Perché amiamo così tanto gli oggetti da arrivare a farne quasi una ragione di vita? Ci pensavo oggi, mentre riponevo nella mia libreria una copia dell’Eneide appartenuta a mio padre e una cucitrice da ufficio che ho visto in casa da sempre. Così ho capito che gli oggetti sono, almeno per me, unità di memoria esterne che conservano atmosfere, parole, suoni e profumi che tornano a noi non appena guardiamo o tocchiamo un oggetto e ciò accade non solo con gli oggetti che fanno parte della nostra vita da tempo. I libri poi, sono al vertice di questo olimpo profano perché conservano il testo scritto che vi è contenuto, quindi la memoria di chi lo ha scritto, le cose che ha visto, quelle che ha pensato e quelle che ha immaginato. E nel tempo è accaduto anche ai pensieri dei lettori che fanno un viaggio a ritroso e, da frutti maturi caduti dall’albero, tornano indietro e si appendono al ramo e ridiventano fiori, proprio perché forse, anche noi tutti non siamo che ciliegie che ridiventano fiori.
Quando l’estate è tutta tra il ciliegio e il
giardino
Se un
libro è un ciliegio grondante
frutti
maturi che noi cogliamo,
non
appena lo abbiamo fatto,
noi
stessi diventiamo prima frutto
e poi
fiore perché è proprio su quel
ramo, in
quell’intreccio, tra quelle
foglie e
in quel prato, che troviamo
un senso
al nostro stare. Mentre
seduta
sotto i rami una ragazza
legge Il garofano rosso di Elio
Vittorini
e pianta il nocciolo da
cui nascerà
il suo stesso ciliegio.
Era una
domenica di giugno dell’anno degli esami di maturità, ero andata in gita con tutta
la mia famiglia e zie, zii e cugini del ramo materno. Non ho mai più mangiato ciliegie
così grandi e dolci, e lì, in quella campagna non lontana dal lago, in uno di
quei pomeriggi che fanno parte delle ore belle della vita, dove ho avuto anche
il tempo di stare sdraiata sul prato a leggere Vittorini e a fantasticare sul
futuro e sui miei ciliegi. Il giardino ne è pieno e dopo la bellezza della
fioritura ecco che il raccolto si annuncia abbondante e pieno di futuro. Forse il
ciliegio è uno dei pochi alberi che mi evoca il futuro anziché il passato.
E così,
rosseggiante come i miei alberi, in questo venerdì 4 giugno del secondo anno
senza Carnevale, questa Cronaca 453 vi accompagna con una canzone che si
intitola Playa, una cover bellissima
di Francesco Bianconi, e che ho scoperto ieri sera grazie a Simone Salomoni e che
dice l’estate, ma non solo e che credo abbia innescato insieme a quegli oggetti
che vi dicevo, questo racconto.
P.S. nel video su Youtube c'è anche la scrittrice Sofia Ventura che legge Giorgio Caproni
Biglietto lasciato prima di non andar via di
Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
È stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
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