Avvertenza per le lettrici e i lettori: questa Cronaca risente delle troppe ore passate a guardare vecchi programmi televisivi su Youtube, programmi che non ho visto ai loro tempi, ma che cerco oggi per dare corpo, volto e suono ai ricordi.
Quando ero molto giovane ero affascinata dalla pubblicità,
vi ricordate la Notte dei Pubblivori al cinema Orfeo? Era un vero spasso, micro
storie belle da vedere, musica interessante, uno sguardo sul mondo attraverso
gli stili di consumo, sguardo che, essendo Internet ben lontano dall’essere
creato, affiancava il cinema, la televisione e i libri.
Adesso se c’è una cosa che non sopporto è la pubblicità,
tutte le smancerie legate alla privacy e ai cookies sono leziose e false, così
che da anni ho deciso di non comprare prodotti che mi balzano sullo schermo con
un pop-up e di sfogliare a velocità doppia le riviste cartacee, ho molto
abbonamenti in corso nonostante mi sia convertita al digitale per parecchie fonti
d’informazione, sono stanca di vedere modelle emaciate e modelli tristi, luoghi
che non visiterò se non in sogno, vestiti che non indosserei neanche se me li
regalassero. Le pubblicità che mi fanno proprio arrabbiare sono quelle delle
automobili: pubblicitari?! Ma dove pensate che possiamo andare di questi tempi?
Chi ha i soldi per comprarsi un’auto da ventimila euro? E soprattutto: che ce
ne facciamo di un’auto che deve restare parcheggiata per non si sa quanto tempo
ancora? Ciò premesso devo anche confessare che adoro guidare l’automobile, che
ho preso la patente a diciotto anni e che in quinta superiore i miei genitori
mi hanno regalato la mia prima auto: una 850 FIAT Special bianca con gli
interni rossi di pelle e il volante di legno, forse ne ho già scritto in un’altra
Cronaca; guidare l’auto per la mia generazione è stato simbolo di libertà e in
auto ho scorrazzato per l’Europa e anche per la costa orientale degli USA. Sono,
dunque, una contraddizione, un perfetto
esempio vivente di anti-consumista che ben vive in una civiltà tutta basata sul
consumo.
La pandemia ci ha però mostrato che la maggior parte dei
nostri consumi non sono né utili né necessari al nostro quotidiano avanzare nel
tempo, i nostri consumi sono funzionali agli stili di vita che il capitalismo
avanzato e la società di massa ci consentono e ci spingono ad adottare. Vestiti,
scarpe, borse, cosmetici sono legati alla vita sociale: ufficio, bistrot, apericene,
ristoranti, cinema e teatri.
Non avendo accesso causa virus a nessuna di queste forme
di socialità, i bisogni crollano e gli oggetti invecchiano negli armadi, ma poi
tornano di moda.
Tra l’inizio del Ventesimo secolo e questo primo
ventennio del Ventunesimo sono state create, provate, consumate ed esaurite
tutte le possibili forme di abbigliamento per gli esseri umani. Ora siamo
dunque in una fase di ripetizione, dove siamo incantati dagli anni Cinquanta e
Sessanta, sia per quanto riguarda la moda che il design, gli arredi e le
architetture. Mi commuovo quando riconosco le esili gambe di sedie e poltrone
che avevano anche i mobili nelle case d’infanzia e il velluto carta da zucchero
per le imbottiture delle poltrone e dei divani, il verde veronese, un po’ più
tenue, e l’avorio per i mobili della cucina, l’acciaio cromato e scintillante
che faceva pensare al futuro.
Gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quelli
della mia inconsapevole gioventù, fatti di capelli cotonati e abiti strutturati
con spalline imbottite non mi piacciono. Mi incanto, invece, quando vedo i
pantaloni a zampa d’elefante, i capelli afro, gli zatteroni e gli zoccoli, i
colori e i fiori tipici degli anni Settanta. Se avete bisogno di rinfrescare la
memoria andate su Youtube a cercare spezzoni del film Hair. Ho adorato
la moda hippie, la musica di quel decennio e la libertà che quello stile di
vita lasciava presagire. Ma poi sono arrivati gli ultimi decenni del secolo
breve e Internet, i telefoni cellulari hanno fatto irruzione nelle nostre vite.
Il resto è storia recente, non solo cronaca. Anche questi
giorni difficili e cupi diventeranno storia nel giro di poco, la maggior parte
sono destinati a essere inghiottiti dall’ordine del Tempo e questo è un bene. Non
si può vivere con la zavorra del passato sulla schiena come uno zaino sempre
più pieno, giorno dopo giorno.
La nostra storia la stiamo vivendo, ai posteri, come
sempre, il compito di scriverla, ai noi il compito di lasciare tracce
intellegibili in questo livello di realtà.
Oggi è giovedì 14 gennaio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 312; la poesia sonnecchia coi gatti davanti al fuoco e lascia che la sociologia faccia i suoi giri di valzer tra i libri e la memoria.
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