Le notti
erano sempre brevi nel mondo di Maria la Pisana, d’estate perché la luce
vinceva e c’era sempre da fare intorno e dentro casa. D’inverno perché le cose
da fare erano quasi tutte le stesse, ma faceva freddo e bisognava coprirsi bene
prima di uscire. D’estate capitava spesso che l’altra Maria fosse già all’acquaro a lavare i suoi panni nell’acqua
corrente, limpida e fresca. Quando si trovavano, nel silenzio dell’aria che
ancora non stato interrotto dagli uccellini e dalle cicale, era sempre una
festa. L’altra Maria aveva sempre i capelli raccolti ed entrava nell’acqua con
degli stivaloni da pescatore quando ancora non era giorno, la Pisana preferiva
entrarci a piedi nudi, si sentiva più a suo agio e libera. L’altra Maria lavava
i panni di casa sua, le lenzuola, le tovaglie, gli asciugamani e i vestiti dei
figli, della figlia e dei nipoti. Anche se il figlio più grande era già sposato,
era andato a vivere nella casa accanto a quella di sua madre. Giulio aveva già due
bambini, uno di un anno e l’altro di tre, e li lasciava spesso da sua madre che
ci sapeva fare. Fu proprio quella mattina che alla Pisana venne in mente che l’altra
Maria avrebbe potuto fare un piccolo asilo dove tenere i bambini delle donne
che andavano a faticare nei campi e glielo disse. Maria la Grande, era il suo
secondo soprannome, si fermò solo un attimo a riflettere ma l’idea la convinse
subito. I bambini potevano stare con lei durante le faccende, avrebbe dato loro
una buona colazione con il latte di vacca appena munto e i taralli del forno
delle Pianette, i più buoni di tutti secondo lei e anche secondo la Pisana. Il rito
del bucato condiviso, che non avveniva tutti i giorni, ma quasi, proseguiva per
almeno quattro ore e poi, a seconda dell’istinto dell’altra Maria, finivano con
il fare colazione o con una fresa conzata
con aglio, olio e pomodori appena raccolti, o con una tazza di latte appena
munto e un caffè forte fatto con la caffettiera napoletana e addolcito con
molti cucchiai di zucchero di cui l’altra Maria era ghiotta. Quella mattina
vinse il desiderio di dolcezza, non bisognava mai osteggiare quelle voglie,
anche se non si era in stato interessante. I tre figli maschi di Maria erano
già andati a mietere il grano con il padre e la femmina più piccola, insieme
alla cugina, avevano ancora la fortuna di essere lasciate a dormire. Le bambine
sarebbero state importanti per aiutarla con l’asilo e così le fece alzare per
fare colazione con lei e la Pisana, Caterina di anni dodici e Concetta di anni dieci,
cominciarono a saltare e cantare perché erano entusiaste della notizia,
avrebbero lavorato, così sarebbero state grandi anche loro.
Le tazze
del latte erano di porcellana bianca, di forma tonda ma mosse sull’esterno, come
se ci fossero state delle onde. Il caffelatte era buonissimo, i taralli si
inzuppavano alla perfezione e poi si scioglievano in bocca. Quando ebbero
finito l’altra Maria chiese alla Pisana di aiutarla con l’orto perché c’erano
molte cose da raccogliere e così, dopo avere reciso peperoni verdi, pomodori e
melanzane con grande impegno, la Pisana se ne tornò a casa con un cesto
stracolmo di verdura anche se non ne avrebbe avuto bisogno, visto che anche il
suo orto era rigoglioso. Scrisse nel suo quaderno delle cose la numero mille e
dieci, anche se la mille e nove ancora non l’aveva raccontata all’altra Maria. E
già che c’era doveva anche scrivere la mille e undici che non sarebbe stato
facile realizzare: andare al mare con l’altra Maria, sua figlia e sua nipote. Scritte
che ebbe le cose nel quaderno delle cose, tornò fuori per scaricare dal
somarello i cesti con la biancheria da stendere e andò ai fili stesi dietro
casa. Avrebbe anche potuto lavare tutto lì, aveva il lavatoio e l’acqua
corrente, ma il rito del bucato con la sua amica era qualcosa cui teneva molto
e l’acqua del torrentello, che scendeva dalla montagna di Fagnano, lasciava un
profumo diverso sui panni. Finito che ebbe di stendere tutti i panni e lisciato
quelli che doveva stirare, la Pisana preparò una fresa conzata, che le era rimasta la gulia dalla mattina. Ci aveva strascicato sopra uno spicchio di
aglio intero, tagliuzzato il pomodoro più grande e maturo e poi strascicato
anche un ramo di origano selvaggio che aveva raccolto lei stessa sulle colline
dietro casa. Così dopo pranzo scrisse la cosa mille e dodici che diceva la
bontà della fresa conzata, mangiata
così, sola, senza bisogno di altro.
Era arrivato
il momento di stirare, perché poi sarebbe arrivato l’autista di donna Carmelina
a ritirare tutti i vestiti e le cammarere
li avrebbero portati a casa delle signore. Stirare le piaceva, le piaceva
ridare forma e colori ai tessuti, quando ebbe finito erano quasi le cinque del
pomeriggio e i pacchetti coi vestiti li preparò in poco, perché ormai era
abituata. Dopo che l’autista aveva ritirato tutte le cose e le aveva lasciato
la busta colle banconote, la Pisana poté sedersi davanti a casa, sotto il
pergolato, a guardare le colline verso Roggiano, erano tutte uguali,
punteggiate di querce e fichi, e quella loro geometria immobile l’avrebbe
riprodotta anche nella sua tela del giorno. Ma prima scrisse la cosa mille e
tredici: cercare la geometria nelle cose della natura e del mondo, un bel
progetto! - scrisse tutta contenta la Pisana.
In questa
sera d’estate continuo a scrivere le vicende di Maria la Pisana, chissà dove mi
porteranno. Oggi è giovedì 24 giugno del secondo anno senza Carnevale e questa,
stesa al vento con i panni freschi di bucato, è la Cronaca 473.
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