La luce e l’ombra sono due visioni, due immagini e due parole che mi trascinano sempre in una esplorazione estatica quando ricorrono nella poesia e nella narrativa. Francesco Biamonti è scrittore della luce, del mare colore del vino, del paesaggio scarno di frontiera tra la Liguria, un mondo intero, e la Francia quel che c’è di là. In questi giorni sto rileggendo il volume di racconti brevi, scritti sull’arte, presentazioni, interviste, intitolato Scritti e parlati (Einaudi 2008). Ci sono intuizioni magnifiche, il laboratorio dello scrittore raccontato dallo stesso artista. Non dirò altro sul perché io ami i suoi libri L’angelo di Avrigue (1983), Vento Largo (1991), Attesa sul mare (1994), Le parole la notte (1998), Il silenzio (2003), ma trascriverò alcuni frammenti da questo libro uscito postumo, cercando di ricreare quella tessitura di parole che mi avvince nel suo universo narrativo. Inizio però dalla notevole prefazione del filosofo Sergio Givone:
“La scrittura è una luce breve e
intermittente. Destinata presto a spegnersi, stretta com’è fra il buio che sta
prima e il buio che viene dopo. Però di tanto in tanto qualcosa fa resistenza:
ed ecco, lungo il faticoso inanellarsi di pause e silenzi che le parole
scandiscono, par di cogliere il senso delle cose. Naturalmente non è detto che
questo equivalga a una conquista, a un’acquisizione irreversibile. Semmai è
vero il contrario, poiché afferrare la verità (o qualcosa che le somigli) e
vederla dileguare è tutt’uno. Come nei sogni, quando la matassa improvvisamente
si sbroglia, e gli accadimenti più strani, improvvisamente trovano una
spiegazione, la quale tuttavia resta muta; e infatti non c’è chi al risveglio
saprebbe ritrovarla.
Questa idea di scrittura come
illuminazione e conoscenza, illuminazione che abbaglia e conoscenza che si
contraddice, per Francesco Biamonti è - «Per me scrivere è un disastro
luminoso» - esprime una necessità e un dovere. Scrivere bisogna, poiché il
mondo trova nella scrittura un testimone, sia pure a carico. La scrittura non è
specchio del mondo. Semmai ha un valore di epifania. Scrivere significa
assecondare il venire alla luce della vita non ancora pregiudicata dal sì e dal
no, e cioè dal bene e dal male, ma che si sottrae all’opacità nell’istante in
cui, come Biamonti afferma, oltrepassa la soglia della coscienza e si fa
correlato oggettivo. Non che la coscienza proietti se stessa sulla realtà. È la
realtà che entrando in contatto con la coscienza diventa metafora”.
E ora Francesco Biamonti:
Tutta la vita psichica è
investigazione, investigazione che cerco di tradurre in immagini. E ognuno è
solo su questa terra si sfondi di cielo, di mare o montagne.
Stile e ispirazione
Cosa si fa prima dell’ispirazione? Ma
che domanda è questa. Posso dire quel che ho fatto in questi giorni. Un
mattino, ho guardato il cielo: era di un blu violento e vi passavano nuvole
bianche che sembravano urtare alle rocce. Un altro giorno ho camminato tra gli
ulivi. Un uomo stava falciando le terrazze prima dell’aratura. Le erbe si
stagliavano su un fondo di anemoni che cominciavano a deperire; v’erano pure
dei pennacchi d’argento, piegati dalla brezza, che sembravano lanciare una muta
implorazione.
Si scrive sull’onda di ciò che si vede
o di ciò che si ricorda. Scrivere è circoscrivere un’emozione, sognarne qualche
altra omologa a quelle della vita.
La sera, sovente, vado a guardare il
mare: si alza nel cielo e palpita prima di sparire. La notte, prima di
scrivere, lo ricordo. Cerco lo stile, che garantisce l’avvenimento e
l’illusione. Immagino il personaggio a contatto delle cose (nello sbalordito
stupore che le cose gli danno) o in preda ai ricordi.
La giornata di chi scrive è fatta di
contemplazione, l’azione è subito corrosa. In chi scrive si annida una sorta di
monaco che sabota l’azione. La meditazione sulla vita si allarga nello spazio e
nel tempo. Si sente piangere l’ora che passa nel vento, coi suoi diamanti
estremi.
Attesa sul mare
Il mare con i suoi silenzi, la terra
con i suoi disastri: ecco le ossessioni che mi hanno costretto a scrivere
questo libro, dove tutto è attesa (…)
Ogni romanzo è un viaggio nel buio,
intervallato da una luce cosmica e da una luce creaturale. Per essere più
preciso, ho pensato a Cézanne e ho pensato a Rembrandt (…)
In questo libro l’uomo è l’essere
delle lontananze. In una sorta di solidarietà, da vecchio equipaggio, che lo
unisce alla terra, guarda al cielo e alla cenere degli astri.
Anche questa Cronaca 481 di venerdì 2
luglio del secondo anno senza Carnevale è una parziale rielaborazione di miei
vecchi scritti. Sto davvero rileggendo Francesco
Biamonti, Scritti e parlati
Einaudi 2008, e rileggerò anche i romanzi. Lui è
uno scrittore della luce marina e, per me, questa è la stagione perfetta per
leggerlo, per riportare in vita in noi i suoi paesaggi.
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