Erano
pochi giorni che Caterina era ritornata a vivere nella casa segreta. La
domenica mattina si svegliò convinta che fosse lunedì e si affrettò a fare gli
auguri alle sua amiche che entrambe si chiamavano Paola. Ci rimase un po’ male
quando nessuna delle due rispose al messaggio. Prima di uscire per fare una
passeggiata, accese il pc per leggere qualche notizia. Anche il pc si
sbagliava, perché si era fermato sulla giornata di domenica e oggi era lunedì.
Consultò allora il suo quotidiano online e anche lì la data era sbagliata. Ma
si erano addormentati tutti? Pian piano fu lei a svegliarsi e a rendersi conto
di essere ancora immersa in uno stato ipnagogico e che le date sul pc e sul
telefonino erano corrette, era lei ad avere saltato un giorno e a essere corsa
sino al lunedì. Fu una sensazione strana, perché non le era mai accaduto, forse
era colpa del silenzio della campagna, dei suoni della natura che lei chiamava
silenzio, delle rondini che volavano basse, dei sogni che svanivano ben prima
del risveglio. Andò in cucina a preparare il caffè nella vecchia caffettiera
che era stata di sua madre, prese dalla credenza una di quelle tazzine marroni
che una volta si usavano nei bar e poi spalmò un cucchiaino di marmellata di
arance su ognuna delle due fette biscottate che aveva messo nel piatto. Nella
ciotolina di Limoges decorata con dei tralci di rose, anche questa parte
dell’eredità materna, mise una manciata di ciliegie mature e due albicocche. Il
caffè lo beveva amaro e con un goccio di latte freddo. Rabbrividì davanti al
frigorifero e si specchiò per un attimo nel vetro di una finestra, dove il
gioco delle ombre faceva tralucere la superficie che, a tratti, rifletteva il
mondo da questa parte. Ne aveva visto abbastanza di mondo Caterina, per non
avere la voglia di vederne uno speculare. Di tutto il mondo che aveva visto era
rimasta traccia negli oggetti che aveva deciso di portare nella casa segreta. Tra
gli abiti aveva scelto un vestito da sera in velluto grigio argento che aveva
indossato alla Scala per assistere al Don
Chisciotte interpretato da Rudolf Nureyev. La stola giocata sul contrasto
di colore, era della stessa tonalità di un melograno maturo e stava bene con
quell’argento cangiante. Aveva poi portato anche i due abiti indiani di seta
che aveva comprato durante un viaggio, non in India, ma in Gran Bretagna. Nel quartiere
londinese di Camden c’era un negozietto che importava abiti originali e i due
che aveva scelto giocavano sull’alternarsi di quattro colori su fantasie
floreali e ghirigori. Blu e azzurro, rosa e viola in uno; verde chiaro e verde
scuro, giallo e arancione nell’altro. Nella stanza che aveva adibito a
guardaroba c’erano due grandi armadi ottocenteschi, un cassettone, una
pettiniera con il ripiano per riporre gli oggetti per la toeletta e un grande
specchio ovale. Appese ciascun abito su una gruccia dopo averlo avvolto nella
carta velina e poi rinchiuse il tutto in una custodia di tessuto grezzo a prova
di tarme, contro le quali aveva già comunque preparato palline di legno
imbevute in olio essenziale di lavanda e
di eucalipto e stecche di cannella. Sulla pettiniera dispose le spazzole d’argento,
e la trousse di pelle dorata, originale degli anni Cinquanta, che aveva
comprato in un negozio vintage quando era solo una ragazza. C’erano ancora un
moncone di rossetto rosso fiamma e i rimasugli di una cipria chiarissima che
avevano imbellettato il viso di una donna, le sarebbe sempre piaciuto sapere
chi fosse stata l’antica proprietaria. Via via che apriva le valigie, vide la
sua vita passata fluire dalla casa milanese sino alla casa segreta tra le
colline al confine tra le province di Piacenza e Pavia. Voleva svuotare la casa
milanese e creare una sorta di museo in quella di campagna. Era arrivato il
momento di fare ordine nella sua vita e proprio a partire dagli oggetti. Finito
quel primo round di riordino, era arrivato il momento di andare nell’orto a
raccogliere la verdura per il pranzo. Durante le sue assenze c’era Manlio, il
contadino che si occupava di lavorare nella proprietà e l’orto era perfetto, in
pieno rigoglio estivo. Raccolse una piccola cipolla rossa, pomodori molto
maturi e basilico perché aveva voglia di mangiare un piatto di pasta al
pomodoro. Già che c’era prese anche un peperoncino verde e tornò in casa per
mettere su il sugo. Il tempo della campagna scorreva diversamente rispetto al
tempo del mare e al tempo della città. In montagna ci andava di rado anche se
le piaceva, ma non quanto lo sgomento che le creava ogni volta il mare o la
quiete che le scendeva dentro quando era in campagna. Ritornò a pensare allo
strano risveglio dove aveva fatto un balzo in avanti, cancellando la domenica
che ancora non c’era stata. Le domeniche si assomigliavano tutte e tutte
avevano in sé la gioia del giorno festivo e la tristezza della fine del giorno
festivo. Il lunedì incombeva sempre nell’anima, a prescindere da quale lavoro
la stesse aspettando. Quella domenica l’avrebbe ricordata come la domenica
scomparsa, scrisse nel diario quella stranezza e poi cucinò il pranzo. I gesti
lenti con le mani sotto l’acqua corrente per lavare i pomodori, il coltello con
cui fece a fette la cipolla e a piccoli pezzi i pomodori e il peperoncino, le
foglie di basilico sminuzzate a mani nude, tutti i profumi che salivano dal
lavandino e poi dalla pentola. Non aveva bisogno di pensare ad altro. Il mondo
intorno era impazzito del tutto, preda ancora della pandemia, si era aggrappato
a una specie di normalità estiva, ma la gente vacillava, aveva paura e non
sapeva e temeva quello che sarebbe accaduto in autunno. Lunedì Caterina sarebbe
tornata in città a prendere altra roba, voleva accelerare il trasloco, in
maniera tale da poter poi restare qualche settimana in campagna senza pensieri.
Senza pensieri, decise che la casa segreta si sarebbe chiamata proprio così.
Oggi è
domenica 27 giugno del secondo anno senza Carnevale e questa mattina mi sono
svegliata davvero pensando che fosse lunedì 28, così non potevo non utilizzare
questo strano episodio come spunto narrativo per la Cronaca 476 che ci ha
riportato nella casa segreta di Caterina.
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