venerdì 2 aprile 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/390. Quando il buio inizia prima della notte, devo cercare le tue mani muovendomi alla cieca



Arriva ogni anno questo Venerdì Santo, implacabile come le stagioni. Proprio sul crinale della nuova stagione che scalza la vecchia, il Dio incarnato accetta il suo tremendo destino umano e muore sulla Croce. Non voglio entrare nel valore simbolico di questo evento, voglio solo ricordarmi quanto questa morte ci riguardi tutti, credenti e non credenti. La morte del Cristo sembra essere la fine del tempo, la mesta accettazione di un inevitabile sacrificio chiesto da un Dio cieco e crudele. Il cielo si oscura e la notte scende, una notte che si prolungherà per tutto il sabato successivo, dove l’umanità ancora non sapeva che quella notte sarebbe finita e che Lui sarebbe ritornato da quel luogo con il suo stesso corpo umano. Imparare ad accettare la morte e a non averne paura, questo è stato il fine ultimo della religione cristiana, una paura che solo la fede nella Resurrezione poteva combattere. La filosofia non si occupa soltanto della morte e del timore che suscita in noi, la filosofia si occupa della vita e dei modi di viverla cercando un senso la cui sola morte non può essere l’orizzonte. La mente umana oscilla sempre tra lo stupore e la paura, a ognuno di noi il compito di trovare il modo giusto per noi stessi di attraversare questo tempo e questo spazio al meglio e con la costruzione di un senso profondo. Lo sgomento che questa morta ritualizzata e reiterata provoca in noi cristiani, è anche un moto psicologico e non solo religioso, che discende dalla potenza dell’educazione. Le storie di guerra e vendetta dell’Antico Testamento sono narrazioni indimenticabili che la nostra mente ha assorbito durante l’infanzia. Il Dio degli eserciti non poteva essere anche il Dio del perdono e della rinascita. Ha dovuto incarnarsi e mandare un figlio a morire con noi per poter essere diverso da se stesso. Per quanto la vita abbia potuto portarci lontano dai rituali e dalle credenze, per quanto il pensiero razionale e illuministico ci abbia condotto a una società secolarizzata e miscredente, penso che dalle radici dell’educazione religiosa sia impossibile, e forse anche dannoso, liberarsi, anche quando non si è avuta un’educazione religiosa in senso stretto. Potrei raccontare di decine di casi di bambini esentati dall’ora di religione che vi si sono avvicinati da soli crescendo e spesso in contrasto con i genitori che li avevano privati di questa educazione. Ma qui, oggi, voglio scrivere ancora qualcosa sullo sgomento di questo Venerdì ancora senza speranza. Il messaggio è chiaro e forte: per vedere l’alba della domenica, bisogna attraversare questa lunga notte che ci aspetta. E in questa lunga notte, credenti e non credenti, atei e filosofi, liberi pensatori e sgomenti passeggeri, l’unica cosa che possiamo fare è tenderci l’un l’altro la mano e sussurrarci storie, sperando che la luce ritorni anche questa volta.

 

Inizia il Venerdì Santo

 

Quando il buio inizia prima

della notte, quando il tempo

collassa su se stesso e nessuna

speranza ci guida nell’oscurità,

forse è il momento di cercare

nella notte quell’unica mano, o

quelle mani, capaci di sorreggerci

e insieme aspettare che il sabato

passi, che il dolore passi e che

la Resurrezione sia di nuovo

il nostro orizzonte.

 

 

Mi fermo in questo silenzio della voce di Dio, lancio un pensiero gioioso alla mia amica Rossana, cui dedico questa Cronaca, lei che porta nel mondo così tanta spiritualità che il mondo fatica a contenerla tutta. Dedico questa Cronaca anche a tutti coloro che si amano, ovunque si trovino, insieme o separati, questa è la cosa meno importante. Importante è l’amore e la speranza che lo accompagna giorno dopo giorno.

Oggi è il 2 aprile del secondo anno senza Carnevale, Venerdì Santo raccolto in poesia e preghiera in tutte le terre che la mia immaginazione conosce e racchiude, e nello spazio più stretto che il mio corpo ed io, che siamo un’unica entità, possiamo abitare in un unico tempo.

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