Plof… è una goccia… plof, plof… due gocce… poi molte gocce. Sul fico, sull’oleandro, sull’acero, sull’ippocastano. Il suono della goccia cambia sempre a seconda della foglia che incontra. Le foglie sono mute ma diventano sonore con la pioggia e con il vento.
Scccc….
Sccccc… è il vento che struscia la foglia, e poi le foglie si toccano tra loro
e i rami si sfiorano, a volte sbattono. A volte se non piove, ma quando piove,
vento e acqua diventano la voce degli alberi. E anche delle rose, anche se le
rose non resistono mai alla pioggia, si abbandonano come all’amore e sognano. E
la pioggia sente i sogni, li assorbe. Le gocce sognanti si riconoscono perché cadono
anche in orizzontale e cadono all’insù. Nessuno sa come, nessuno sa perché. Ma i
sogni mutano le traiettorie e irrompono persino nella realtà degli alberi. E anche
nella nostra irrompono i sogni e fanno scompiglio e ci avvertono che il tutto
non è soltanto quello che noi vediamo.
Come la pioggia
quando cade
Dove cade il sogno, una goccia
è
già caduta e prima ancora
un
desiderio e anche una promessa.
Un
sogno è pioggia che non sa
di
esserlo e crede di essere tutto
il
cielo. Dove cadono le nuvole,
le
stelle si sono già accomodate e
aspettano
che inizi il grande
spettacolo
dell’altipiano, dove
il
coro del vento canta come
la
nostra stessa voce, come una
voce
amata che ci sta chiamando
e
noi siamo già oltre, in un altro
tempo
che ancora non ha visto
la
pioggia che cade.
Oggi mi sento più pioggia che albero, più rosa che giardino. E me ne vado per il mondo attraversata dal fulmine e dal vento e porto con me questo sabato 17 luglio del secondo anno senza Carnevale, con la sua Cronaca 496 e i suoi acquazzoni improvvisi, il suo vento occidentale e la sua poesia scompigliata e nuvolosa.
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