho chiuso occhio perché c’era il sole di mezzanotte in Norvegia e la palla di fuoco solare era rimasta ferma sopra la linea dell’orizzonte.
Ho provato sensazioni altrettanto forti quando sono entrata per la prima volta nella cattedrale di Notre Dame a Parigi e quando visto la Pietà di Michelangelo in Vaticano. Ho pianto quando per qualche istante si è illuminata la Cappella Palatina a Palazzo dei Normanni a Palermo e ho potuto ammirare i mosaici bizantini. Ho sentito l’eternità che riposava con me alle fonti dello Uadi Arugot nell’oasi di En Ghedi in Israele, dove c’ero solo io con il vento. E l’ho sentita in cima alle Torri Gemelle l’unica volta che ci sono salita. L’eternità si manifesta nei momenti più impensati e inaspettati, l’ho sentita quando camminavo nel fiume Follone con mio padre, mio fratello e i miei cugini, sotto un tetto di fronde verdi e fitte e non c’era altro rumore che il suono lieve della corrente e il sibilo delle bisce d’acqua. Mi è successo quando mi sono addentrata nella foresta d’umbra in Puglia e nei boschi della Sila nel colmo dell’estate. Sulla spiaggia di Narbonne un tardo pomeriggio, dopo il tramonto, quando sembrava che il mondo fosse tutto lì, un deserto d’acqua intorno a me. O quella mattina in cui facevo la doccia nel campeggio fuori Nantes e ho alzato lo sguardo e c’era questa enorme ragnatela sopra di me, ricamata di goccioline d’acqua e un grande ragno e allora ho immaginato l’incipit del racconto La pancia azzurra di Dio che poi sarebbe diventato un capitolo del mio primo romanzo Frammenti del tredicesimo mese: “Oggi ho visto Dio, è un enorme ragno dalla pancia azzurra che se ne sta appeso sopra le nostre teste”.
Ho colto l’eternità il giorno del funerale di mio padre e mentre la terra ricopriva il suo feretro, ho sentito che quella non era la fine ma l’inizio di un’altra vita, più vasta e senza il dolore conosciuto in questo mondo.
Così, alla fine penso che siano proprio due i momenti in cui l’eternità ci sorprende e si rivela: mentre proviamo un dolore immenso e quando siamo sopraffatti dalla bellezza del creato. È allora che le parole tacciono, è difficile dire quel che sentiamo mentre lo stiamo vivendo. Le parole hanno bisogno che il tempo riprenda il suo corso unidirezionale, quel nostro andare avanti che conosciamo giorno dopo giorno. Ma quando sentiamo l’eternità, tutto il nostro essere si espande in tutte le direzioni e verso tutti i tempi. E quando essere ed eternità coincidono smettiamo di avere paura dell’ignoto.
Poi accade, non sempre, ma accade, che mentre stiamo scrivendo l’eternità si riveli nella pagina, in un verso appena cesellato, in una frase che funziona alla prima stesura.
Siamo gli amanuensi dell’eternità, la scriviamo e la disegniamo, è piccolo quel fiore, è breve quel verso. Ma la rosa in fondo al giardino ha riconosciuto il nostro passo e respira più a fondo, libera. E offre tutta la sua bellezza all’eternità che la contempla e si ferma con noi, proprio in fondo al nostro giardino.
Questa è la Cronaca 531 di sabato 21 agosto del secondo anno senza Carnevale, tra un mese sarà autunno, sarà aperto o chiuso il mondo?
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