venerdì 30 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/418. L’isola di corallo che sogna l’albero grande

 


 

Un naufragio immaginato, un approdo altrettanto immaginato su di un’isola immaginaria. Bisogna movimentare un po’ le tiepide passeggiate nella città silenziosa e abbandonarsi alla tempesta che travolge le strade e i giardini e mi porta su quest’isola che non conosco, dove la sabbia è rosa e avorio e devo addentrarmi per trovare ombra e ristoro. Mi tornano in mente le prime scene di Robinson Crusoe e ritorno ai giochi dell’infanzia, dove l’isola era un angolo dietro il palazzo, invisibile agli occhi di mia madre e dove portavamo coperte, bambole, palloni, schettini, sacchetti di patatine, tavolette di cioccolata. Un telo steso sui cespugli era la nostra capanna, sentivamo il mare che mugghiava, ci stringevamo vicini vicini, così non avremmo avuto paura. L’isola veniva smontata ogni sera e rimontata quando il sole era già alto. Poi qualcuno portò proprio il romanzo di Robinson e allora iniziammo a cercare le tracce di Venerdì. Pochi sapevano cosa potesse significare la solitudine, avevamo vite affollate sia a casa che a scuola. Mi chiedo come avremmo reagito se fossimo stati costretti a restare chiusi in casa senza andare a scuola, senza vedere gli amici e le maestre. In quell’estate ognuno di noi trovò il suo Venerdì, qualcuno fece notare che la mancanza di un Venerdì stava a indicare una persona un po’ stramba, forse proprio un po’ matta. Per gli approvvigionamenti dipendevamo sempre dalle mamme, qualche volta, però, riuscivamo a comprare le meravigliose focacce nella panetteria del signor Paolo e della signora Elisa. Di rado si parlava con gli adulti a quei tempi, il mondo bambino e il mondo dei grandi avevano confini invisibili ma netti. Non ci si intrometteva nei loro discorsi, si rispondeva se interrogati, si veniva premiati e puniti come graziosi cagnolini e i tempi della vita erano dettati dalle esigenze della famiglia. Ma quando eravamo in cortile, oh quando eravamo in cortile, con i pantaloni a zampa d’elefante, le magliette a righe, le camicie con i colletti alati, diventavamo padroni del tempo che si dilatava e ci rendeva invisibili, così credevamo, agli occhi di quelli più vecchi di noi. A volte correvamo inseguiti dai selvaggi, a volte nuotavamo come delfini per sfuggire agli squali. Più veloci delle aquile scendevamo in picchiata dalle cime più alte della montagna.

 

 

Quando l’isola ti abbraccerà

 

Se sei stato su di un’isola

deserta quando eri bambino,

continuerai a cercarla e se

sarai fortunato la troverai

ancora, ancora vedrai le tracce

del tuo Venerdì che ti aspetta

proprio in fondo all’isola. Sarai

delfino, aquila o squalo, avrai

mani di corallo e occhi di radici,

tutta l’isola ti abbraccerà e tu

saprai di non essertene mai

andato. Perché le tue orme

bambine hanno inciso il periplo

dell’isola e le tue mani sono

scolpite nella corteccia di

quell’albero che chiamavi grande,

con radici sicuro rifugio e sogni

dei granchi e delle orchidee

che non erano lì, ma bastava

anche solo immaginarle.

 

 

È molto più vasta l’isola di quanto non ricordassi. Cerco le mie tracce, sfoglio le pagine e sorrido, quanto poco cambia un mondo che abbiamo già immaginato.

Oggi è venerdì 30, l’ultimo giorno del secondo aprile vissuto con la pandemia. L’isola è un porto sicuro, ci arrivo seguendo le tracce del mio naufragio e le sue Cronache senza fine.

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