Una
buona giornata è come un campo di terra fertile, arata nella giusta stagione e
che ora, a primavera, mostra i germogli. O forse una buona giornata è uno di
quei germogli nel campo del tempo, il risultato di un lavoro ben fatto, la
combinazione di questo lavoro, della pioggia, della neve e della pazienza.
Ci siamo
tutti esercitati a una infinita pazienza durante questi lunghi mesi di
pandemia, e oggi intorno a me ho visto solo gente impaziente, che ha voglia di
uscire, di muoversi, di andare in vacanza, di stare seduta all’aria aperta a
mangiare in compagnia. Non ho visto niente che mi abbia sorpreso e anche questa
Cronaca risente di questa eterna ripetizione che è stata la nostra vita, e che
sarà la nostra vita ancora per un bel po’.
La poesia è un seme gettato nell’oscurità
Una
poesia è una terra
fertile
appena arata, a noi
scegliere
quali semi lasciar
cadere,
scegliere quanta
pazienza
dovremo esercitare,
sperare
che la neve sia docile
coperta
e la pioggia il rivolo
che
nutre. La poesia cresce
in noi
come le spighe nel
campo
arato dal previdente
contadino.
Possiamo esercitare
la
pazienza sino al giorno
della
mietitura. Ogni poesia è
un seme
gettato nell’oscurità
dell’anima
e il frutto lo
scopriremo
solo quando sarà
tregua
tra le tenebre e la luce.
Così
continuo la mia semina che procede stagione dopo stagione, e ora mi preparo ai
campi rossi dei papaveri e agli occhi azzurri dei fiordalisi. E scrivo giorno
dopo giorno, lenta come il contadino che ara con il suo cavallo e intanto pensa
al grano, alla farina e al pane.
Oggi è
mercoledì 5 maggio del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 423 si
stende a perdita d’occhio punteggiata di papaveri e poesia.
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