Ma se il luogo della memoria fosse solo la pelle, cosa sarebbe rimasto di questi anni? Memoria del vento, certo, il frusciare dei vestiti, le lenzuola. Per i più fortunati il tocco del sole e delle onde, poco altro. Pochi abbracci, pochi baci, pochi contatti. Ma ci sono le memorie più remote, quelle precedenti la pandemia. E la pelle freme perché basta immaginare per sentire di nuovo su di sé quel brivido dell’essere vivo e sensibile. Questi anni lasceranno ferite e cicatrici, è certo. Ferite e cicatrici invisibili, ma le ferite guariscono e le cicatrici sono lì a dirci che qualcosa di tremendo è accaduto ma è anche passato e finito. Il processo di guarigione, sia del corpo che dell’anima, ha bisogno di tempo e di delicatezza, ha bisogno di cure che partono dall’ascolto, di parole allo stesso tempo dense e leggere. Lo spazio della relazione è il luogo in cui si il processo di cura prende forma e l’ascolto diventa un fiume che scorre nei due sensi. La stanza dell’analisi è il luogo classico deputato a questa relazione, ma altri luoghi hanno preso forma in questi anni, luoghi dove il medico ha imparato ad ascoltare il paziente, dove la condivisione in gruppo, spesso insieme ad altre persone sconosciute, permette all’Alfabeto della Cura di declinarsi e di scegliere le parole utili e necessarie. Parole che partono dalla biografia di ciascuno e nella relazione tessono il nuovo senso del nostro stare al mondo.
Bisognerà
trovare le parole per raccontare questi anni, bisognerà imparare a non
rimuovere gli eventi, ma ad elaborarli, per non condannare all’eterna
ripetizione del male e dello sgomento.
Una scrivania che è anche un nido
Ho trovato
una piuma azzurra
questa
mattina, ho cercato
tra i
rami frondosi un nido,
il luogo
della provenienza, ma
niente
indicava che ci fossero
quel
nido immaginato e quegli
uccellini
che lo avevano costruito.
Così ho
portato la piuma con
me, e
ora sta nella stessa cesta
delle
pietre e dei sassi, accanto
al
quaderno con le foglie e i fiori
essiccati.
Un canto si alza da tutta
quella
materia che pare addormentata:
“Noi
siamo, noi siamo stati e noi
saremo,
nel tempo e nelle stagioni.
Accetta la
fatica di questo vivere,
sopporta
i rumori vacui intorno
e cerca
la nuova foglia, il sasso
dimenticato
e il nido che presto
sarà
vuoto. Questa è l’anima mentre
cerca la
sua forma e accetta dalla
tua
storia giusto le piume che
servono
a rendere più comodo
il nuovo
nido per l’anno che
verrà. Quando
arriverai?”.
Questa luminosa
giornata che sembra di inizio primavera e non di maggio, mi ha riempito lo
sguardo e il sorriso. Ogni giorno è un dono, anche se a volte doloroso e a
tratti incomprensibile.
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