Oggi
Roxanne, la badessa del monastero di Colorno, mi ha annunciato l’arrivo di
Marina Cvetaeva, gigantesca poetessa del secolo scorso, incandescente come lava
e perduta come la nebbia dell’alba dopo che il sole è risorto.
Come
tutte e tutti gli altri poeti e poetesse, scrittori e scrittrici che arrivano
ai piedi delle Montagne della Nebbia per la prima volta, gli abitanti della
Casa delle Parole, che non abbiamo più incontrato da diversi mesi, si
mobilitano per dare il benvenuto a quest’anima tormentata e sfortunata,
intessuta di tempo e di stelle.
Sono rituali
semplici, aprire una bottiglia di vino, ravvivare il fuoco nel camino, leggere
i versi e frammenti di diario e lettere dell’ospite ad alta voce, ad alta voce
sognare in questa dimensione dove il tempo non esiste e la poesia è la
tessitura comune di chi vaga in questa terra cercando di disegnare mappe plausibili
nel silenzio del cuore, quello che Rilke le stava, in qualche modo scrivendo:
“Ho
aperto l’atlante (per me la geografia non è una scienza, ma un insieme di
rapporti di cui mi affretto ad approfittare) ed ecco, tu sei già segnata nella
mia mappa interiore: da qualche parte fra Mosca e Toledo, ho creato uno spazio
per l’impeto del tuo oceano.”
Dopo questo frammento di lettera, ecco
un frammento dal diario:
“Alle 10 la giornata è
finita. Talvolta sego e taglio legna per il giorno dopo. Alle 11 o alle 12 vado
a letto. Sono felice del lumino proprio accanto al guanciale, del silenzio, del
quaderno, della sigaretta, talvolta - del pane.
Scrivo malamente, in
fretta. Non ho annotato né le ascensions in soffitta - niente
scala (l'hanno bruciata) - mi isso con una corda - per prendere le travi, né
le continue ustioni delle braci che (impazienza?
esasperazione?) afferro direttamente con le mani, né le corse su e giù per
i kommissionnye (che abbiano venduto tutte le mie cose?) e per
le cooperative (che distribuiscano?).
Non ho annotato la cosa
più importante: l'allegria, l'acutezza di pensiero, le esplosioni di gioia ad
ogni più piccolo colpo di fortuna, l'appassionata tensione di tutto l'essere -
tutti i muri sono coperti di versi e di NB! per il taccuino.
In soffitta
(Dagli appunti moscoviti, 1919-1920)
E infine una delle
poesie che più amo:
Io sono
una pagina per la tua penna.
Tutto ricevo. Sono una pagina bianca.
Io sono la custode del tuo bene:
lo crescerò e lo ridarò centuplicato.
Io sono la campagna, la terra nera.
Tu per me sei il raggio e l'umida pioggia.
Tu sei il mio Dio e Signore, e io
sono terra nera e carta bianca.
10 luglio 1918
Ci sono giorni come questo, martedì 25 maggio del
secondo anno senza Carnevale, dove le mie parole stanno un passo indietro e
felice come un’onda rileggo Marina Cvetaeva, poi la bellissima voce, che vi
invito a leggere, che la mia amica Rossana Kaminskij ha scritto per l’Enciclopedia
delle Donne; e infine ringrazio Ilaria Durigon della Libreria delle Donne di
Padova e Claudia Brigato per l’incontro dedicato proprio alla Cvetaeva e che mi
ha fatto venire voglia di rileggerla e di parlarne in questa Cronaca 443. E di
nuovo grazie a Rossana che ci ha letto in russo prima e in italiano poi, due
poesie della Cvetaeva, tra cui una dedicata all’altra poetessa Anna Achmatova.
Questi sono i testi da cui ho tratto le citazioni:
Poesie, a cura e traduzione di Pietro Zveteremich, Feltrinelli
1979.
Indizi terrestri. Diario moscovita 1917-1919, a cura di Serena Vitale, Guanda 1980.
E infine l’epistolario a tre: Rainer Maria Rilke - Marina Cvetaeva - Boris Pasternak
Il settimo sogno. Lettere 1926. Editori Riuniti 1980, edizione italiana a cura di Serena Vitale.
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