Le cose,
gli oggetti che ci accompagnano nella vita quotidiana sono gli amici che
rendono il nostro stare al mondo più facile e piacevole. Non basta il valore
d’uso a rendere importante un oggetto, la resa estetica, il valore affettivo, i
ricordi che custodisce ne danno la vera importanza per ciascuno di noi. Per
questo continuiamo a usare tazze da tè sbreccate, maglioni infeltriti, vecchi
quaderni mai finiti sulla scrivania. Per gli oggetti che ci sono stati donati è
la forza del legame con il donatore che rende l’oggetto unico e importante. Un
oggetto non è mai solo se stesso, è anche simbolo di qualcosa d’altro che per
noi è importante. Gli oggetti parlano lingue diverse, rispettano codici,
tramite gli oggetti ci esprimiamo, diciamo al mondo chi sentiamo di essere. Per
questo gli abiti, la moda, i gioielli, gli ornamenti, segnano nei loro flussi
lo spirito del tempo e lo rappresentano. Pensiamo ai capelli delle donne, alle
barbe e ai baffi degli uomini, all’uso dei cappelli. Il Ventesimo Secolo ha
esaurito, probabilmente, colori, tagli e fogge, ha cominciato a mescolare
stili, e questo continua anche nel nuovo secolo e in questo terzo decennio
appena iniziato che ha messo a tacere il breve e infinito Novecento.
Ora che
siamo tutti chiusi in casa, che non possiamo mostrarci al mondo come vorremmo,
è difficile immaginare come sarà la moda prossima ventura. Quando esco a
passeggiare per il mio quartiere, vedo soprattutto gente in pantaloni, capelli
più o meno pettinati, donne senza trucco, scarpe basse. Molte tute da
ginnastica con relative scarpe, gente silenziosa perlopiù, gli unici umani che
si avventurano in gruppi sono gli adolescenti, più o meno mascherati, ma
diventa difficile anche arrabbiarsi con loro. Noi tacciamo e il mondo tace con
noi, il mondo degli oggetti ha bisogno delle nostre intenzioni e dei nostri
desideri per esprimersi.
Diverso è
il modo di comunicare con il mondo naturale, con gli alberi, i cespugli e i
fiori, con il cielo e le nuvole, con gli uccelli e gli insetti. Il loro essere
al mondo prescinde dalle nostre intenzioni. Certo, potiamo alberi e cespugli,
raccogliamo i fiori. Ma le nuvole vagano libere nel cielo, il vento si alza
quando lo decide lui, e anche la pioggia ci sorprende come il freddo che
ghiaccia i fiori appena sbocciati.
Il nostro desiderio di infinito
Due
lingue almeno per parlare
al mondo,
due lingue e solo
di una
abbiamo creato l’alfabeto.
Forme,
colori e materiali per
creare
gli oggetti intorno, per
dare la
nostra impronta e dire
che ci
siamo. Ma per le nuvole e
il cielo
possiamo solo impegnarci
a
decifrare sillabe declinate in ritmi
sconosciuti
che abbracciano nel
silenzio
il nostro desiderio di
infinito.
Così oggi per dire al mondo
che ho
bisogno di più aria e spazio,
ho messo
sul davanzale un piccolo
specchio
che raddoppiava le foglie
nuove e
il cielo. Volevo scegliere
quali
nuvole inseguire, ma proprio
sull’orlo
del vento, ho soffiato quella
sillaba
che irretisce le nuvole e le
fa
tornare indietro, le fa cadere
nel
fondo dello specchio e poi
le
imprigiona in questi versi
sciolti
che cantano la mia
poesia,
presa in trappola tra
le foglie
nuove e il tuo cielo.
Così
continuo a esercitarmi andando avanti e indietro tra il mondo degli oggetti e
il mondo delle nuvole, tra la città silenziosa e l’Altipiano della Luna e le
terre ai piedi delle Montagne della Nebbia. Siamo sempre tutti in bilico tra
almeno due mondi e la poesia è il ponte che li avvicina.
Questa è
la Cronaca 395 di mercoledì 7 aprile del secondo anno senza Carnevale ma con la
nuova poesia Il nostro desiderio di
infinito che ho scritto guardando il cielo riflesso nello specchio.
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