Dove sono i luoghi scomparsi? Dove sono i paesaggi della nostra infanzia? Dove sono le case che abbiamo abitato?
Non è
solo nella memoria che li conserviamo, ogni luogo, ogni casa, ogni paesaggio ha
trovato una collocazione in un angolo remoto del nostro corpo, perché non sono
solo gli occhi e lo sguardo a impadronirsi dei luoghi intorno, è il corpo che
chiama il mondo a insediarsi perché nulla possa mai davvero essere perduto.
Prima
dello sguardo ci sono altri sensi perché assaporiamo il mondo con il gusto e
con l’olfatto, ci nutriamo, ci trasformiamo con il cibo. Così il mondo entra a
far parte di noi, ma questo non basta, perché anche gli altri tre sensi
contribuiscono con la nostra memoria tattile, visiva e uditiva. Ma anche questo
non basta, perché l’esperienza del mondo che conserviamo in noi nasce dalla
tessitura e dal delicato equilibrio di tutti i sensi, anche quelli dal sesto in
poi.
Ma non è
finita ancora, perché sono i luoghi a trovare posto nel nostro intero corpo,
come le api nell’alveare. Così, mentre scopro che l’orto di mia nonna in
Calabria, vive nel mio naso insieme al profumo dei caruggi liguri, ecco che
nell’occhio trovo le Dolomiti tutte intere che splendono nella loro magnificenza
e accanto scorrono la Senna, il Tamigi e il Tevere. In un gomito ho trovato la
Baia del Silenzio di Sestri Levante e in una caviglia il Quartiere Latino di
Parigi, mentre nell’altra ci sono tutte le strade di Milano. Nel fianco destro
ho trovato le campagne normanne e in quello sinistro i boschi del New England.
La brughiera irlandese sta nel polso sinistro e Lampedusa in quello destro. E così
via, provate a pensarci e anche voi troverete le collocazioni del mondo che,
attraverso i nostri corpi, non scompare mai davvero e continua a inseguire il
futuro mentre testimonia il passato, l’unico tempo di cui davvero possiamo
avere certezza.
Noi, che stavamo guardando
Non è
necessario sforzarsi,
ogni
tempo arriva quando è
tempo e
ogni immagine
troverà
il giusto luogo per
fermarsi
a riposare. E ogni
paesaggio
si rifletterà prima
nel
nostro occhio e poi sarà
in noi
come neanche riusciamo
a
immaginare. Più tenaci delle
api, le
immagini evocano tutto
quel che
è rimasto fuori, inclusi
noi che
stavamo guardando.
Quello è
il punto focale, la ragione
di ogni
gesto e parola d’artista:
testimoniare
quel qui e ora che
solo
loro hanno veduto. Che solo
noi
abbiamo veduto e poi,
cantato.
Quanto è
affollato questo mio alveare, quanto ronzano le api dell’invisibile in questa
Cronaca 452 di giovedì 3 giugno del secondo anno senza Carnevale, un giorno
estivo profumato di lavanda e gelsomino.
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