Ogni giorno appena iniziato è un libro non scritto di
almeno ventiquattro pagine, ogni pagina ha sessanta righe, ogni riga sessanta
caratteri.
Queste costanti di ciascun giorno non avranno come esito
la stessa densità, lo stesso slancio vitale, la stessa gioia.
Raccogliamo in un unico fascio le otto ore dove, almeno
in teoria, dovremmo star dormendo. Otto ore di cui ricorderemo solo qualche
frammento di sogno, se saremo fortunati, al risveglio.
Diamo otto ore anche al lavoro, allo studio, all’impegno
quotidiano. Se lo studio ci consegna il senso di una crescita e di un
apprendimento, molto diversi sono gli esiti di una giornata lavorativa. Che
lascerà traccia se avremo fatto qualcosa di straordinario o incontrato qualcuno
di straordinario. La maggior parte dei lavori che facciamo per vivere non sono
straordinari, sono solo lavori fatti per vivere.
Restano otto ore per tutto il resto: l’amore, i figli,
gli amici, i genitori e la famiglia. I libri, lo sport, le passeggiate, il
cinema, le telefonate, la spesa, la cucina, la manutenzione della casa.
In tutti e tre questi ventagli fatti delle nostre ore, la
tecnologia e i social media hanno fatto irruzione sconvolgendone i ritmi.
Mi ha sconvolto oggi la notizia della bambina palermitana
che per rispondere a una “sfida”, come vengono chiamate le stupidaggini
collettive cui ci prostriamo, ha perso la vita. Dieci anni appena e di chi è la
colpa? Non so più chi, dal rumore di sottofondo dei media, ha urlato che sono i
genitori a dover controllare l’uso che dei social fanno i figli. Troppo facile
e troppo comodo accusare la famiglia della bambina. In quella famiglia sono
tutti vittime della stupidità collettiva di noi esseri umani. È dalla stupidità
tecnologica che i bambini vanno difesi, non possiamo difendere i bambini dalla
vita, ma dalla nostra stupidità sì. E come collettività abbiamo il dovere di
farlo. Se un social non è in grado di eliminare contenuti potenzialmente
pericolosi va bloccato. Un paese civile dovrebbe farlo subito.
Sento già le voci di chi inneggia alla libertà e che la
tecnologia in sé non è né buona né cattiva, che tutto dipende dall’uso che se
ne fa.
Certo, questo vale per gli adulti, ma non tutti gli
adulti ci arrivano; allora va organizzato un massiccio programma di educazione
civica digitale. Perché la vita digitale è la prosecuzione della nostra vita
reale con altre modalità.
Se ci fosse qualcuno fermo in un angolo della strada che
cerca di convincere dei bambini a stringersi una cintura al collo per far
vedere quanto siano coraggiosi, cosa faremmo? Non dubito che cercheremmo di
fermarlo, che chiameremmo la polizia e auspicheremmo che uno psicologo si
occupasse delle sue turbe. Perché allora dovremmo accettare che chiunque possa
dire e fare qualunque cosa sui social?
I social non sono strumenti neutri, la dimostrazione
definitiva viene dal fatto che abbiano deciso, troppo tardi, di bannare il
penultimo presidenti americano solo dopo i fatti gravissimi del sei gennaio
scorso. Dopo quattro anni di falsità e volgarità postate a decine ogni giorno
senza conseguenze per chi le aveva scritte.
La religione è l’oppio dei popoli, scriveva nello scorso
millennio Karl Marx, la citazione completa è più articolata, ma noi cittadini
del suo futuro, noi che abbiamo secolarizzato il mondo, noi abbiamo i social,
più potenti di qualunque altra cosa.
Il tempo è diventato una serie di frammenti a causa delle
tecnologie. Siamo continuamente interrotti da mail, messaggi di varia
provenienza, telefonate, newsletter e news.
Provate ad annotare cosa resta delle vostre ventiquattro
ore vissute così. Proviamo a stare un giorno il più possibile lontano dai
social, dalle piattaforme streaming, dai messaggi. Il più possibile lontano
significa solo questo, perché abolirli dalle nostre vite non credo sia possibile,
ma disciplinarli e auto-disciplinarsi, questo sì.
Oggi volevo scrivere delle ventiquattro ore che formano ogni nuovo giorno e lo rendono un libro non scritto. Forse lo farò domani, ma oggi la rabbia e il dolore per quella piccola vita spezzata hanno preso il sopravvento. Oggi che è venerdì 22 gennaio del secondo anno senza Carnevale, in Brasile hanno appena annullato il Carnevale previsto per febbraio. Che facile profezia la mia, quella di scrivere le Cronache dagli anni senza Carnevale e questa è la numero 320. Pubblicata sul mio blog (piattaforma tecnologica) e sul più diffuso social, come ne usciremo?
P.S. ho appena appreso che il Garante della Privacy ha bloccato TikTok, questo almeno pare un inizio.
1 commento:
Grazie, illuminante
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