Di tanto
in tanto apro il cofanetto dove custodisco vecchie fotografie, a partire da
quelle in bianco e nero dei miei genitori e che risalgono alla loro adolescenza
negli anni Cinquanta. La tenerezza che provo è immensa, cerco di ricordare i
loro racconti, mi commuovo sempre più man mano che procedo nel tempo e arrivo
agli anni Sessanta, dalle fotografie in bianco e nero di famiglia, parenti
vicini e lontani, amici, compaiono le prime polaroid che hanno ormai assunto
quella patina azzurro-arancione che le contraddistingue. Ci sono poi alcune
foto che ho scattato io a partire dagli anni Settanta fino a pochi anni fa,
quando ho smesso di stampare le foto e ho creato confusi archivi digitali che
di rado vado a sfogliare. Le fotografie mi hanno sempre incantato, soprattutto
quelle in bianco e nero, come se questi colori fossero gli unici ammessi per il
passato, e forse è così. Quando mi è capitato di guardare fotografie e vecchi
documentari che sono stati colorati, lo spiazzamento è sempre stato enorme.
Le foto
raggruppate nel cofanetto sono quelle per me più significative e più care. Prima
o poi dovrò decidere che farne di tutte le altre, interessano solo me,
comunque, e non vorrei che finissero gettate accanto a un bidone della
spazzatura per strada, come è accaduto a un album di fotografie di un
matrimonio degli anni Sessanta, qui a Milano, poche settimane fa. Forse bisognerebbe
creare un archivio nazionale anche per gli album fotografici in analogia a
quello esistente dei diari nella cittadina di Pieve Santo Stefano. Il passato
familiare e collettivo racchiuso nelle vecchie fotografie ha, secondo me, molto
più senso degli album sui social. Quando sono andata a Pavia a vedere la mostra
di Vivian Maier mi sono commossa fino alle lacrime, quanto storie in ogni
fotografia. E con lei ho sempre amato altri grandi fotografi del passato come
Henri Cartier-Bresson, Man Ray, Robert Capa, Robert Doisneau, Eduard Boubat
William Claxton, W. Eugene Smith, Alfred Stieglitz, Ansel Adams, ecc. ecc. che se
continuo non faccio altro che duplicare liste facilmente reperibili in rete,
quindi mi fermo qui.
Amo le
vecchie fotografie soprattutto perché i selfie, che si chiamavano autoscatti un
tempo, sono rarissimi e la nostra immagine ci ritorna mediata dallo sguardo di
qualcun altro, molto spesso un genitore e poi amici e amori. Ogni fotografia ci
suggerisce un punto di vista, un paesaggio, uno sguardo e una storia. Per questo
ho comprato in sperduti mercatini di provincia fotografie in bianco e nero che
appartenevano a famiglie estinte. Mi è sempre piaciuto immaginare storie a
partire dalle vecchie fotografie scattate da sconosciuti che tali resteranno
per sempre. Le fotografie dei grandi fotografi sono ciascuna un racconto in una
infinita antologia.
Ogni immagine è un mistero
Non hai
voce, non hai colore,
sei solo
un’immagine fissata
per
sempre a un istante, a
quella
carta, a quello sguardo.
Nessuno svelerà
il tuo mistero,
quel
mistero che noi presumiamo
perché il
tempo ti tiene ancora
tra le
braccia e ti guarda, come
sto
facendo io.
Voglio ringraziare
Valentina Durante e Giulio Mozzi per le
infinite sollecitazioni e idee che zampillano durante i loro incontri dedicati
proprio a Immaginare le storie, il
cofanetto delle mie fotografie si è improvvisamente animato e mi ha chiamato a
iniziare una nuova strada. Così sfoglio e immagino in questa Cronaca 415 di
martedì 27 aprile del secondo anno senza Carnevale.
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