Oggi, anche oggi, è una giornata di sole e freddo, di
molte parole che leggo e scrivo e che si affastellano.
Tutto il fuoco di ieri continua a incendiare la mia
immaginazione e a tingere di rosso le ombre sui muri e i frutti sul tavolo.
Basta davvero poco per scrivere, occhi aperti sugli altri
regni, la realtà dove vivo che è solo una tra molte, il desiderio di essere
altrove che esplode insieme al desiderio di continuare a essere qui, nel mio
studio della città silenziosa e al contempo in quello della Casa delle Parole. Due
desideri opposti che si completano e fanno sì che io viva tutta intera nella
pagina.
Due sono i compagni di viaggio di questa giornata
invernale: mio nipote Andrea che studia Storia dell’arte medioevale per il suo
primo esame all’università, e un libro comprato ieri Economia dell’imperduto
di Anne Carson, dedicato ai poeti Simonide di Ceo, maestro dei cori, di cui ci
restano solo frammenti, e Paul Celan, maestro di ciò che non è andato perduto,
secondo le magnifiche poetesse Anne Carson e Camilla Miglio.
Già all’inizio del libro c’è una poesia di Celan tradotta
in inglese dalla Carson e in italiano da Patrizio Ceccagnoli.
Matière de Bretagne
Luce di ginestra, gialla, i pendii
marciscono in cielo, la spina
aspira alla ferita, risuona in essa
è sera, il nulla
dispiega i suoi mari verso la preghiera,
la vela insanguinata termina con te.
Arido, interrato il letto
dietro di te, la sua ora
ricoperta di giunchi, in alto,
vicino alla stella, lattei i canali
borbottano nel limo, il dattero di mare,
in basso, nel folto, si spalanca blu,
un arbusto caduco, bello,
saluta la tua memoria.
(Sapevate di me,
mani? Andai
lungo la biforcata via che mi mostraste, la mia bocca
sputò ghiaia, andai, il mio tempo,
orologio errante, allungava la sua ombra – sapevate di me?).
Mani, la spina ferita
corteggiata, risuona,
mani, il nulla, i suoi mari,
mani, nella luce di ginestra, la
vela insanguinata
termina con te.
Tu
tu insegni
tu insegni alle tue mani
tu insegni alle tue mani tu insegni
tu insegni alle tue mani
a
dormire.
Abbiamo perduto i poeti, ma non le parole e il gesto
delle mani, non la voce. Con che colore andremo ad annunciare l’arrivo del
poeta? Sarà rossa la nostra vela o nera? Nera come l’assenza o rossa come il
desiderio?
Nel luogo che chiamiamo realtà
Tristano, la morte,
Isotta, il sogno,
la vela, rossa e sbagliata
la vela rossa, tinta con i petali
bagnati nel leccio in fiore.
Può un colore decidere chi
vive e chi muore? Sì che
può e lo fa dai tempi più
remoti. Un colore è appartenenza,
è l’approdo dei tuoi occhi che
non vedo, ma che mi stanno
chiamando. La morte è solo
l’altro versante del sogno,
quello da cui non ritorniamo,
perché la porta si è chiusa
e noi abbiamo lasciato quella
chiave nella stanza, nel luogo
che chiamiamo realtà.
In lontananza, sul filo dell’orizzonte, vedo avvicinarsi
vele, ora troppo lontane per poterne decifrare il colore e calcolare la
dimensione della barca.
Posso sedermi qui, sulla riva della mia immaginazione, e
aspettare. Forse le barche arriveranno, forse no. Ma che importa? Quel che
importa è l’attesa.
Questa è la Cronaca 309 di lunedì 11 gennaio del secondo
anno senza Carnevale. La poesia Matière de Bretagne di Paul Celan è
tratta dalla raccolta Sprachgitter (Grata di parole). Potete leggere un
magnifico saggio di Camilla Miglio Paul
Celan e la musica della materia sulla rivista online Antinomie. Nel
luogo che chiamiamo realtà è una poesia inedita che ho scritto questo
pomeriggio leggendo Economia dell’imperduto di Anne Carson, tradotto da
Patrizio Ceccagnoli, con uno scritto di Antonella Anedda, Utopia Editore, 2020.
Il titolo della Cronaca è una citazione del libro.
1 commento:
grazie per questa apertura di libri e porte e finestre
la tua poesia è una lettura, e leggerti riapre passaggi
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