sabato 30 gennaio 2021

Cronache dall’anno senza Carnevale/328: lettera scritta alla fine di un ventoso gennaio

 


Gennaio, gennaio, uno dei due mesi più noiosi dell’anno. Le feste sono finite, le giornate hanno da poco ricominciato ad allungarsi, almeno. Anche se tutti i giorni sembrano un lunedì.

Nel primo anno senza Carnevale, gennaio fu l’ultimo mese “normale”, quando si seppe che una malattia sconosciuta, causata da un altrettanto sconosciuto virus, si stava diffondendo in Cina. Una notizia rimasta nella periferia delle nostre orecchie per almeno un mese.

Ma gennaio che sta finendo non può sapere quello che sappiamo noi. I mesi sono strane creature e arrivano colmi delle aspettative dei loro simili che li hanno preceduti. Così gennaio pensava soltanto a come sarebbe stato pattinare sul ghiaccio, fare gli angeli sulla neve, correre la mattina presto mentre albeggia, bere un caffè bollente il mattino e una cioccolata ancor più bollente il pomeriggio. Andare in libreria il sabato, sempre di mattina, con tutta calma a scegliere un paio di romanzi nuovi e almeno un saggio, perché non si smette mai di imparare. Poi pranzare fuori, magari in uno di quei dehors semi riscaldati, solo per il gusto di guardare la gente che passa. Andare nel mercatino di piazza Wagner a comprare qualche leccornia e anche alcune rose da distribuire in giro per casa. La sera preparare la pizza e scegliere un paio di film o una serie tv per una maratona. O comprare la pizza e riscaldarla nel forno, farsi compagnia con la famiglia e gli amici, giocare con i bambini, iniziare a leggere il romanzo nuovo. Questa una giornata festiva tipica nella città silenziosa.

Qui, nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia, scegliere se passeggiare in salita verso l’altipiano o scendere, invece, sino al mare per ascoltare le onde ansiose che arrivano a riva e

“Lo sai cosa dicono le onde? Dicono io sono, io sono”.

Preferisco stare lontana dalla città, qui in riva al mare mi sento più libera di chiedermi il senso della vita al di fuori dei ruoli che ricopriamo e delle relazioni.

Dopo un anno di pandemia siamo in grado di definirci in maniera se non nuova, almeno in maniera diversa?

Continuo a interrogarmi e intanto passo dalla Casa delle Tre Sorelle a salutarle, perché sono mesi che non le vedo. Mi offrono un tè, parlano tutte insieme, e tutte insieme mi fanno capire che hanno altro da fare, cioè devono rimettersi a scrivere. Ma mi dicono anche di restare ancora davanti al camino se mi fa piacere e io accetto perché guardare le fiamme, le diverse fiamme di un altro fuoco, favorisce i miei vaticini.

 

Il fuoco, l’incendio e la brace cantano

 

Danzano le fiamme, sono

vive, parlano con lingue

guizzanti e veloci, occhi

emergono dal fuoco e mi

guardano, mi chiedono

risposte, ma io ho solo

domande e molte perplessità.

È strano il fuoco, ancor più

strana la sua voce, il calore

si diffonde insieme al

profumo delle pigne che

ho gettato nel centro del

cratere intravisto ai piedi

dell’incendio e immaginato che

fosse un pozzo per portare doni a

questa divinità esigente che

mi invita a cambiare attraversando

questo fuoco senza bruciarmi

mai, a scoprire che la fiamma è

un sentimento prima che una

sensazione. Allungo una mano

e dallo specchio fiammeggiante

si stacca una lingua che pare

prima una foglia, poi una farfalla

e infine un intero bosco che ha

risposto al richiamo e brucia,

brucia senza tregua sino al

compimento del suo destino.

Non so cosa nascerà da queste

ceneri, la Fenice ha sempre un

volto di donna e io la riconosco

una volta di più e le porto in

dono queste parole e il tramonto

albino che copre sia la città che

queste montagne nebbiose.

 

Finisco di scrivere con mano febbrile questa poesia di fine gennaio, saluto le mie ospiti indaffarate e ritorno a casa. Tutto è silenzioso, i miei coinquilini sono fuori o forse chiusi nelle loro stanza, ciascuno a interrogare il proprio fuoco.

Oggi è sabato 30 gennaio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 328. Il titolo è la parafrasi del titolo - Lettera scritta durante un ventoso gennaio -  di una poesia di Anne Sexton. Sua è anche la citazione “Lo sai cosa dicono le onde? Dicono io sono, io sono”. Il fuoco, l’incendio e la brace cantano è una mia poesia inedita scritta per salutare questa giornata ormai già nutrimento dell’oscurità.

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