La casa
è un rifugio, un covo, un nido. È una caverna, una capanna, un grattacielo, un
attico. È un loft, un seminterrato. È nuova e non ha ricordi, è nuova per noi e
ha i ricordi di qualcun altro, è vecchia e geme nel vento e sogna sogni mai
sognati. La casa non basta a definire chi siamo e chi siamo stati, la casa è
immersa in un paesaggio urbano, rurale, marino o montano. Il nostro amore per
la nostra casa e i nostri luoghi è un particolare miscuglio di ricordi e
passioni, di eredità famigliari e individuali. Una delle esperienze più tristi
della vita è svuotare la casa di qualcuno che non c’è più, perché non solo
andiamo a toccare oggetti che non ci appartengono e ci parlano della persona
scomparsa, e violiamo così l’intimità di qualcuno, ma anche perché quelle case
parlano anche di noi e di chi siamo stati in relazione a quelle persone che
abbiamo amato. Accade con nonni, zii, con i genitori, ed è tremendo, anche con
gli amici benché sia più raro. Anni fa avevo letto che in ogni relazione, non
importa di che tipo, la memoria è condivisa tra le due persone, così, quando la
relazione si interrompe, per la morte di uno dei due, perché l’amore finisce, perché
anche le amicizie finiscono, noi perdiamo anche la parte di memoria che l’altra
persona porta via con sé. Così come gli oggetti che non vedremo mai più ma che
ancora ci dicono cose su chi era l’altro e su chi eravamo noi. È forse proprio
a causa della folle corsa della nostra sfera azzurra da un’eternità verso un’altra
eternità, che noi siamo costretti a mutare di continuo, a cambiare pelle come i
serpenti, a correre nel tempo che è più veloce di noi, a rinunciare a ciò che
siamo stati senza sapere chi potremo diventare. A perdere, come scrivevo in un’altra
Cronaca, a guadagnare. Gli oggetti sono davvero i numi tutelari della nostra
identità, da quando abbiamo iniziato a disegnare ghirigori sulla nostra pelle,
ad adornarci con piume e conchiglie, a costruire i primi manufatti, ci siamo
affiancati al misterioso disegno della Natura, di cui facciamo parte, e abbiamo
via via modificato il mondo intorno a noi, facendo risuonare al contempo il
mondo dentro di noi.
Quando arriva l’estate
Se guardo
quella collina, sto
guardando
tutte le colline del
mio
passato, se guardo il mare
con le
sue onde, sento tutti
i canti
che ho già ascoltato,
ma
niente è ripetizione se
non la
mia intenzione di
guardare
ancora e ancora.
Ogni mattina
sorge tutto
nuovo il
mondo e io mi cullo
tra le
onde e il gelsomino,
in
questa estate che è nuova
e anche
già vista. E nella luce
bella
che ruba colore al miele,
aspetto
la notte con tutte le sue
scintille
di lucciola e di stella.
Adoro le
sere d’estate, ho parlato della casa perché d’estate è impossibile starci,
bisogna uscire, uscire, uscire. E risplendere con le lucciole e le poesia,
anticipati nel volo delle rondini
E cullati
dal gelsomino che impregna tutta l’aria e la carta di questa Cronaca 461 di
sabato 12 giugno del secondo anno senza Carnevale.
Nessun commento:
Posta un commento