Una domenica pomeriggio, fa freddo, e il tempo continua a sembrare lo stesso dell’alba invernale, bianca e rosa, luminosa, rarefatta e solitaria. Neanche le cornacchie infrangono questa quiete della stagione e così possiamo solcare le strade come fossimo condottieri e non semplici passanti.
Poi ritorniamo e sorprendiamo la nostra abitazione che,
ancora, non era pronta al nostro rientro. La sarabanda degli oggetti era ancora
in corso e danzavano nell’aria i fogli manoscritti e i libri suonavano una
melodia sconosciuta dai loro scranni, orchestra della memoria umana dove la
nostra voce è inconsapevole direttore.
Mi accoglie la mia dimora, ma sono una tra i molti che vi
hanno abitato nel corso dei decenni, quante storie da raccontare hanno queste
mura?
Le ombre sono i gatti dell’invisibile
Ogni casa custodisce un segreto,
piccola ombra che emergi da un
angolo, da quale ritaglio di spazio
e tempo arrivi sino a noi? Parlano
le ombre, non sempre, se interrogate,
parlano e ridono sottovoce, solleticano
l’angolo che le ha protette e che ha
dato loro il via libera. Pochi umani
in giro, sono usciti a respirare il freddo
prima che la notte scenda e inghiotta
le ombre che non sanno gestire, ne
hanno paura e le scansano, non
hanno ancora imparato le verità
celate tra le cose non dette e
i rimpianti dell’inverno nel suo colmo,
padrone delle vite e dei nostri pensieri.
Si allarga l’angolo e le ombre si stirano,
sono i gatti dell’invisibile che abita
con noi. Allungo una mano e ne
sento la consistenza, la ritraggo
e un’intera costellazione risplende
là, dove c’erano le mie dita. Tutte
le linee indicano ormai solo una
strada, dove la poesia è cammino
e viaggiatore all’unisono, dove
il tempo è un bambino che corre,
un sogno dimenticato, l’ombra
tra il mio letto e un pensiero che
non diventa parola, ma solo
contemplazione per quella rosa
che sboccia nel gelo e ci ricorda
che è tempo, che è tempo
che sia tempo.
Così esploro la casa, ogni anfratto, cerco tracce di chi
mi ha preceduto, risposte a domande non pronunciate. Scottano le pareti là dove
altre mani si sono fermate, il pavimento diventa sabbia sotto ai miei piedi,
quando calpesto impronte che arrivano dal passato. Se le ombre escono dagli
angoli delle stanze, bisogna essere preparati ai tempi che si confondono e alle
stelle che precipitano perché sentono anch’esse il richiamo di ciò che ritorno
a essere visibile.
Il tempo si ammanta di invisibile per nascondere ai
nostri occhi che tutto continua a esistere e respirare anche se con diversa frequenza.
Quando l’invisibile si crepa, ecco che sentiamo le voci non solo nella nostra
testa, ecco che anime del passato ci sorridono e tutto si apre nella gioia e
nello stupore.
Oggi deve essere accaduto proprio questo, che il tempo si
sia sfilacciato, che il sarto accorto abbia saltato un punto e visioni dell’altrove,
di uno degli altrove, si siano manifestate.
Meraviglie
Ormai conosci a memoria le stanze,
il confine degli oggetti,
il loro sogno di essere irreali,
di diventare luce.
Le cose tendono alla nudità,
la teiera, il cucchiaino,
vegeta il tuo giardino,
si riflette negli specchi.
Non sei fatta per i miti, la tua pelle
sfoglia ancora l’alfabeto delle nuvole,
e ti accetto così. Mi ricompensi
con le tue meraviglie,
quella stupefazione nei tuoi occhi
se le farfalle sono mortali,
se la Terra ruota su se stessa
in un tempo dato.
Accolgo il dono di questa poesia e di questa sincronicità nella mia tessitura che ricuce il tempo, laddove il sarto, oggi, fa fatica a tenere insieme la stoffa e il filo. Quest’oggi è domenica 17 gennaio del secondo anno senza Carnevale. La Cronaca 315 ruota intorno alla doppia stella delle poesie inedite che avete appena letto. Meraviglie è di Danilo Bramati e Le ombre sono i gatti dell’invisibile è mia e risuona di Paul Celan, entrambe scritte in questo giorno d’inverno e d’incertezza. Le nuvole erano in cielo, sopra Milano il 17 luglio del 2016.
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