Oggi
sono ritornata a camminare in riva al fiume. Pioveva, l’acqua era verde e i
salici a stento potevano specchiarsi nelle onde scure. Il sambuco si sta preparando
a fiorire e il biancospino già si apre sotto questo cielo ricco d’acqua. Cammino,
raccolgo foglie e fiori, soprattutto raccolgo impressioni da questo fiume che
viene da un tempo ignoto e verso un altro ignoto naviga.
Impressioni del giorno a fine aprile
Il fiume
non ha ponte, perché
il fiume
è un ponte tra le terre
alte e
il mare che già conosciamo.
Lascio che
il salice mi avviluppi
tra i
rami, respiro le foglie e
l’acqua
verde che non parla e
mi sfiora
come se fossi un pesce
che ha
scambiato le branchie
con i
polmoni. Incerta tra i due
respiri,
resto al riparo e aspetto
che uno
dei due mondi chiami
il mio
nome. Aspetto e solo
il
silenzio aspetta con me.
È vero
che silenzio e solitudine parlano la stessa lingua, un alfabeto che dobbiamo
apprendere come ogni alfabeto, come ogni lingua. Ma il silenzio e la solitudine
sono tali solo in questa forma della realtà, dentro di noi una conversazione
ininterrotta con le persone amate e nei sogni ancor di più incontri
inaspettati, fuori dal tempo, dove qualcuno ha gridato “Il corpo è una prigione
metafisica”, e allora l’essere dove dimora?
Su questa
scia di interrogativi, mi sciolgo dall’abbraccio del salice e torno dove il
corpo dimora, a volte senza domande, a volte senza risposte.
Oggi è
giovedì 29 aprile del secondo anno senza Carnevale, pioggia qui e pioggia in
ogni dimensione. Alla pioggia è meglio arrendersi e farsi piccoli, cercare
rifugio sotto una foglia e ricordare che l’attesa è solo il passato di qualcosa
che avremo amato.
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