In questa giornata gradevole, nel cuore dell’estate e cullata da immensa pigrizia, vi propongo un frammento del mio primo romanzo Frammenti del tredicesimo mese (2007). La voce narrante principale è la città di Milano e la protagonista si chiama Caterina.
Nella fotografia c'è piazza Sicilia angolo via Sacco, proprio di fronte alla scuola elementare, dove negli anni Trenta, c'era la fabbrica tessile De Angeli-Frua, andata distrutta con i bombardamenti del 1943. Dopo anni di abbandono, un tentativo di speculazione edilizia nel 1991, quando volevano costruire un silos per auto di 7 piani fuori terra e di altri 3 sotterranei, della fabbrica è rimasto in piedi solo un pezzo di muro e l'ingresso degli operai, che ora porta a un palazzetto, frutto di un secondo tentativo di speculazione edilizia sempre all'inizio degli anni Novanta, ci volevano fare un ristorante ma dal 2004 c'è la Biblioteca Sicilia.
Buona lettura da me e da questa Cronaca ancor più pigra di martedì 17 agosto del secondo anno senza Carnevale.
§
Una
mappa del cielo estivo disegnata scivolando per le vie della città, per le mie
vie. Ma non del cielo diurno perché in esso sono visibili solo nuvole di
passaggio, le ombre metalliche delle auto rarefatte, il segno dei lamenti che
salgono dall’asfalto incandescente. È il cielo notturno che offre una
possibilità di navigazione e con esso la necessità di una mappa buona per
ritrovare la strada e il senno. Poche volte qui accade di scorgere sopra i
tetti una luna rossa come le fiamme di una candela, un evento inaspettato che
lascia i pochi residenti a bocca aperta. Quando la luna piano si avvolge nel
suo scuro mantello e l’aria non è gravida di umidità, si possono scorgere le
stelle. Bello sarebbe impararne i nomi, quel che non abbiamo fatto da bambini.
Ma le stelle non bastano a dare un senso alle forme del cielo oscuro. Di notte
i
fantasmi abbandonano i loro sentieri terrestri e si lasciano trasportare dalle
brezze sottili fin sulle cime dei palazzi più alti. Qui stanno seduti tutta la
notte a ripetere, senza stancarsi mai, le storie che hanno udito durante il
giorno uscire dalle bocche dei vivi. Questo è quel che più di ogni altra cosa i
fantasmi invidiano, la possibilità di vivere, così da avere poi delle storie da
raccontare. Nelle notti d’agosto e solo in quelle, la città è interamente
avvolta nei sogni dei dormienti. Ogni sogno è il filo di un tessuto, ogni
sognatore telaio e tessitore insieme. Cosa ne verrà da questa notte d’estate,
breve come un sospiro? Il primo sognatore cammina solo tra montagne altissime,
le cui cime si perdono tra nuvole gravide di pioggia. Il secondo sognatore
incontra sua madre giovane, abbracciata a un uomo che non sarà suo padre. Il
terzo che viene avanti è una sognatrice perduta in un deserto di sabbia rossa
che raccoglie e guarda un unico seme prima di piantarlo nel terreno. Poi è la
volta di un uomo anziano che sogna, notte dopo notte, di tornare nelle terre
che lo hanno visto bambino e lì ritrovare il padre che ha perduto prima di
averne imparato il viso, la madre amorosa che gli portava cibo e panni caldi
nelle lunghe notti di lavoro in campagna, i due fratelli maggiori partiti per
il Brasile e mai tornati indietro. Di nuovo è una donna che lascia i suoi sogni
liberi di vagare. Cammina in una piazza dalla forma circolare piena di mercanti
e bancarelle colorate, di servi che fanno la spesa. Guarda se stessa nel sogno
e scopre di abitare il corpo di un giovane uomo. I sogni di un bambino
assomigliano a una favola che la madre gli ha letto la sera prima. Una bambina
sogna
la
strega di Biancaneve che cerca un’allieva, così si sveglia urlando nella notte.
Sognano
tutti gli abitanti di questa città, ma mai nessuno che sogni di abitarci. E se
sognano la città, è quella del passato, quella che li ha visti bambini ansiosi
di diventare adulti. I fantasmi sono avidi di sogni, più di quanto non lo siano
delle narrazioni dei vivi. Dei sogni ci si può appropriare e portarli con sé,
perché si levano verso il cielo avvolti in sfere di cristallo.
