È mattina presto, il mare già scintilla in lontananza ed è ben visibile dalla grande terrazza da cui si può abbracciare con lo sguardo tutto il golfo Paradiso. La villa era stata costruita oltre la massicciata della ferrovia e per arrivare alla spiaggia, sotto la Basilica di Santa Maria Assunta, bisognava seguire una tortuosa discesa su mille piccole scale. Tanto era bella la terrazza, tanto la casa aveva molti limiti, il soggiorno con la cucina a vista non aveva finestre dato che era stato edificato a ridosso della parete di roccia; la seconda camera da letto era minuscola e non molto gradevole. Invece, era molto bella la camera da letto padronale che era arredata con vecchi mobili di inizio Novecento ed era soleggiata solo al mattino, mentre di pomeriggio si poteva godere di una frescura che conciliava il sonno. La donna infilò un costume da bagno senza spalline e un caftano, entrambi neri e decorati con ghirigori rossi e bianchi, cambiò i sandali con degli zoccoli da mare, prese la borsa con l’asciugamano, l’Ambra Solare all’olio di cocco e il libro Dell’Aurora della filosofa Maria Zambrano. Scese sino alla cancellata e venne investita dal profumo degli oleandri, si chiuse il cancello alle spalle, attraversò la strada e iniziò a scendere verso il mare. Il profumo di salsedine, di alghe e di pesce era sempre più intenso e i caruggi ombreggiati e l’improvvisa frescura, davano sollievo dal caldo che era esploso a metà giugno, un po’ in anticipo sulla stagione. In spiaggia c’era poca gente, riuscì a sistemarsi in un angolo tranquillo e andò subito a tuffarsi. Nuotò a lungo, si immerse sotto la superficie del mare, emerse e si lasciò ricoprire dalle onde. Era bello nuotare, era felice come un delfino, poi tornò a riva, raccolse qualche sasso per la sua collezione di sassi con la striscia bianca e si lasciò andare sul telo da mare. Le girava la testa, si spalmò di olio al cocco senza neanche farsi la doccia e aprì il libro della Zambrano e una nuova aurora nacque dal mare e la trascinò con sé.
Stava sorgendo di nuovo l’alba, sorgeva ogni giorno, in ogni stagione, puntuale ma ogni giorno diversa perché diversi erano i colori che l’accompagnavano. Dopo il colore argenteo dei primi minuti, era la coltre di nuvole a determinare il colore del cielo. La donna restò qualche minuto alla finestra, ma poi decise di scendere in giardino e di spingersi sino all’angolo delle rose. Era a pieni nudi e la rugiada fresca era piacevole. Il profumo delle rose era intenso e la macchia di colore dei petali sfumato, anche perché non aveva indossato di proposito gli occhiali e nel suo sguardo miope tutto si amalgamava e confondeva. Le Montagne della Nebbia, avvolte nella bruma mattutina, si stagliavano in lontananza a nord ovest, mentre a est era il rumore del mare ad attirare la sua attenzione. Si sedette sulla panca di pietra e chiuse gli occhi e si ritrovò a volare verso le montagne, mentre il mare scintillava sullo sfondo. Anche le rose lo capirono e intensificarono il loro profumo, un modo per dire che erano sempre con lei.
In paese c’era una grande negozio mai visto prima, dove la ragazza era entrata con sua madre. Mentre avevano iniziato a scegliere quale pane comprare e quali dolci, silenzioso dietro di loro, sbucò il padre che fece cenno alla figlia di non parlare perché voleva fare una sorpresa a sua moglie. Così le appoggiò il mento su una spalla, sorridendo, e la donna si voltò di colpo e anche lei sorrise e si scambiarono un bacio d’amore. Il viso di entrambi era liscio, lui non portava i baffi, dovevano essere vicini ai trent’anni e anche la figlia aveva trent’anni, ma questo non la preoccupava, anzi, le sembrava bello essere diventata grande come i suoi genitori.
In una mattina di giugno, il 14 giugno del secondo anno senza Carnevale, la donna stava ancora dormendo, quando sua cognata le telefonò e le propose di uscire a bere un caffè. Benché avesse dormito poche ore perché aveva scritto e letto sino a quando i primi uccellini iniziarono ad annunciare l’alba, accettò l’invito. In tempi rapidi e per lei inusuali si lavò, si vestì e raggiunse l’altra donna nel baretto sotto casa dove lei fece colazione con cappuccino e brioche, mentre la cognata bevve un ginseng in tazza grande. Poi andarono insieme nel nuovo negozio, l’unico negozio di ortofrutta che non si affacciava sulla strada, ma in un cortile interno di un palazzo vecchia Milano in una delle strade più belle e caratteristiche della città. Così anche la donna che era stata risvegliata dal telefono, comprò pomodori costoluti, cipolle rosse di Tropea, cetrioli, banane e ciliegie. Quell’atmosfera così diversa da qualunque altro negozio, la bellezza di frutta e verdura, che era anche squisita, come ebbe modo di appurare una volta tornata a casa e preparato il pranzo, le era piaciuta molto. Prima, però, terminò il lavoro che doveva fare nella mattina e fu contenta di avere qualcosa da raccontare per la Cronaca 463.
Quattro micro
racconti: una vera cronaca, un ricordo, un’immaginazione e un sogno. Nessuna di
queste storie è davvero solo mia, ma è come se lo fosse, ora che il buio è di
nuovo padrone di questo angolo di mondo.
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