C’era un tempo in cui ogni istante del giorno era foriero di gioia, una gioia che nasceva dalla felicità dei sensi, dall’adesione del nostro essere all’intero creato. Le domande già esistevano ed erano una sequenza infinita, e allo stesso tempo, né le domande, né le risposte andavano a inficiare quella sensazione di essere nella propria pelle, vivi, circondati da colori e profumi, da un mondo così bello da essere commovente. Non c’era bisogno di fare cose straordinarie, bastava respirare il profumo della pelle della mamma e del papà stando in braccio e ascoltando le loro conversazioni da grandi. Era salire in piedi su una sedia per guardare mamma che impastava la farina e l’acqua per farne delle orecchiette squisite, era chiedere al papà di essere sollevata per guardare il sugo di pomodoro, profumato di cipolla e basilico, che stava preparando. Era addormentarsi al suono delle loro voci in soggiorno e non avere mai paura del buio perché loro erano di là. Era giocare con il cuginetto Gianfranco (detto Ciccio), nascosti sotto la lunga tovaglia di pizzo del tavolo del soggiorno, sbirciando fuori, convinti che le mamme non ci vedessero. Era camminare lungo il Naviglio Grande e Vicolo dei Lavandai, dove davvero c’erano le lavandaie e saltellare come fanno tutti i bambini e tutti i cuccioli. Era andare di corsa a comprare il cono a tre gusti nella latteria del signor Mario, giù dal ponte dei biscotti della nonna (ora ponte Alda Merini) e desiderare tutto l’inverno che tornasse l’estate per poter mangiare di nuovo il gelato. Erano quelle gite sul Ticino, al ponte delle barche di Bereguardo, dove le domeniche erano una teoria infinita di bagni a riva, risate, cocomeri e vino messi a rinfrescare nell’acqua, pasta al forno a temperatura ambiente, pomodori e polpette, pesche, albicocche e ciliegie. L’esperienza del mondo che facciamo da bambini darà forma a qualunque altro mondo scopriremo ed esploreremo. Perché dall’esperienza originaria si procede nella conoscenza per somiglianze e differenze. Sappiamo dalle neuroscienze che restano impresse nella memoria tutte quelle esperienze che hanno un portato emotivo forte, che coinvolge il cervello e tutto il sistema nervoso centrale, in particolare l’amigdala, dove risiedono i ricordi olfattivi e del gusto. Quegli attimi magici che sono rimasti impressi, tornano a farsi vivi quando una qualunque immagine, sensazione, percezione ce li ricorda, ma spesso anche in assenza di stimoli arrivano immagini dai tempi più remoti della nostra vita e ci parlano. Oggi mi sono vista davanti mia madre con una gonna scozzese grigia e azzurra e un golfino turchese che sta impastando le orecchiette, dovevo avere circa quattro anni. Poi ho visto anche zia Franca, sua sorella, con in braccio il cuginetto Ciccio. Era una sera d’estate, io ero già andata a dormire. Ma poi loro sono arrivati con il gelato e allora la mamma mi ha presa in braccio. Vi sembrerà azzardato, ma secondo me avevamo un anno appena, perché lui era ancora piccolo e batuffoloso e di questo ricordo sono certa che sia un mio ricordo e non il ricordo di un racconto. Tutte queste visite che arrivano dal passato hanno sempre fatto parte della mia vita, forse per questo mi sono appassionata alle neuroscienze, soprattutto agli studi su memoria, immaginazione e coscienza. Ma ad abbracciare immagini, ricordi, passioni, libri e studio, ecco che mi accompagna e mi guida la poesia. Che non so da dove venga e perché proprio si manifesti, così come fa.
I mari sono stati
molti e anche le nuvole
Sedute
in riva al mare
stanno
la bambina e
la
neonata, la ragazzina
allegra
e quella ombrosa.
E
l’adolescente goffa e
la
giovane che scalpitava
per
andare via e cambiare
l’orizzonte
e il mare. Certo,
i
mari sono stati molti, e pure
le
nuvole e il confine degli
orizzonti,
ma il mare, sapete,
il
mare, è sempre lo stesso,
sempre
quello che ho amato
per
primo, durante l’infanzia,
e
sento le onde, sento il canto
delle
sirene, il profumo
delle
alghe e dei narcisi,
e
il vento che mi chiama
e
che mi segue da allora
anche
nella grande città
silenziosa
e che mi riporta
con
un solo sussurro là,
dove
tutti i venti e tutte
le
nuvole nascono e poi
mi
raggiungono. Là dove
il
mare è un rifugio e anche
un
sogno sognato notte
dopo
notte. Il mare, le stelle,
il
vento e noi sdraiati a
pancia
in su a contare ciò
che
non si può contare e
questo
contare è la fiducia
nella
vita e nella gioia, sempre,
sempre,
nel mare, in attesa,
in
veglia e in sonno, nel ricordo
e
nell’immaginazione.
Ecco, è ancora presto, è pomeriggio, ma ho finito di scrivere per lasciare spazio alle immaginazioni, alla lettura, alla scrittura. La sera si aprirà così come un ventaglio che fa fresco e indica quell’orizzonte dove la notte ci attende e non è mai sola, è con le stelle e una nuova poesia. Oggi è martedì 20 luglio del secondo anno senza Carnevale e questa è la Cronaca 499 che indica i 499 giorni che sono passati dal primo giorno del primo lockdown il 9 marzo 2020.
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