La gioia
dei bambini fuori da scuola è un termometro della normalità. Più implacabili di
una sveglia, già dalle otto del mattino si affollano davanti all’ingresso e
ridono, scherzano, si inseguono. I genitori hanno sempre visi tirati, vanno di
fretta, si fermano solo nei bar a prendere un caffè nei tristi bicchierini di
carta, in piedi davanti ai negozi, abbastanza distanziati. Le prove di vita
quotidiana scivolano in un binario dove tutti vorremmo camminare, macché cambiati
per sempre, tutti moriamo di tornare alla vita che facevamo prima della
pandemia. O no? Il secondo binario è quello del virus che continua a fare il
virus, cioè infettare il più alto numero di ospiti, replicarsi e mutare. Gli
ospiti continuano a morire a centinaia ogni giorno qui da noi, a migliaia in
altri paesi, come in Brasile. I numeri che ci vengono sciorinati ogni giorno
soffrono di una distorsione temporale, e qualche volta anche con lo zampino
degli umani che decidono di spalmare i deceduti per fare vedere che le cose
stiano andando meglio di quanto non sia in realtà. Il terzo binario è quello
dei vaccini, delle case farmaceutiche e dei piani vaccinali che non decollano. Terrore
degli effetti collaterali, impegni presi maggiori rispetto alle effettive
capacità di produzione, centinaia di migliaia di persone che non si prenotano o
rimandano la vaccinazione perché non vogliono fare il vaccino che, sinora, ha
avuto il più alto tasso di mortalità. I binari che ho brevemente descritto, ma
ce ne sarebbero altri, corrono paralleli e risentono delle narrazioni
mediatiche che ce li raccontano come se le cose fossero scollegate tra loro. La
verità è il caos cui non riusciamo a dare né ordine né nome, e tutti continuiamo
a navigare a vista. Ci sono poi persone come Natalia Aspesi, che sanno vivere
nel presente e riescono a goderne anche se ha 92 anni e non sa quanto tempo le
resti. È una donna formidabile lei ed è un esempio, per quanto mi riguarda,
della capacità di avere cura di se stessi, un altro cammino all’interno dell’Alfabeto
della Cura che tutti dovremmo intraprendere. Ha ragione lei, i tempi passati
sono passati e lei non li rimpiange “perché non li ho perduti, li ho avuti. Non
li ricordo ma ci sono stati e fanno parte anche del mio presente, di quello che
sono”, come racconta a Mario Calabresi nell’intervista pubblicata oggi nel
podcast Altre/Storie. Il tema della
cura di sé è ancora più difficile da trattare di quello della cura degli altri
e del mondo. Forse perché ci hanno insegnato, chi ha avuto un’educazione
religiosa, che l’abnegazione e gli altri sono dei dettati morali che vengono
prima di noi e delle nostre esigenze. Ma dimenticarsi di se stessi è nocivo
quanto pensare solo a se stessi. Trovare l’equilibrio tra noi e il mondo è
molto difficile, ma è anche il primo passo per imparare ad avere cura di noi
stessi, anche con piccoli gesti e azioni nella vita quotidiana che diano un
senso al nostro essere al mondo.
L’alfabeto del mondo parte con la lettera G
Raccolgo
una piuma
azzurra,
sembra che
il cielo
sia stato strappato
e
lasciato cadere proprio
per noi.
Ritorno a casa,
preparo
il caffè, scorro
l’alfabeto
del mondo,
sfoglio
la lettera G che
inizia
con Gioia, la piuma
si
agita, è passato quel
vento
primaverile che
soffia
da lontano, io
resto
sospesa tra gli
spazi di
questo mattino
e scrivo
a voce bassa
queste
parole.
Primo
suggerimento dell’Alfabeto della Cura, che è strettamente connesso all’Alfabeto
del Mondo: il mattino presto uscire a fare una passeggiata, raccogliere una
piuma o un sasso o una foglia. Preparare il caffè, scrivere una poesia, un
pensiero o una preghiera.
Questa è
la Cronaca 404 di venerdì 16 aprile del secondo anno senza Carnevale, un giorno
iniziato con gioia, termina con una gioia distesa che ci prepara al sonno
notturno.
Nessun commento:
Posta un commento