Quel che
mi piace del vento è la sua invisibilità, non lo vediamo ma lo udiamo
attraversare gli alberi, lo sentiamo passare sulla pelle e osserviamo la danza
delle foglie, della carta e di qualunque altra cosa sia caduta a terra e che il
vento riporta in aria.
Quando
guardiamo il cielo è grazie alla corsa delle nuvole, o alla loro immobilità,
che sappiamo se il vento c’è o continua a starsene nascosto.
Se
guardiamo la roccia, possiamo leggere l’effetto del vento e dell’acqua nelle
cavità, nelle fratture e nelle fessure. Se guardiamo i campi è dalle pale
eoliche e dai mulini che comprendiamo la sua forza. Quando siamo in mare è la
forma delle vele spiegate che rende il vento visibile e noi felici di averlo in
poppa.
Il vento
è respiro delle onde e respiro del poeta, è il respiro di questa domenica
tranquilla dove potrei continuare a fare elenchi disordinati delle cose belle
della vita.
Gli effetti secondari del vento
Se mi
piace il vento è
perché anima
le cose
che non
hanno gambe
per
poter andare e
intenzioni
che le sorreggano.
Perché le
intenzioni sono
tutte mie
e le onde chiacchierano
con le
nuvole grazie al vento che
le porta
dalla riva al largo
e non fa
mai pagare il ritorno.
Ride il
vento di queste mie
considerazioni,
lo capisco dai
sibili
che assaltano le finestre
chiuse
che subito apro e scopro
che il
vento è passato dai
gelsomini,
prima di venire a
salutarmi
e poi tornare verso
le
nuvole che attendono la sua
spinta,
pastore nei cieli e
marinaio
in terra ferma.
Scrivere
il vento, che è anche il titolo del mio quarto libro di poesie, è uno degli
atti dello scrivere che mi affascina e che mi fa coltivare questa mia
ossessione poetica e letteraria, una pazzia innocente che lascio al vento ogni
giorno, perché so che poi, me la riporta indietro.
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