È tempo di mietitura e la mietitura è la parabola perfetta per dire l’incessante mutazione dell’essere. Le spighe di grano che cadono sotto la mietitrebbia non annunciano una morte ma una vita in nuova forma: farina e poi con l’acqua, il lievito, l’olio e il sale avremo il pane.
L’alternarsi
delle stagioni, il colmo dell’estate che annuncia l’approssimarsi dell’autunno,
quell’aria più fresca al mattino presto che ci dice che davvero l’autunno è
vicino. E nell’aria autunnale odoriamo il profumo delle prima neve. Nel cuore
dell’inverno ascoltiamo le acque che si muovono sotto il ghiaccio e chiamiamo
la primavera. E ogni primavera spinge la terra verso l’altro, sposta i ghiacci
e chiama l’estate con i fiori appena sbocciati. E nostalgie di una stagione per
l’altra corrono sotto ogni nostro cielo e addolciscono le giornate senza mai
placare il desiderio di futuro mescolato con quello per il passato.
Questo
accade soprattutto nelle sere d’estate dolci che seguono pomeriggi ardenti,
attraversati dal canto infinito delle cicale. Ma la notte ha la dolcezza del
canto dei grilli, del brillio delle stelle più lontane e delle lucciole che
sono tornate e sì, sono così vicine. Le giornate hanno ricominciato ad
accorciarsi da ormai due settimane, ma la notte non incombe, non ancora. In
questo tempo bislacco e congelato dalla pandemia, continuiamo a vivere senza
più baricentri e certezze, ma vivere, seguire la mutevolezza del tempo e delle
stagioni, è parte imprescindibile del nostro essere. Il continuo mutamento è
una delle nostre regole fondamentali, quel che può cambiare è l’atteggiamento
di fronte al mutare che conduce alla vecchiaia, un tempo che ci sembrava remoto
e impossibile, ma che è invece dietro l’angolo e noi lo scopriamo come un
frutto maturo che vogliamo addentare prima che la sua stagione sia passata. Ha un
gusto di ciliegie e pesche questo sentimento dell’essere e ho deciso di
assecondarlo e di coltivare tutta la grazia e la pazienza che mi saranno
necessarie per continuare a brillare come mille candele nella notte e poi
accettare che, una dopo l’altra, tutte le fiamme si spegneranno. Negli ultimi
decenni la nostra civiltà occidentale ha disimparato a invecchiare e a
distaccarsi dalle cose del mondo. Ma poi accadono eventi luttuosi, penso a
Raffaella Carrà, e all’improvviso ci sentiamo, noi baby boomers, orfani e
vecchi. Come migliaia e migliaia di altri italiani ho ricordi dolci legati ai
programmi televisivi con Raffaella Carrà, il rito del sabato sera, dopo il
bagnetto, i cartoni animati sul canale tv svizzero e Carosello, arrivava Raffa
nelle nostre case e noi la guardavamo ballare e ascoltavamo le sue orecchiabili
canzoni. Con lei se ne va un altro pezzo di Novecento che la pandemia ha
iniziato a sgretolare nel 2020, l’anno che è stato davvero a cavallo tra due
epoche, due storie. E noi che invecchiamo, ci rendiamo conto che non potremo
tenere in vita per sempre quel mondo pieno di speranza per il futuro, bello e
forte come i nostri corpi, un tempo giusto che sognava giustizia per il futuro,
nonostante tutto, nonostante gli Anni di Piombo in Italia, le rivoluzioni
fallite, le ideologie fallite.
Mentre
scrivo questa Cronaca, che spero non avrete trovato triste perché non vuole
esserlo, ascolto i grilli e poi il Parce
mihi Domine suonato da Jan Garbarek e dall’Hilliard Ensemble, una musica
che mi catapulta ogni vota nel 1995, l’anno in cui l’ho ascoltata per la prima
volta in compagnia di qualcuno che ho amato moltissimo e che ho perduto. Ora
ascolto Solsbury Hill di Peter
Gabriel e mangio un’altra ciliegia, mentre penso a come proseguire questa
Cronaca 486 di mercoledì 7 luglio del secondo anno senza Carnevale e penso che
questo semplice gesto riassuma i miei sentimenti in questa giornata di piena
estate che ora mi sta lasciando, che ora imparerò a lasciare andare.
I ricordi sono
lacrime incise come pietra
Da
una nota alta sale ancor
più
il canto dell’amore e
pare
abbia raggiunto le stelle,
ma
una più di tutto brilla e
mi
piace credere, mio amico
perduto
troppo presto, che tu
tra
queste stelle mi cerchi
ogni
qual volta la terra diventa
visibile
nel tuo più alto
dei
cieli, nella notta più chiara
e
corta, nel tuo ricordo che è
inciso
nelle lacrime che ti
dedico
quando ascolto
il
sax soprano di Garbarek
toccare
il cielo.
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