Gennaio, gennaio, uno dei due mesi più noiosi dell’anno.
Le feste sono finite, le giornate hanno da poco ricominciato ad allungarsi,
almeno. Anche se tutti i giorni sembrano un lunedì.
Nel primo anno senza Carnevale, gennaio fu l’ultimo mese
“normale”, quando si seppe che una malattia sconosciuta, causata da un
altrettanto sconosciuto virus, si stava diffondendo in Cina. Una notizia
rimasta nella periferia delle nostre orecchie per almeno un mese.
Ma gennaio che sta finendo non può sapere quello che
sappiamo noi. I mesi sono strane creature e arrivano colmi delle aspettative
dei loro simili che li hanno preceduti. Così gennaio pensava soltanto a come
sarebbe stato pattinare sul ghiaccio, fare gli angeli sulla neve, correre la
mattina presto mentre albeggia, bere un caffè bollente il mattino e una
cioccolata ancor più bollente il pomeriggio. Andare in libreria il sabato,
sempre di mattina, con tutta calma a scegliere un paio di romanzi nuovi e
almeno un saggio, perché non si smette mai di imparare. Poi pranzare fuori,
magari in uno di quei dehors semi riscaldati, solo per il gusto di guardare la
gente che passa. Andare nel mercatino di piazza Wagner a comprare qualche
leccornia e anche alcune rose da distribuire in giro per casa. La sera
preparare la pizza e scegliere un paio di film o una serie tv per una maratona.
O comprare la pizza e riscaldarla nel forno, farsi compagnia con la famiglia e
gli amici, giocare con i bambini, iniziare a leggere il romanzo nuovo. Questa una
giornata festiva tipica nella città silenziosa.
Qui, nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia,
scegliere se passeggiare in salita verso l’altipiano o scendere, invece, sino
al mare per ascoltare le onde ansiose che arrivano a riva e
“Lo sai cosa dicono le onde? Dicono io sono, io sono”.
Preferisco stare lontana dalla città, qui in riva al mare
mi sento più libera di chiedermi il senso della vita al di fuori dei ruoli che
ricopriamo e delle relazioni.
Dopo un anno di pandemia siamo in grado di definirci in
maniera se non nuova, almeno in maniera diversa?
Continuo a interrogarmi e intanto passo dalla Casa delle
Tre Sorelle a salutarle, perché sono mesi che non le vedo. Mi offrono un tè,
parlano tutte insieme, e tutte insieme mi fanno capire che hanno altro da fare,
cioè devono rimettersi a scrivere. Ma mi dicono anche di restare ancora davanti
al camino se mi fa piacere e io accetto perché guardare le fiamme, le diverse
fiamme di un altro fuoco, favorisce i miei vaticini.
Il
fuoco, l’incendio e la brace cantano
Danzano le fiamme, sono
vive, parlano con lingue
guizzanti e veloci, occhi
emergono dal fuoco e mi
guardano, mi chiedono
risposte, ma io ho solo
domande e molte perplessità.
È strano il fuoco, ancor più
strana la sua voce, il calore
si diffonde insieme al
profumo delle pigne che
ho gettato nel centro del
cratere intravisto ai piedi
dell’incendio e immaginato che
fosse un pozzo per portare doni a
questa divinità esigente che
mi invita a cambiare attraversando
questo fuoco senza bruciarmi
mai, a scoprire che la fiamma è
un sentimento prima che una
sensazione. Allungo una mano
e dallo specchio fiammeggiante
si stacca una lingua che pare
prima una foglia, poi una farfalla
e infine un intero bosco che ha
risposto al richiamo e brucia,
brucia senza tregua sino al
compimento del suo destino.
Non so cosa nascerà da queste
ceneri, la Fenice ha sempre un
volto di donna e io la riconosco
una volta di più e le porto in
dono queste parole e il tramonto
albino che copre sia la città che
queste montagne nebbiose.
Finisco di scrivere con mano febbrile questa poesia di
fine gennaio, saluto le mie ospiti indaffarate e ritorno a casa. Tutto è
silenzioso, i miei coinquilini sono fuori o forse chiusi nelle loro stanza,
ciascuno a interrogare il proprio fuoco.
Oggi è sabato 30 gennaio del secondo anno senza Carnevale
e questa è la Cronaca 328. Il titolo è la parafrasi del titolo - Lettera
scritta durante un ventoso gennaio - di
una poesia di Anne Sexton. Sua è anche la citazione “Lo sai cosa dicono le
onde? Dicono io sono, io sono”. Il fuoco,
l’incendio e la brace cantano è una mia poesia inedita scritta per salutare
questa giornata ormai già nutrimento dell’oscurità.
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