Alcuni
ne fanno incetta per la loro collezione. Ma nessuno sa dove i fantasmi
custodiscano i loro tesori, le case dei fantasmi sono ignote ai vivi. Man mano
che il buio si attenua, i fantasmi scivolano giù dai tetti importunando i gatti
ancora addormentati. Nell’ora incerta che tra la notte e il giorno sta,
diventano per qualche attimo di nuovo tangibili. Così si lavano alle fontane
che zampillano acqua fresca, camminano a piedi nudi sui prati, staccano le
locandine delle edicole, sfogliano la prima edizione del Corriere della Sera.
Dato che possono toccare le cose, qualcuno suona ai citofoni o fa suonare
telefoni in case addormentate. Ma è solo questione di pochi momenti, non appena
la luce sale, di nuovo diventano invisibili e anche i loro gemiti diventano inudibili
alle orecchie umane. Chi erano i fantasmi che vivono nell’ombra dei miei
cortili?
Forse
quelli che hanno lasciato cose incompiute, saranno in molti a ritrovarsi su
queste stesse strade in un tempo che chiamano futuro. Ora l’atmosfera è
cambiata anche d’estate. Sarà perché le grandi fabbriche non ci sono più, sarà
perché la gente ha imparato a fuggire la città anche in altri mesi, io non sono
più un teatro di desolazione in agosto. Solo, che ora si esauriscono molto più
rapidamente sia idee che risorse. Visitati i pochi musei aperti, visti i film
perduti l’inverno precedente, letti tutti i libri accumulati, privi a dire il
vero di qualsiasi energia, dopo tanto vagare. Però i mie abitanti potrebbero
ancora cercare piume d’angelo sui tetti delle case e scarpe dei fantasmi
fuggiti all’alba. Possono cercare se stessi bambini in luoghi che, a occhi
chiusi, sono sempre uguali, così come accade solo quando si è bambini. Seduti
ai tavolini all’aperto finiscono sempre con il chiacchierare con sconosciuti,
come in altre stagioni non avrebbero fatto mai. Anche gli uffici aperti sono
sonnolenti e inoperosi. Sfogliano il giornale sino a mezzogiorno, chiacchierano
al telefono con l’amica che sta al mare. Contano i giorni che mancano alle
ferie e rievocano quelle appena trascorse con i colleghi che si fingono
interessati.
Soprattutto
d’agosto possono godere di un silenzio sconosciuto in tutto il resto dell’anno.
Di notte, con la finestra aperta, si sentono frusciare le foglie, si sente il
ronzio dei lampioni e qualche sirena lontana che non allarma ma culla il sonno.
E in questo silenzio ritrovano, poco a poco, il senso delle parole che
credevano perdute e che invece ancora dimorano in loro. Così da alimentare i
fili del telaio per i tessitori notturni e il fiato per i narratori diurni.
Possono abbandonarsi alla furia del temporale e dimenticarsi di ogni cosa, e
per questo farsi invidiare
dai
miei palazzi, possono costruirsi una casa con i ricordi e le prime foglie
cadute. Dare rifugio ai fantasmi e respirare l’odore di terra bagnata che sale
sino alle finestre. Così cullati dal rombo del tuono e illuminati dalla folgore
più vicina, possono avviarsi dentro se stessi, pronti a cercare la strada che
porti alla scoperta del non ovvio e del non banale. E trovare così insediate
molto in fondo, quasi vicino al loro cuore, molte città che stanno nell’attesa
di essere scoperte, molte case che devono essere costruite, molte storie che
vogliono essere vissute prima che narrate.
In
questo scorcio di secolo che ha la fortuna di non avere bisogno di eroi. In
questo tempo che si sforza di essere normale senza rivelare mai quale sia la
pietra di paragone, quale lo scandalo da tacere. Agosto è l’ultimo mese
dell’anno, qui in città lo sanno tutti che è settembre il mese degli inizi,
l’inizio dell’anno nuovo. Ad agosto resta tutta la rassegna delle malinconie
inspiegate, dei ricordi luccicanti d’acqua, dei cambiamenti repentini di
direzione. Caterina in agosto non va mai via, i suoi occhi sono i miei occhi, i
suoi passi quelli che non potrò segnare mai. Le regalerò temporali e una storia
nuova da raccontare.
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