Si era svegliata all’improvviso con in testa una sensazione di incompiuto che non riusciva a collocare tra il sogno e la realtà. Gli scuri erano chiusi e le ante della finestra aperte, così una brezza lieve e piacevole attraversava la stanza e le riempiva il respiro. La luce che penetrava dalle fessure, creava forme geometriche sul soffitto, alcune ferme, come dipinte di nero, altre, che proiettavano la forma delle tende, svolazzavano in una moltitudine di grigi che faceva da contorno alle altre figure. Ricordava solo di essersi sdraiata dopo pranzo, ma non perché il sonno l’avesse colta così prepotente, come se non avesse dormito da giorni e invece aveva trascorso una notte serena. Più cercava di ricordare, più si impossessava di lei la sensazione di essere stata chiamata dai sogni. Sapeva quanto questo richiamo potesse essere prepotente e ineludibile. I sogni avevano necessità di irrompere nella nostra vita in veglia e di interrogarla per mostrarci cose cui non avremmo mai pensato. Ma, molto più spesso, i sogni si incaricavano di confonderci e di sviarci, parlavano lingue sconosciute e riportavano in vita persone e animali morti da anni. Il più delle volte era una consolazione poterli rivedere e parlare con loro, mentre a volte una tristezza d’acqua si impadroniva del sognatore perché non riusciva a comprendere le parole dei sognati e il varco di spazio-tempo che li separava diventava ancora più profondo. Nessuna di queste riflessioni aiutò la donna a dare un senso a quel sonno profondo. Poteva alzarsi, allora, e rinfrescarsi prima di decidere come dare una svolta al suo pomeriggio. Preferì infilarsi direttamente sotto l’acqua di una doccia tiepida e svegliarsi con la luce pomeridiana che si stava arrotondando con il passare delle ore. Per asciugarsi utilizzò uno di quegli asciugamani di lino che aveva portato da Milano e che non aveva mai usato nella vita. Era leggero e un po’ ruvido, piacevole da sentire sulla pelle, profumato di fiori, in particolare sentiva i petali essiccati delle rose in fondo al giardino che aveva raccolto durante la visita precedente e subito sparso nei cassetti della biancheria. Non era da lei essere così attenta ai dettagli, prima non aveva mai avuto il tempo di farlo, ma la lentezza acquisita e la pazienza le avevano dato modo di imparare a stare nel presente e a non cercare di intrufolarsi nel futuro, ancora tutto da scrivere, né a rievocare un passato che meritava solo di stare dov’era, in ricordi vaghi e senza attrattive. Dopo essersi asciugata, ma non del tutto, perché le piaceva la sensazione di fresco che restava appiccicata alla pelle con le ultime goccioline d’acqua, scelse uno degli abiti scamiciati che aveva comprato al mercato per pochi soldi ma che era bello e molto colorato, acceso di verde, giallo e arancione. Uscì poi nel porticato e lasciò che la vista fuggisse su per le colline dove ancora resisteva qualche campo non mietuto e costellato di papaveri e fiordalisi. Poi si accorse che, acquattato sotto il tavolo di pietra, c’era un gatto tigrato grigio che dormiva. Come se l’essere guardato avesse fatto da sveglia, il micio si allungò, sbadigliò e la guardò con enormi occhi verdi e ancor più grandi orecchie. Era un gatto molto giovane, anzi una gatta, come ebbe modo di constatare quando andò ad accarezzarla e lei si lasciò pastrocchiare anche sulla pancia e iniziò a fare le fusa. Caterina fu felice di vedere che uno dei suoi più grandi desideri era stato esaudito dal caso. Tra le scorte che aveva fatto per la casa segreta, c’era anche del cibo per gatti, così andò ad aprire una scatoletta di pappa morbida che la micia gradì molto. Mentre questa divorava il contenuto della ciotola, lei ne riempì un’altra con dell’acqua fresca presa al fontanile davanti casa. E la micia gradì anche l’acqua fresca e poi si lavò e pettinò per bene il musino e le zampe, mentre la donna continuava a guardarla. Finita la toilette, anziché allontanarsi, la gatta le saltò in braccio e riprese a ronzare come uno sciame di api e la donna ricordò quanto le piacesse quel suono anche quando era bambina. Dopo qualche minuto di coccole, la gatta saltò giù e andò a sdraiarsi all’ombra di un grande oleandro rosa e si riaddormentò. Caterina aveva fame e si ricordò che non aveva pranzato. Così andò in cucina e prese dalla grande ciotola sul tavolo una manciata di ciliegie e due albicocche. I frutti erano dolci e profumati, le venne voglia di bere qualcosa di fresco e allora preparò una grande caraffa di acqua, limone e menta e la portò in veranda dove aveva deciso di iniziare a riordinare le vecchie fotografie di famiglia e sue. Erano anni che non metteva mano tra quelle e immagini e non riusciva a immaginare cosa avrebbe provato. Nella prima busta c’erano le fotografie di una delle svariate versioni della “festa dei fichi” che aveva organizzato per qualche anno con il suo amico Fabrizio a settembre nella casa dei suoi nonni a San Pellegrino Terme. Molti tra loro era scomparsi, risucchiati nelle nuvole del tempo e non ne aveva mai sentito la mancanza. Di altri invece avrebbe voluto avere notizie, ma di quelli importanti che erano amici, non dovette rievocarli come fantasmi. Prese il telefono e chiamò Fabrizio:
-
“Quanti
metri di pizza mi offri se non divulgo le fotografie dell’ultima “festa dei
fichi” a San Pellegrino?”.
-
Fabrizio
scoppiò a ridere: “Prima iniziamo a scalare un metro dalle decine che mi devi offrire
tu!”, fu la sua pronta risposta.
Gli raccontò
del viaggio in campagna dove sarebbe rimasta un po’ di giorni, anche se non
sapeva ancora quanti. Lo invitò a raggiungerla se gliene fosse venuta la
voglia.
Poi tornò
alle fotografie, ma il panorama intorno era molto più interessante, così chiuse
la scatola e si avviò per il sentiero verso il confine della sua proprietà con
quella di Armando. La gatta, che si era svegliata senza miagolare, la affiancò
trotterellando. Fu un attimo perfetto, uno di quelli che le sarebbe ritornato
in mente all’improvviso, come accade a volte con i ricordi belli. Quelli brutti,
pian piano li dimentichiamo, non per forza di volontà, ma per forza dell’oblio.
Continuare a vivere sarebbe stato impossibile, altrimenti.
La casa segreta mi ha chiamato anche oggi e così ho scritto questa frammento della storia di Caterina. Arriverà Fabrizio a trovarla? Cosa farà dopo la passeggiata con la gatta? Ancora non lo so, devo aspettare che il bosco chiami anche me.
Oggi è
venerdì 25 giugno del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 474,
una fotografia già chiusa nella scatola dei ricordi.
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